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Yasmin Tailak

Studentessa italo palestinese 

Abbattiamo i simboli del patriarcato.

Quando parliamo di violenza di genere sappiamo esattamente a cosa ci stiamo riferendo?
Per inquadrare un fenomeno è sempre necessario, infatti, delimitarne i confini, perché tracciare una linea che possa aiutarci a definire un oggetto in termini chiari ed inequivocabili è il primo passo per riconoscere quell'oggetto nel marasma caotico e pluralistico che è il mondo.
Per violenza di genere si intende ogni atto che possa arrecare un danno fisico, mentale e materiale ad una donna in quanto donna. È anche definibile come la violenza sistemica operata da un genere sull'altro.
Qui il termine 'genere' è inteso come sostituzione di 'sesso', secondo la strada battuta da una certa tradizione storica che ha preferito adoperare il primo al posto del secondo, ritenendolo più degno e valido per approdare nelle accademie, nei trattati giuridici e negli incontri internazionali.
Ebbene: 'in quanto donna' cosa significa?
Spesso chi si diverte a muovere accuse alla terminologia che descrive la violenza di genere cerca di insinuare che l'utilizzo di un determinato vocabolo, di una certa espressione, sia una scelta di parzialità, di moda, di una tendenza tutta moderla che avallerebbe la fantomatica lotta tra i sessi.
Quante volte abbiamo visto gli utenti dei social media storcere i loro nasi virtuali davanti alla parola 'femminicidio'? Quante volte li abbiamo visti chiedere a gran voce un'equivalenza, un termine che bilanciasse delle situazioni che bilanciate non sono? E che si parlasse, ad esempio, di 'maschicidio', o di violenza di genere anche nel caso di una donna gelosa che ammazza il marito?
Con l'abbattimento del muro comunicativo che separava prima di Internet l'intellettuale dal non intellettuale, lo scolarizzato dal non scolarizzato, l'esperto dal tifoso occasionale, non è più necessario essere uno storico di genere o una femminista di grande esperienza per poter mettere bocca su precise scelte del linguaggio.
Basta scoprirsi piccati, offesi o indignati per decidere che 'femminicidio' o 'donna in quanto donna' non abbiano significato alcuno.

Ma il senso è tutto lì: cercare nella storia.
Perchè è evidente che la prima e più imponente divisione gerarchica che sia mai esistita al mondo è quella che divide gli uomini dalle donne, e nella maniera in cui gli uomini sottomettono le donne.
Ancora prima di quella che opponesse i padroni agli schiavi, i bianchi ai neri, i ricchi ai poveri, c'è la dicotomia di potere che oppone i maschi alle femmine.
La creazione di una struttura di subordinazione sessuale non deriva soltanto da una spiegazione in un certo senso darwinista, che vede all'apice della piramide 'il più forte' e alla base 'il più debole', ma trova un significato profondo nella costruzione dell'immaginario simbolico della donna.
Se la violenza su un uomo è un fatto che deve destare una condanna sulla violenza, la violenza di genere, nascendo da una dinamica di potere, ha sempre un significato sociale, e l'analisi in questo caso non può che allargarsi dal singolo autore della violenza a un'intera struttura di pensiero.
Il colpevole è il simbolo. L'aver ricamato attorno ad uno dei due sessi un complesso insieme di immagini culturali che ha determinato, in maniera formidabilmente diffusa in tutto il globo, l'essere donna 'in quanto donna'. Se il potere maschile ha avuto così tanto successo – ed è davvero questo il primordiale punto in comune tra tutte le società della storia umana, di ogni luogo e di ogni tempo – è perchè ha tessuto la propria legittimità sulla delegittimazione dell'immagine della donna.

Il simbolo colpisce le donne nella storia in diversi modi: con l'immaginario sulla virtù, con l'immaginario sulla sessualità, e con l'immaginario sull' inferiorità fisica e mentale.

La costruzione simbolica della donna come custode della virtù e della reputazione maschile ha prodotto storicamente almeno due forme di violenza di genere: il delitto d'onore, molto consueto nelle società mediterranee, e che nel nostro Paese ha dato fino al 1981 – cioè ieri - il diritto ad un uomo di avvalersi di attenuanti giuridiche nel caso di uccisione di una donna della sua famiglia.
Il secondo tipo di violenza di genere veicolata da questa costruzione è quella che produce ancora oggi quelle forme di aggressione fisica e verbale che si verificano in ambito domestico. In questo caso generalmente la moglie che sfugge al controllo del marito e alle sue volontà viene punita per non rispondere al modello di donna in quanto donna, e cioè legata per sempre alla casa e al coniuge.

La costruzione simbolica della sessualità della donna come trascurabile e deprecabile difetto di fabbricazione di una macchina destinata a fare figli ha prodotto la terribile consuetudine delle mutilazioni genitali femminili. Il sesso di una donna è da contenere, perchè è sporco e può danneggiare un matrimonio felice o l'intera società.
La società africana e non solo (sono circa 30 i paesi in cui avviene questo tipo di mutilazione) ha deciso che fosse necessario prevenire il desiderio femminile e la soluzione è l'escissione del clitoride e delle piccole labbra di centinaia di milioni di bambine e donne, a cui viene precluso, per tutto il resto della loro vita, il piacere sessuale.
Dall'altra parte abbiamo un immaginario che sembrerebbe opposto, e che vede la sessualità femminile come qualcosa di 'anomalo' e 'anormale', rispetto a quella maschile. Qualcosa che deve destare un interesse superlativo, morboso, e compulsivo. A questa costruzione, tipica dei tabù e delle interdizioni, si devono i fenomeni di revenge porn, o di diffusione illecita di materiale visivo non consensuale, che a tutti gli effetti schiacciano il genere femminile nelle società in cui esso avviene. Il giudizio che ancora oggi si abbatte sul sesso femminile è diametralmente opposto a quello che si da alla controparte maschile.

Al tema centrale della sessualità si lega almeno un altro simbolo culturale dalla portata devastante: l'immagine del corpo femminile come oggetto incapace di autodeterminazione fisica, che deve subire l'imposizione maschile, perché messo al mondo per compiacere e sottostare alla volontà dell'uomo, in una dinamica che mischia aggressività, sesso e potere; le sue conseguenze più visibili sono gli stupri, declinati in tutte le loro forme, come atti di violenza individuale, come armi da guerra vere e proprie, e come dispositivi di sottomissione e obbligo in ambito coniugale.

Infine abbiamo l'immagine culturale del cervello femminile come inferiore, e la costruzione simbolica della donna come essere imperfetto, emotivo, preda del sentimento, incapace di gestirsi, di dare giudizio, e di autodeterminarsi mentalmente, fortissima in tutte le società della storia.
Fino ad una manciata di anni fa era impossibile, ad esempio, per una donna iraniana, accedere alla cariche di magistratura e giudizio. Sebbene questo non sia classificabile direttamente come violenza di genere, è chiaro che una narrazione di questo tipo abbia avuto una componente fondamentale nei danni mentali e materiali che le donne hanno subito e subiscono in molte parti del mondo.

Ecco cosa significa nascere 'donna in quanto donna': significa portarsi addosso, per tutta la vita, il peso di simboli iniqui e devastanti, di una storia di disgraziati immaginari utili alla preservazione del potere maschilista. Ecco perchè bisogna parlare di violenza di genere, di femminicidio. Perchè oggi, e in questo momento in cui state leggendo le donne subiscono stupri, ricatti economici, mutilazioni genitali, insulti, esclusioni, oggettificazioni e uccisioni solo perchè donne.
Come possiamo pretendere la fine della violenza di genere se ancora oggi si guarda alle donne come meno capaci e meno razionali, più sentimentali e più sacrificabili, più colpevoli e più responsabili degli uomini?
Abbattere il patriarcato è solo uno slogan vuoto e inutile, se prima non abbattiamo i simboli con cui il sistema patriarcale ha falcidiato, da sempre, le donne.
È ora di farlo.
Abbattiamoli.
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