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Paolo De Martino

redazione Resistenza Civile

Il sindaco della città si scelga a Napoli. No agli accordi romani

La scelta del candidato sindaco di Napoli del centrosinistra è ancora una chimera. Le affermazioni di Gaetano Manfredi in pole position per la corsa a palazzo San Giacomo pare che siano state un niet per la sua investitura. 

“Non potrei fare ciò che credo si debba fare: rispondere concretamente alle aspettative dei napoletani. Sarei solo un commissario liquidatore" si legge nella sua nota pubblicata sui social. Tradotto significa che il buco del bilancio comunale non permetterebbe di fare nulla se non dichiarare il dissesto. Certo, non è una novità che le casse del comune siano vuote anzi siano piene di cambiali che, ad onor del vero, sono state lasciate in eredità a De Magistris dalla precedente amministrazione Iervolino. L’allora assessore al Bilancio del comune di Napoli, Enrico Cardillo sottoscrisse gli swap cioè i derivati. In quel periodo, il deus ex machina del comune viaggiava spesso verso l’Inghilterra alla ricerca di prestiti. Per Cardillo risolvere la situazione significava rimandare il problema. 

In quegli anni le banche, soprattutto straniere, offrivano alle amministrazioni locali, così come a tantissime aziende private, la possibilità di accedere a questo istituto finanziario. Nello specifico garantivano i rischi economici degli enti, dando loro la possibilità di liquidità, ovviamente da restituire successivamente con gli interessi. Gli interessi sono aumentati e non c’è stato un vero piano di risanamento. Vi ricordate di Realfonso? No, non era un viceré in epoca aragonese, ma un economista, punto di riferimento in Italia della scuola classico-keynesiana che prese il posto di Cardillo dimissionario, ma il Robin Hood, come venne battezzato da Rosetta Iervolino, se ne andò sbattendo la porta dopo aver denunciato il sistema clientelare che teneva in ostaggio la sindaca. Dopo poco il suo appellativo divenne anche un libro Robin Hood a Palazzo San Giacomo. Le battaglie di un riformatore al Comune di Napoli, nel volume Realfonzo denuncia le pratiche clientelari che di fatto impedivano una corretta gestione della macchina comunale. La sua denuncia divenne impegno per la rivoluzione del Masaniello arancione, prima a fianco a fianco a De Magistris nella campagna elettorale, per poi ricoprire l’incarico di assessore al bilancio della giunta a guida DeMa, di cui fu un forte sostenitore. Poi dopo un anno lasciò l’incarico in polemica con lo stesso sindaco.
 
Realfonso già nel 2016 dichiarava in un’intervista, le pessime condizioni del bilancio del comune e le scelte scellerate dell’amministrazione: "Il Comune è in condizioni fallimentari.” Come si è andato avanti? Come si sono garantiti i servizi? Tutto ciò è dovuto al fatto che l’amministrazione De Magistris già nel 2013 dichiarò formalmente il pre-dissesto aderendo alla procedura del decreto “Salva Comuni”. C’è da dire che Napoli, in qualche modo, è l’archetipo dei problemi amministrativi di molte città italiane, da Roma a Milano. Nodi irrisolti e casse miseramente vuote che le varie giunte di De Magistris non sono riuscite a risanare, non solo per mancate scelte ben precise ma anche perché negli ultimi anni, il sindaco ha creato attorno a sé nemici giurati nelle istituzioni nazionali che lo hanno isolato. 

Ed eccoci qui, punto e a capo o meglio con le pacche nell’acqua come si dice dalle nostre parti. Manfredi che non è uno sprovveduto ha tenuto a precisare che il prossimo Sindaco dovrà dichiarare fallimento. Le parole dell’ex ministro all’università e alla ricerca, hanno subito trovato eco nazionale nelle dichiarazioni di Conte: “La sua denuncia sul dissesto merita assunzione di responsabilità”, a chi si riferiva l’avvocato del popolo? Al governo. Questa questione del bilancio se fino a ieri riguardava i tecnici e gli appassionati di economia, adesso è materia da campagna elettorale a meno che il governo nei prossimi mesi e prima delle elezioni non vari un nuovo “salva Napoli” che poi dovrebbe riguardare anche altre città. Il debito del comune di Napoli esiste e e ha nomi e cognomi, storie e persone, sentenze della Corte di Appello e dati reali. Ma nessun commisariamento da Roma, il Sindaco deve essere scelto a Napoli. In tutto questo rumore mediatico di dichiarazioni about al bilancio la politica locale è confusa. 

Il Pd napoletano, a parte la foto ricordo di Sarracino insieme ai residuati pentastellati che in un bar di Napoli siglano “il patto di Posillipo” (già cosi fa ridere, la foto invece fa piangere), non ha prodotto nulla. I nomi, quelli spettano alle segreterie romane. Ma è evidente già lo scollamento di parte della base e degli stessi dirigenti della coalizione giallorossa. 

La vera novità della settimana politica, sono i rumors che provengono da alcune testate locali che annunciano un avvicinamento tra Bassolino e la Clemente. Questo sarebbe un segnale importante perché sancirebbe un accordo del tutto home made cioè fatto in casa Napoli a discapito dei leader politici nazionali. Da mesi sulle nostre umili pagine esortiamo le forze politiche napoletane in orbita centrosinistra a trovare un accordo e smetterla di puntare sui punti di scontro e provare a dialogare sui punti in comune per il bene dei napoletani. Sono anni che i partiti hanno abbandonato i temi centrali della città, e di fatto hanno abbandonato Napoli; i capi partito sono giovani ma vecchi dentro, sono rintanati nelle loro stanze senza idee e vittime dei capibastione. Mentre, Bassolino, che hanno definito vecchio, è già in campagna elettorale da mesi frequentando più le periferie che i salotti chiattilli. D’altra parte Alessandra Clemente è una giovane donna con quasi 10 anni di amministrazione alle spalle che, a prescindere dalle singole valutazioni, è sempre stata presente e di fatto è lei il Sindaco di questa città. I due in comune hanno la voglia di riscatto ed entrambe sono candidature nate dal basso con una base solida di consenso. Che sia la volta buona che la tela, in questo caso di Partenope, possa trovare la sua fine? Staremo a vedere.
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