Layout del blog

Gennaro Salzano

Saggista e scrittore

Da Moro al PD: il mutamento culturale dei democratici sulla Palestina

E ancora siamo di fronte a una tragica crescita di violenza nella martoriata Terra Santa. Ancora siamo di fronte alla scena agghiacciante di alte colonne di fuoco che si levano da territori martoriati abitati da milioni di profughi sulla cui pelle si giocano scontri di potere ormai privi di ogni freno morale. E’una storia antica di fronte alla quale neanche nei momenti di maggiore lustro delle Nazioni Unite si è mai riusciti a creare delle reali condizioni di pace definitiva. E l’unica volta che si era andati vicinissimi all’obbiettivo, ci ha pensato il fanatismo di destra ebraico a fermare la pace con l’omicidio di Isaac Rabin. E’ una storia antica nella quale, per lungo tempo è stata fortemente coinvolta anche l’Italia. A volerci limitare al secondo dopoguerra l’interesse italiano verso la questione palestinese è stato molto forte a partire dalla metà degli anni ’60, da quando cioè la Palestina stessa ha cominciato a porsi come “questione” a livello internazionale. I motivi fondamentali per cui la Palestina era nel cuore della politica estera italiana sono fondamentalmente tre: la salvaguardia e protezione dei luoghi santi del cristianesimo, particolarmente cari all’Italia democristiana; la necessità di mantenere un rapporto privilegiato col mondo arabo, soprattutto, ma non solo, per via delle forniture petrolifere; questioni umanitarie. A questi, si aggiunge negli anni ’70, un motivo tutto interno che riguardava il dialogo Dc-Pci avviato da Moro. 

La premura per i luoghi santi del cristianesimo era dettata sia da una naturale sensibilità della dirigenza del Paese, sia dal rapporto privilegiato che l’Italia ha con lo Stato della Città del Vaticano che è direttamente legato ai luoghi santi della Palestina.

I motivi umanitari, invece prendevano piede, nella politica estera del secondo dopoguerra e in particolare dagli anni ’60 in poi, soprattutto a causa dell’irruzione di un protagonista nuovo nell’ambito delle relazioni internazionali: l’opinione pubblica. La diffusione sempre più massiccia dei mezzi di comunicazione di massa, unita a una crescente scolarizzazione della popolazione, portavano come conseguenza l’interessamento crescente alle vicende politiche anche in ambito internazionale, con la formazione di opinioni diffuse tali da non poter essere ignorate dalla dirigenza politica del Paese. L’empatia verso le sofferenze di un popolo, quindi, è la ricerca della stabilità nell’area, quindi, erano diventati occasione di valutazione e di giudizio verso le politiche messe in campo dal Paese. A ciò occorre poi aggiungere che, per una classe politica che aveva vissuto le bombe e la distruzione del proprio Paese, non poteva certo destare indifferenza la sorte di popoli che vivevano la stessa condizione. 

La questione petrolifera, poi, era probabilmente il motivo più stringente. Per legare la Palestina, terra poverissima e priva di qualsiasi risorsa naturale, alla questione petrolifera, occorre ricordare che i palestinesi, nell’ambito del mondo arabo, sono sempre stati l’anello debole, quello che cioè più direttamente ha subito sulla propria pelle l’insediamento di uno stato ebraico nel cuore del Medio Oriente arabo. Sono i palestinesi che hanno subito la “Nakba”, la cacciata dalle terre su cui avevano abitato da sempre, avviando la nascita di immensi campi profughi che sono stati poi il seme dal quale è germinata una vera e propria identità nazionale palestinese che, fino a quel momento, era di fatto inesistente; sono loro gli unici che, a dispetto di tutte le risoluzioni Onu, non hanno mai avuto uno Stato. Un anello debole, tra Arabia Saudita, Siria, Giordania, Iraq, Iran che era però utilissimo come pietra di scandalo da venire additata come colpa dell’Occidente dagli altri paesi arabi, nei momenti di tensione nel Mediterraneo orientale. Una strumentalizzazione che si manifestava pienamente ogniqualvolta, superate le tensioni, la questione palestinese veniva puntualmente dimenticata dagli arabi stessi. Una condizione che, sia detto per inciso, è stata anche la molla che ha prodotto la nascita dell’Olp e delle organizzazioni militari in essa raccolte, come strumento per avviare la rivendicazione nazionale palestinese. 

