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L'«ultima parola» di Il’ja Jašin, l’oppositore russo condannato a otto anni e sei mesi di carcere


Il’ja Jašin era l’ultimo esponente di rilievo dell’opposizione russa ancora libero e in patria. Venerdì 9 dicembre è stato condannato a 8 anni e 6 mesi per aver diffuso pubblicamente informazioni false sull’esercito russo, crimine entrato nel Codice penale russo lo scorso marzo, e per aver parlato apertamente della strage di Buča, in una diretta sul suo canale Youtube. In Russia il sistema giudiziario concede agli imputati di pronunciare un'ultima dichiarazione (poslednoe slovo, letteralmente «ultima parola») per sostenere la propria innocenza prima che venga emessa la sentenza. Nata negli anni Trenta del XX secolo, ma a partire soprattutto dai processi contro Josif Brodskij (1964) e contro Jurij Daniel’ e Andrej Sinjavskij (1966), l'«ultima parola» rappresenta una testimonianza in cui con libertà e coraggio si condannano consapevolmente i crimini di ogni dittatura. L'«ultima parola» è la parola che resiste.


“Cari ascoltatori,
sarete d’accordo con me nel pensare che l’espressione "l'ultima parola dell'imputato" suoni molto cupa. Come se dopo il discorso in tribunale potessero cucirmi la bocca e proibirmi di parlare per sempre. È chiaro a tutti, il senso è proprio questo. Sono isolato dalla società e tenuto in prigione perché vogliono che taccia. Il nostro Parlamento in un qualche momento ha cessato di essere un luogo di confronto, e ora tutta la Russia deve accettare in silenzio qualsiasi azione del potere. Ma lo prometto: finché sarò vivo, non potrò accettarlo. La mia missione è dire la verità. Ho pronunciato la verità nelle piazze delle città, negli studi televisivi, nelle tribune. Non rinuncerò alla verità nemmeno dietro le sbarre. Dopotutto, citando un classico, "La menzogna è la religione degli schiavi, e solo la verità è il dio dell’uomo libero”.
***
Vorrei iniziare il mio discorso rivolgendomi alla Corte. Vostro Onore, sono riconoscente per il modo in cui è stato condotto questo processo. Lei ha tenuto un processo pubblico, aperto alla stampa e agli ascoltatori, non ha impedito a me di parlare liberamente e ai miei avvocati di lavorare. E sembrerebbe non abbia fatto niente di speciale: è così che dovrebbero essere condotti i processi in qualsiasi paese normale. Ma nel campo bruciato della giustizia russa, questo processo sembra qualcosa di vivo. E mi creda, lo apprezzo. Glielo dico con franchezza, Oksana Ivanovna (la giudice, N.d.T.): lei mi ha fatto un'impressione insolita. Ho notato con quanto interesse ascolta il pubblico ministero e l'avvocato della difesa, come reagisce alle mie parole, dubita e riflette. Per il potere, lei è solo un ingranaggio del sistema, che deve eseguire il suo lavoro senza obiettare. Ma invece vedo davanti a me una persona viva, che alla sera si toglie la toga e va a comprare la ricotta nello stesso negozio dove va mia madre. E non ho alcun dubbio che io e lei siamo turbati dagli stessi problemi. Sono certo lei sia sconvolta quanto me da questa guerra e sono certo lei preghi perché questo incubo finisca il prima possibile. Sa, Oksana Ivanovna, ho un principio che seguo da molti anni: fai ciò che devi, accada quel che accada. Quando sono iniziati i combattimenti, non ho dubitato nemmeno per un secondo su cosa avrei dovuto fare. Dovevo rimanere in Russia, dire a gran voce la verità e provare a fermare lo spargimento di sangue con tutte le mie forze. Mi addolora fisicamente rendermi conto di quante persone sono morte in questa guerra, di quante vite sono state spezzate e di quante famiglie hanno perso la casa. Questo non può essere tollerato. E giuro che non ho rimpianti. È meglio passare 10 anni dietro le sbarre da uomo onesto che bruciare silenziosamente di vergogna per il sangue versato dal tuo governo. Naturalmente, Vostro Onore, non mi aspetto un miracolo. Lei sa che non sono colpevole e io so quanta pressione eserciti su di lei questo sistema. È ovvio che dovrà condannarmi. Ma non le porto rancore e non le auguro niente di male. Tuttavia, cerchi di fare il possibile per assicurarsi che non ci siano ingiustizie. Ricordi che la sua decisione non sarà decisiva solo per il mio destino personale, ma suonerà come verdetto per una parte della nostra società che vuole vivere in modo pacifico e civile. Quella parte della società a cui, forse, lei stessa appartiene, Oksana Ivanovna.
***
Utilizzando questa tribuna, vorrei rivolgermi anche al presidente russo Vladimir Putin, l’uomo responsabile di questo massacro, che ha firmato la legge sulla "censura militare" e per volontà del quale io sono in prigione.
Vladimir Vladimirovič, guardando alle conseguenze di questa mostruosa guerra, si sarà già reso conto di quale grave errore abbia commesso il 24 febbraio. Il nostro esercito non è stato accolto con i fiori. Siamo chiamati punitori e occupanti. Il suo nome è ora saldamente associato alle parole "morte" e "distruzione”. Ha portato terribili disastri al popolo ucraino, che probabilmente non ci perdonerà mai. Ma lei è in guerra non solo con gli ucraini, ma anche con i suoi compatrioti. Sta mandando centinaia di migliaia di russi nell’inferno della battaglia, e molti di loro non torneranno a casa, se non sotto forma di cenere. Molti altri rimarranno paralizzati e impazziranno a causa di ciò che hanno visto e vissuto. Per lei queste sono solo statistiche sulle perdite, solo numeri in colonna. Ma per molte famiglie invece questo rappresenta il dolore insopportabile per la perdita di mariti, padri e figli. Sta privando i russi della loro casa. Centinaia di migliaia di nostri connazionali hanno lasciato la loro patria perché non vogliono uccidere ed essere uccisi. La gente sta scappando lontano da lei, signor presidente. Non se ne rende conto? Ha minato le fondamenta della nostra sicurezza economica. Trasferendo l'industria nel settore militare sta riportando indietro il nostro Paese. Carri armati e cannoni sono di nuovo una priorità e la nostra realtà è fatta di nuovo di povertà e privazione di diritti. Ma davvero ha dimenticato che una politica simile ha già portato al collasso il nostro Paese? Lasci che le mie parole suonino come una voce che grida nel deserto, ma la esorto, Vladimir Vladimirovič, fermi immediatamente questa follia. È necessario riconoscere che la politica verso l'Ucraina è sbagliata, ritirare le truppe e procedere verso una soluzione diplomatica del conflitto. Ricordi che ogni nuovo giorno di guerra significa nuove vittime. Basta.
***
Infine, vorrei volgermi alle persone che hanno seguito questo processo, mi hanno sostenuto in tutti questi mesi e attendono con ansia il verdetto. Amici miei, qualunque decisione prenderà il tribunale, e per quanto severa possa essere la sentenza, non crollate. Capisco che adesso per voi è difficile, capisco che vi sentiate impotenti e senza speranza. Ma non dovete arrendervi. Per favore, non cadete nella disperazione e non dimenticate che questo è il nostro paese. Per questo paese vale la pena lottare. Siate coraggiosi, non arretrate di fronte al male e resistete. Difendete la vostra strada, le vostre città. E, soprattutto, sostenetevi a vicenda. Siamo molti di più di quanto possa sembrare e assieme siamo una grande forza. E non preoccupatevi per me. Prometto che sopporterò tutte le prove, non mi lamenterò e percorrerò questo cammino con dignità. Ma voi, vi prego, promettetemi che rimarrete ottimisti e non disimparerete a sorridere. Perché loro vinceranno proprio nel momento in cui perderemo la capacità di goderci la vita.
Credetemi, la Russia sarà libera e felice.
Il’ja Jašin, Tribunale di Meščanskij, 5 dicembre 2022.”
 Traduzione di Tatiana Pepe per Resistenza Civile



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