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Tonino Scala

Attivista politico

Cos’è stato il PCI

Per me come per tanti un grande sogno, un sogno collettivo, ma non solo. Il PCI è stato uno straordinario partito di massa, di popolo, che era riuscito a tenere insieme operai, intellettuali, contadini, analfabeti, giovani che volevano cambiare il mondo e chi il mondo, a partire da casa propria, era riuscito a cambiarlo: i partigiani. Anche questa espressione ricca non riesce a contenere la vera essenza di quello che non era solo un partito. Il PCI è stata luogo di militanza, di passione, di solidarietà, di curiosità, di impegno, di cultura, di studio, i miei primi libri da leggere li ho trovati in sezione dove ho anche letto e poi distribuito il mio primo giornale: l’Unità. Ogni domenica distribuito 100 giornali nel mio quartiere. Sono un comunista e me ne vanto. Mi iscrissi al Pci, passando prima per la Fgci, nel mio quartiere, la sez. Karl Marx era una delle poche cose che funzionava. Volevo la Luna per dirla alla Ingrao e quella passava per quella grande organizzazione che non era solo un partito. Entrai in sezione, avevo i calzoncini corti. C’era Emilio, da tutti conosciuto come ‘o presidente, “sono un comunista”, dissi, “vorrei iscrivermi”. Alzò gli occhi, mi guardo con sufficienza poi: “lì c’è il secchio e la colla, ora vengo e ti insegno come si fa: stasera si esce”. “La colla? Ma io voglio fare politica” fu la mia risposta. “Inizia a preparare la colla, attacca i manifesti, leggili attaccandoli, per fare politica devi saper fare questo”. Quella fu la mia prima lezione politica. Avevo 14 anni. Mi manca quel mondo e non è solo una questione nostalgica. Mi manca quel mondo, quel partito che è stato un riferimento importante nella mia vita, nella mia formazione e nelle storie individuali di milioni di donne e di uomini. Una immensa e straordinaria comunità, un paese Partito che si estendeva in tutto lo stivale, in ogni anfratto esistenziale. Un mondo in cui essere compagni ed avere in tasca la tessera del Pci costituiva un inalienabile diritto di cittadinanza. Il Pci per me è stato tanto lasciando in me quella curiosità, quella voglia di ricerca spasmodica che vede la politica come primato e sintesi tra democrazia partecipativa e democrazia rappresentativa, che ancora oggi continua ad affascinarmi. Quello è ancora il fulcro del mio lungo e tortuoso percorso politico. La politica è anche scontro e lo capii al XX congresso del PCI, ero un figgicciotto. La mozione Ingrao-Cossutta ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, uno lo eleggemmo noi giovani napoletani: si vendette strada facendo passando dall’altro lato. Ma questa è altra storia. Non volevamo cambiare il nome. La nostra non era una scelta nostalgica, non l’attaccamento a quella falce e martello, alla bandiera rossa. Sì, c’era anche quello come corollario, ma eravamo convinti che non si potesse buttare alle ortiche le proprie storia e identità, lasciando al proprio destino milioni d’individui. Era un altro mondo, non privo di scandali, non privo di ombre anzi, non senza ingiustizie, ma c’era il PCI, il Partito Comunista Italiano, che è stato la più grande scuola culturale di massa di questo Paese. Quello che manca alla generazione dei miei figli. Una grande scuola di vita prima che politica che ha costruito sogni e speranze di milioni di uomini e donne che hanno sacrificato la propria vita per rincorrere la luna. Tanti, per fortuna, ancora la rincorrono.
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