Di fronte a questo scenario, la dirigenza politica italiana, con Moro in particolare, fu la prima in ambito occidentale ad identificare nella Palestina una “questione”, un nodo irrisolto che teneva costantemente in tensione l’intero Medio Oriente. Togliere l’alibi dei palestinesi ai paesi arabi, quindi, avrebbe significato creare delle condizioni di stabilità in quell’area, cruciale per l’economia mondiale, e quindi spostare i conflitti di tipo economico su un altro piano che non fosse quello militare. 
L’Italia di Moro, dunque, e successivamente quella di Andreotti e di Craxi, fu una autentica paladina dei diritti dei palestinesi in tutti i consessi internazionali, dalle Nazioni Unite alla Nato alla Comunità europea. Ma fu anche il referente privilegiato, a tratti oserei unico, dei Paesi arabi, dal Maghreb al Medio Oriente nelle relazioni nord – sud al punto che questi Paesi accettarono di partecipare, come invitati uditori, alla conferenza di Helsinki, solo in quanto garantiti dalla presenza di Aldo Moro. Una relazione speciale e particolare tra Italia e mondo arabo, che da un lato fece dello stivale una vera e propria potenza mediterranea, scavalcando inglesi e francesi, e dall’altro la rese obiettivo posto nel mirino di quegli stessi Paesi che avevano visto crollare il loro peso politico nel Mediterraneo a causa dell’Italia, a cominciare dai tempi di Enrico Mattei. 

Una posizione molto solida che fu aiutata anche dal dialogo avviato all’interno tra Dc e Pci, dato che la Palestina era centrale anche nell’agenda dell’Unione Sovietica, da sempre interessatissima a metterei piedi nel Mediterraneo. Un’attenzione che rese la Terra santa una “questione” anche per l’intero mondo comunista. 

In questo non si può poi eludere la particolare sensibilità morotea verso la composizione dei conflitti. Per Moro, infatti, là dove esisteva una nazione, un popolo, là esisteva anche uno Stato, che, in quanto quale, era chiamato a costruire le proprie strutture giuridiche e, quindi, politiche, in modo tale da renderlo capace di essere in dialogo costruttivo e “amorevole” con gli Stati vicini, al fine di raggiungere la progressiva unità dell’intero genere umano. Era questa una visione filosofica prima che politica, che nasceva dal Moro filosofo del diritto prima che dal Moro politico, ma che, proprio perché cifra fondamentale della sua coscienza, non poteva essere elusa nella costruzione della sua azione politica. Una azione che, sia in abito interno che internazionale, si può sintetizzare con la costante capacità della ricerca del consenso sugli accordi che venivano di volta in volta stipulati da parti contrapposte. Secondo Moro, infatti, nessun accordo poteva reggere se su di esso non ci fosse stato un reale consenso tra le parti che erano chiamate a sottoscriverlo. Nessuna clausola, nessuna forza, nessuna violenza poteva essere più forte della intima convinzione che le parti sottoscrittici di un patto, avessero, circa la bontà della soluzione raggiunta. 

Se questi, in sintesi, sono stati i principi e le questioni politiche che hanno reso negli anni della cosiddetta Prima Repubblica, l’Italia un protagonista indiscusso della politica Mediterranea occorre prendere atto che quella posizione di forza è andata via via scemando con l’avvento della “rivoluzione” di Mani Pulite e con la conseguente decapitazione di una intera classe politica, oltre che per i cambiamenti che sono avvenuti nel mondo a cominciare dalla caduta del muro di Berlino. Una rivoluzione dei paradigmi geopolitici che ha trovato il nostro Paese impreparato al punto da fargli perdere enormemente terreno anche, e forse soprattutto, proprio nel Mediterraneo. L’Italia di oggi è stata capace di sottoscrivere un accordo di amicizia con la Libia per poi essere costretta ad accodarsi ai bombardamenti che hanno destituito Gheddafi; è il Paese che aveva nell’Egitto un partner privilegiato e che ha dovuto subire lo smacco pesantissimo sul piano politico e umano, dell’omicidio Regeni; è il Paese che dai legami strettissimi con la Turchia è stato capace di farsi soppiantare di fatto, dai turchi, in tutto il Mediterraneo orientale. L’Italia di oggi, insomma, appare in balia di eventi che non è più capace di influenzare e di indirizzare verso equilibri che siano favorevoli ai suoi interessi. Una debolezza che si è vista anche nelle ultime ore con lo schiacciamento dell’intero spettro delle forze politiche su una acritica posizione filo-Israeliana senza tentare neanche di mantenere la parvenza della antica “equivicinanza” tra israeliani e palestinesi. 

