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Anthony Fico 

Insegna Inglese e collabora con "Una banda di cefali"

Faust, Alichino e la Luna. Tentativo di lettura di Io e Bafometto 

“Sarò sincero: io questo Bafometto me lo immaginavo proprio diverso. Dico, d’aspetto. Zampe di caprone, corna di caprone, puzza di caprone – niente di tutto ciò. Si trattava di un ometto alto, snello e di grandi silenzi, tanto garbato e umbratile che non lo si può ritrarre altrimenti se non parlandone in maniera spiccia: occhialetti tondi e spallucce, la frangetta rada e tenuta da un lato a incorniciare lineamenti da eterno fanciullo, le scarpette lucide col fiocco in bella vista, l’abituccio nero e ordinato, camicia bianca e cravatta grigio scura, due occhiaie che non vi dico.”

Nella storia della letteratura mondiale nessuna figura mitologica ha ossessionato, affascinato o ispirato poeti e scrittori, religiosi e laici uguali, tanto quanto il diavolo. Pan, Mefistofele, Lucifero, Satana, Anticristo, Belfagor, Belzebù… e pure Bafometto! Nomi e forme sempre diverse che in origine si riferivano a differenti entità ma che le leggende, i riti e le culture popolari che si sono sovrapposte nei secoli hanno confuso e uniformato.
Per restare nell’Occidente cristiano è doveroso citare alcuni testi che sono ormai considerati dei capolavori d’ogni tempo e hanno influenzato il nostro modo di immaginare il Male. 
Nella Divina Commedia Lucifero è un mostro tricefalo intrappolato nell’acqua ghiacciata del fiume Cocito e con le sue tre bocche mastica i corpi dei tre grandi peccatori per eccellenza Giuda, Bruto e Cassio. 
Nel Faust e ne La tragica storia del Dottor Faust il diavolo è presente con le fattezze di un uomo alto e vestito di nero che nel folclore dei popoli germanici viene chiamato Mefistofele. Nel poema drammatico di Goethe il diavolo conduce l’alchimista, il Dottor Faust (o Faustus), in un viaggio alla scoperta dei piaceri e delle bellezze del mondo. Nell’opera teatrale di Marlowe il dottore avido di conoscenza si avventura nella magia nera e invoca il demonio con il quale stipula un patto: ventiquattr’anni di servigi in cambio della sua anima alla scadenza del contratto.
La storia di Faust trova spazio anche nel Novecento, questa volta riproposta da Thomas Mann che rielabora il mito medievale per scrivere un racconto allegorico sulla sua epoca. In Doctor Faustus, scritto nel bel mezzo della Seconda guerra mondiale e pubblicato soltanto nel 1947, il protagonista questa volta è il compositore Adrian Leverkuhn, un genio precoce della musica che aspira alla grandezza assoluta e che si abbandona a una vita dissoluta per migliorare la sua creatività. In preda alla follia causata dalla sifilide, Adrian riceve una visita da Mefistofele che per ventiquattr’anni gli dona l’estrema ispirazione che lo porta a toccare vette di sensibilità artistica mai raggiunte prima fino a quando crolla per l’effetto della malattia. A differenza dei Fuast di Goethe e Marlowe, Adrian è l’unico personaggio nel romanzo di Mann che può vedere il diavolo. L’opera non mette in dubbio l’esistenza del male ma ci mostra la sua correlazione con la follia e l’arte. E una traccia di questa riflessione la si può scorgere anche in Io e Bafometto.

Il libro di Gregorio H. Meier si inserisce in questa ricca tradizione riprendendo il topos del “patto con il diavolo”, ma la stravolge in maniera ironica giocando con diverse forma letterarie e attingendo a capisaldi della cultura classica e moderna. Ciò che ne è uscito sono dei racconti dal carattere spiccatamente postmoderno ma molto atipici nell’attuale panorama letterario italiano.

Prendo il secondo racconto che dà il titolo a tutta la raccolta. Bafometto è un idolo pagano ricorrente nella letteratura occultistica. Con il tempo la sua figura è stata associata a quella di Satana (vedi illustrazione di Eliphas Lévi qui sopra) ma anche al dio-capra sumero-babilonese Enki, protettore dell’umanità e rivale del dio ebraico Yahweh. Il termine “Bafometto” (Baphomet) compare per la prima volta nei verbali del processo contro i templari che portarono allo scioglimento dell’Ordine da parte dell’Inquisizione. Negli atti si asserisce che i cavalieri venerassero questo demone durante le cerimonie di iniziazione ma, dato che il nome è stato estorto sotto tortura, si ipotizza un errore di trascrizione e che la parola sia una storpiatura di “Maometto” (Mahomet).

Dopo essersi ammattito e aver perso la sua identità paterna ne ‘La trasformazione’, l’Io-narrante abbandona la voce del ragazzo mite e riservato e indossa la maschera di Alichino Testamarcia, ubriacone saltimbanco di professione e poeta nel tempo libero. Alichino ha una sete nascosta che rivela solo a sé stesso nella solitudine della sua camera e in uno dei tanti versi che si alternano ai racconti in questo denso prosimetro che è Io e Bafometto.

 

Io sono un pettirosso, qualche nota

che scapriccia dentro una siepe – la sete

di bacche nascosta nel bosco 

[da La sete nascosta]

 

Come per i suoi più brillanti omologhi, Alichino è un autodidatta ossessionato dalla conoscenza degli argomenti più disparati e vuole disperatamente trovare le risposte alle sue domande sui misteri della vita. Deluso dai limiti della sapienza umana che aveva accumulato nella sua immensa biblioteca, Alichino si rivolge alla magia nera evocando Bafometto con una simpatica filastrocca presa da Il Grande Elisir del Dottor Budino Di Riso. Venuto il demonio, i due partono per un viaggio verso la luna per raggiungere il palazzo della Regina del Cielo, la donna più bella e saggia dell’universo, in un’avventura simile a quella di Orlando nel poema di Ariosto ma con un pizzico di esotismo. Alichino parte con la speranza di sciogliere il suo enigma ma ivi troverà la sua fine perché

 

La sapienza è una cornacchia

che strappa occhi dalle orbite

che gracchia. Non lo diresti

ma dietro i modi sommessi

dei gesti, delle parole

ogni scienza ci recita

requiem e padrenostri

[da CRA-CRA]

 

La morale della favola è presto detto. Mai fidarsi del diavolo: ne sa sempre di più. Ed è soprattutto un monito contro gli artifici della lingua. Perché, dalla conclusione che possiamo trarre leggendo la ‘Teoria della frottola’ in appendice al racconto, insieme alla parola sono nate le menzogne che possono mutare la realtà sotto i nostri stessi occhi.


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