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Massimo Minopoli

Attivista politico

A Bagnoli vogliamo sviluppo, lavoro e bonifiche. No al carcere!

Dopo circa un secolo di vita, nel 1992, la più grande acciaieria di Napoli, l’Ilva di Bagnoli poi Italsider, chiude. Viene smantellata e in parte venduta ad aziende cinesi. Da allora si attende una bonifica che permetterebbe finalmente il rilancio socio-economico dell’area e con essa probabilmente di una città intera. All’apice della sua crescita l’attività industriale occupava un’area di 2.000.000 di metri quadrati e impiegava 8000 dipendenti. Di quella esperienza, oggi, rimangono una distesa di terra inquinata, un’archeologia industriale da valorizzare, l’incuria che prende il sopravvento, tante inchieste della magistratura, sprechi milionari, aree sequestrate, commissari, battaglie politiche e chi più ne ha più ne metta. 
Tutti i decisori politici che si sono susseguiti hanno buttano lì la propria idea, ma per gli abitanti la visione è chiara. Tre parole d’ordine: Bonifica, Lavoro e Servizi Sociali. Il tutto collegato in un’ottica di sviluppo sostenibile, di giustizia di prossimità in cui lo sviluppo economico può essere compatibile con la salvaguardia dell’ambiente e con la difesa dei beni comuni. In sostanza, un futuro migliore per le generazioni future.
Purtroppo, le aspettative e le battaglie degli abitanti devono essere poco chiare al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede che, in barba a qualsiasi studio messo in campo sullo sviluppo e la riqualificazione, a giugno del 2019 ha deciso di firmare un protocollo quadro assieme al Ministro della Difesa Elisabetta Trenta per la realizzazione di un Istituto Penitenziario presso la Caserma Cesare Battisti. Il tutto mentre la sua collega Ministro per il Sud, Barbara Lezzi, dichiarava nello stesso mese dello stesso anno di aver concluso la Conferenza dei servizi che dava il via libera alla rimodulazione del piano urbanistico. Con soldi stanziati per la realizzazione delle bonifiche, chiese il dissequestro dei terreni. Un’operazione senza precedenti.
Ma viene da sé, senza troppi giri di parole, presuppore che la mano destra non sa quella che fa la mano sinistra.
Come se non bastasse, Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, il soggetto pubblico attuatore della bonifica, in un documento ufficiale ha elencato tutta una serie di incongruenze rispetto all’iniziativa. Si può leggere, in effetti, che “il carcere sarebbe collocato a ridosso dell’area di proprietà di Invitalia oggetto della maggiore quota di edificazione prevista nel Programma di Risanamento Ambientale e di Rigenerazione Urbana”; che esiste, “il concreto rischio che le aree perdano attrattività e che diventi difficile trovare investitori disponibili ad acquistarle per la realizzazione degli edifici previsti”.
Si configura, quindi, l’ennesima battuta d’arresto, questa volta irrecuperabile, perché devia totalmente la direzione dei progetti messi in campo. E questa volta accade, non per ruberie o scandali, ma per la voglia di apparire di un ministro, due ministri e di altre figure insensate, che operano senza senno, al di fuori delle logiche e delle richieste dei quartieri anche limitrofi, che si sono già espressi duramente contro il carcere ribadendo la loro ferma opposizione.

Gli abitanti, d’altronde, non ne possono più di passerelle e propaganda sulle loro spalle. La cultura operaia ha lasciato un’impronta forte nei quartieri che vivono ancora grazie alla partecipazione dei cittadini di cui già Ermanno Rea tesseva le lodi.
Creiamo cento case della cultura, non una casa circondariale. 

Il Ministro Alfonso Bonafede ascolti i territori perché qui non si farà un solo passo indietro.



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