Uno schiacciamento che nasce, da un lato, dal prevalere di una posizione politico-culturale di destra che orami attraversa in maniera più o meno forte, tutti i principali partiti politici, tale da indurli tutti, da Fdi al Pd, a non profferire alcuna valutazione seppur velatamente critica, nei confronti non di Israele in quanto Stato, che ha tutto il diritto di vivere e di prosperare, ma nei confronti di un governo che ha nel nazionalismo, nell’imperialismo e nell’apartheid, le sue cifre caratterizzanti, al punto da approvare una legge, una Basic law, che ha quasi-costituzionalizzato Israele come Stato costruito su base etnico-religiosa e dall’altro da una ridefinizione degli equilibri di potenza globali che, avviandosi verso una nuova cristallizzazione in blocchi, rende possibile una politica estera capace di cogliere spazi di autonomia solo in presenza di una autorevole e capace classe dirigente.

All’assoluta debolezza politica dell’Italia di oggi, e alla sua omologazione culturale a destra, si somma poi il dato oggettivo di una questione palestinese che ha perso molto terreno sul piano internazionale per diversi motivi. Innanzitutto non è più questione centrale per il mondo arabo e per i rapporti tra arabi e occidente, ormai incanalati su altri binari. In più è stata anche depotenziata sul piano interno. L’ANP non riesce più ad interpretare una politica di cambiamento, di rinnovamento, di adeguamento ai tempi che richiederebbero una diversa capacità politica staccata dalle categorie dei tempi di Arafat; vive una sclerosi della sua dirigenza che la rende statica e che, in quanto tale, spinge Hamas ad azioni di forza violente che puntano ad acquisire una egemonia che ancora non ha sulla popolazione palestinese. Le divisioni interne al fronte palestinese appaiono in tutta evidenza, quindi, come una causa non irrilevante della spregiudicata politica degli insediamenti portata avanti da Israele nella West bank. Il tutto condito dalla mancanza di volontà di Usa e di Europa nel portare realmente a termine un solido e duraturo processo di pace. Una mancanza di volontà che è stata anch’essa occasione di indebolimento della leadership di Abu Mazen e dell’intera ANP, che, affidatasi all’Occidente, è stata poi abbandonata, provocando una forte crisi di credibilità. Un percorso insomma che ha reso ormai impossibile, sul campo, l’obiettivo antico della pacificazione attraverso la formula dei “due popoli, due Stati”, per il semplicissimo motivo che il territorio che avrebbe dovuto essere dello Stato palestinese è stato completamente occupato dai coloni israeliani. Di fronte a tanto, è apparsa quanto mai stucchevole ed ipocrita il richiamo fatto dal segretario del Pd al “due popoli due Stati” dopo che il partito è stato schierato manifestamente a favore di una sola delle parti in conflitto. 

Questa posizione del maggior partito della sinistra italiana, che ormai per dimensioni è soltanto un partito medio, certo non aiuta la ricerca di un punto di accordo tra le parti. Un dato che viene reso secondario solo dal fatto che ormai lo stesso Pd conta molto poco nella possibilità di influenzare scelte politiche a livello internazionale, per giunta, in un quadro la stessa Italia conta abbastanza poco. Resta però che la sinistra filo-ebraica rappresenta una sanzione inequivocabile della forte mutazione culturale che l’ha investita dalla fine del secolo scorso ad oggi, fino ad allinearla alle posizioni della destra sovranista. Uno schierarsi che però ha avuto un forte impatto emotivo e simbolico e che ha palesato anche una divergenza fortissima, anche in questo campo, con le posizioni espresse da un antico riferimento della componente ex-dc del del Pd quale è la Chiesa cattolica, che, attraverso il Patriarcato di Gerusalemme, ha esplicitamente ribadito la vicinanza alla sofferenza del popolo palestinese. 

Evidentemente i motivi umanitari, che nella Prima Repubblica contavano molto, contano ancora solo per la Chiesa e per qualche uomo di buona volontà. Il resto è debolezza e cinismo.       

Autore: La redazione 27 lug, 2023
Politiche per il cambiamento climatico significa città sostenibili. Quelle italiane sono pronte?
Autore: Andrea Maestri 08 mar, 2023
Lettera alla donne di Cutro
Autore: Irina Di Ruocco 07 mar, 2023
Tra Super-bonus e Super-opportunità
Autore: Giancarlo Marino 04 mar, 2023
La copertina è tratta da Palestina. Una nazione occupata opera di Joe Sacco fumettista e giornalista. 
Autore: Paolo De Martino 27 feb, 2023
La vera sfida inizia adesso
Autore: La redazione 25 feb, 2023
Il sostegno a una confederazione israelo-palestinese sta guadagnando terreno
Show More
Share by: