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Paolo De Martino

Attivista - Redazione Resistenza Civile

Il femminicidio di Saman non va "derubricato". Intervista a Marwa Mahmoud

La storia di Saman, la ragazza pachistana di Novellara, scomparsa e – purtroppo pare che sia ormai certo – uccisa dopo aver rifiutato le nozze combinate, ha faticato a emergere nel dibattito pubblico. I motivi secondo noi sono tanti e profondi per cui abbiamo chiesto a Marwa Mahmoud, consigliera comunale e presidente della commissione diritti umani e pari opportunità del comune di Reggio Emilia, di rispondere ad alcuni nostri quesiti. Marwa, eletta nelle liste del Partito Democratico, è stata una delle prime a rompere il silenzio sulla scomparsa di Saman e lo ha fatto anche in maniera dirompente affermando: “Il Pd prenda posizione sul caso di Saman. La destra strumentalizza? Temo di più il silenzio della sinistra”.
Ma con lei, partiamo dai fatti. Dalla tragedia che ha colpito Saman.

Chi era Saman?
Parlo al passato perché i fatti di cronaca ci confermano che purtroppo è stata uccisa e che non troveremo il suo corpo in vita. 
Saman era una giovane ragazza come tante cresciuta in un paese di provincia come Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Studiava, aveva degli amici e tante speranze come ogni giovane. Aveva tutta la vita davanti, era alla ricerca di emancipazione. Infatti, già minorenne, si era allontanata dal nucleo familiare e viveva in una comunità alloggio dove era seguita dagli assistenti sociali che le avevano garantito tutela fino ai 21 anni. Nei giorni precedenti alla scomparsa, Saman si era allontanata dalla comunità che la ospitava per tornare a casa dai genitori, con ogni probabilità, per completare l’iter dei documenti. 

Sembra che nessuno ne voglia parlare. Perché?
Risulta difficile parlarne perché questa vicenda ha tante componenti, ha una sua complessità. A mio avviso, bisogna vedere questa storia come un femminicidio, come l’omicidio di una donna uccisa da una persona vicino a lei così come accade purtroppo troppo spesso in Italia. Le statistiche ci dicono che ogni 3 giorni muore ammazzata una donna per mano di qualcuno che lei conosce. Nel caso di Saman, la sua origine e la sua fede hanno fatto in modo che le persone stigmatizzassero il caso, definendo la comunità di origine arretrata, e aggiungendo tutti i cliché che si usano quando la cronaca coinvolge uno straniero. Risulta anche difficile far emergere il caso di Saman perché ancora non si hanno adeguate chiavi di lettura per affrontare l’intera questione che riguarda gli stranieri, i migranti in Italia. Il silenzio assordante di gran parte della società civile e di alcuni partiti è sintomo di paura di essere tacciati di razzismo. Un vuoto creato dal timore di intervenire. Ho avuto anche la percezione che questo femminicidio fosse di serie b, qualcosa di cui fosse davvero meglio non parlare. Quando si rivendicano giuste cause, c’è una presa di posizione e c’è prontezza; invece, in questo caso, c’è stata lentezza sia di analisi che di parole perché non abbiamo ancora chiara la visione di cosa significhino realmente integrazione ed inclusione. Penso ad alta voce. Se la ragazza si fosse chiamata Cinzia o Paola che reazione avremmo avuto? Questa storia mette a nudo un sistema di accoglienza che, pur avendo fatto tanto, non è mai stato concepito e non si è mai concepito come un vero e proprio processo culturale che coinvolga gli stranieri che vivono in Italia. C’è una visione troppo paternalistica e assistenziale verso i migranti che si accolgono e così lo straniero anche nei migliori casi è sempre considerato un ospite. 
Nel caso della morte di Seid c’è stata una polarizzazione immediata, una reale capacità di accompagnare la sua prematura scomparsa con una narrazione chiara e coinvolgente, con Saman è stato diverso, è come se non fosse affar nostro il suo omicidio perché la narrazione lo relega alla sua comunità di origine. Per questo mi chiedo se l’Italia è pronta ad accogliere, come figli propri, i ragazzi di seconda generazione. L’alternativa sarebbe perpetuare la logica per cui non sono figli italiani. Una logica escludente.

Quanto è importante la Fatwa lanciata dall’Unione Islamica?

Come succede ogni volta che c’è un attentato terroristico si chiede alle comunità di dissociarsi. Chi ha una componente identitaria con la vittima, si sente lontano da questo episodio ma sa in cuor suo che deve condannarlo, perché l’opinione pubblica appiattisce il dibattito solo sulla fede della famiglia. Ma l’accaduto non riguarda la fede, il matrimonio forzato è un reato. È una pratica tribale che non può trovare alcuna giustificazione religiosa. Bisogna uscire da queste dinamiche. Anche nell’Ucoii c’è una nuova generazione che sta cambiando. Ha una visione più ampia. I figli di migranti nati in Italia hanno la capacità di interpretare i due mondi, le due culture. Per questo è importante includerli nel dibattito politico e culturale del nostro paese. 

Quanta ipocrisia c’è dietro al silenzio della morte di Saman?
Quando mi hanno detto che sono stata coraggiosa per le mie dichiarazioni controcorrente, ho risposto di no, che queste sono le mie parole sempre perché ogni giorno mi batto affinché i diritti degli stranieri siano equiparati a quelli degli italiani. Io conosco il mio nemico, i miei timori vengono da quelli che sono dalla mia parte. La sinistra ha avuto sempre un atteggiamento assistenzialista e paternalista, ma mai ha realizzato una valutazione alla pari. I migranti non arrivano qui solo per essere forza lavoro. Altrimenti è una nuova forma di colonialismo. Lo scambio deve essere alla pari. Lo straniero può essere un arricchimento per l’Italia. 

Alla seconda generazione nata e cresciuta in Italia mancano ancora i diritti. Quanto è importante dare loro un’identità, un documento, la cittadinanza?
È fondamentale riconoscere la cittadinanza. È fondamentale intervenire dal punto di vista normativo perché al momento non c’è nessuna legge che disciplina il loro status. Se noi avessimo riconosciuto la cittadinanza a Saman forse non sarebbe dovuta tornare a casa. Se un giovane non ha la cittadinanza, il riconoscimento del documento dipende sempre dalla famiglia di origine e quindi si mantengono legami che a volte si vogliono culturalmente interrompere. E poi, oltre al riconoscimento legale, bisogna affrancare questi ragazzi anche culturalmente. 

Come si superano gli stereotipi? 
La vera sfida che oggi attende le nuove generazioni con background migratorio è quella di avere più rappresentanza nelle istituzioni, nelle televisioni e nella società civile. Non è possibile che in Italia la televisione sia fatta solo da bianchi. Abbiamo bisogno anche di altri modelli, di altre voci. Spesso il migrante viene chiamato come testimone invece deve essere considerato un partecipante attivo alla vita sociale del nostro paese, alla pari degli italiani. 

Al tuo partito cosa chiedi?
A livello nazionale un coinvolgimento maggiore delle nuove generazione italiane. Portare al compimento una legge necessaria per i giovani nati e cresciuti in Italia. 

Ringraziamo Marwa per la disponibilità e per la lucidità nell’analizzare i fatti oltre la cronaca.
Per chi volesse seguirla vi segnaliamo il suo sito 

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