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Andrés Lasso

Attivista Politico

Firenze, un anno dopo tutti i dubbi sono ora certezze.

Ieri, 26 maggio, è trascorso un anno dalle elezioni fiorentine: le ricorrenze sono sempre un'ottima occasione per fare dei bilanci.
In questo vorrei evitare di emulare un petulante personaggio di Hannah e Barbera, che ripeteva continuamente "io l'avevo detto".
Dico questo perché l'attualità ci sta dando delle conferme importanti sulle battaglie e sulle proposte che portammo avanti un secolo fa, ops, volevo dire un anno fa, per le elezioni.
E' di questi giorni un importante articolo del Corriere Fiorentino che confronta le città di Firenze e Bologna e che mostra come la città emiliana sia più solida finanziariamente in questo momento di crisi a causa di una diversa modulazione dell'addizionale IRPEF, che porta nelle casse del comune 5 volte più entrate rispetto al nostro comune.
La nostra proposta di rimodulazione in senso progressivo delle aliquote, un anno fa sembrava una questione marginale. Quando in un confronto pubblico feci notare che quella fiorentina era nei fatti una flat tax, il sindaco liquidò la cosa dicendo che Firenze aveva le tasse più basse d'Italia. (Chiesi la replica per ribadire che bisogna vantarsi di avere le tasse più giuste, non le più basse.) La nostra proposta, disegnata grazie all'ottimo lavoro del gruppo di economisti che hanno partecipato alla scrittura del programma, tra cui Caterina Arciprete, Paolo Brunori, Giorgio Ricchiuti e altri, è oggi un modello su cui tanti sembrano convergere.
Ma questo è solo uno dei temi su cui abbiamo avuto conferme. Sullo stadio, per molti mesi dissi che la strada Mercafir era un vicolo cieco e che Firenze non può reggere due stadi. Abbiamo visto il Quartiere 2 sottolineare le stesse esigenze, abbiamo visto la proprietà viola disertare il bando Mercafir (dopo che la variante era stata votata in modo compatto da tutta la maggioranza), abbiamo visto sempre più autorevoli opinioni indicare la strada che indicavamo per Campo di Marte e per il Franchi.
Dell'aeroporto sarebbe quasi superfluo parlare: il giorno stesso in cui arrivavano i deludenti risultati dalle urne, arrivava la sentenza del TAR che confermava quanto affermavamo, che la valutazione di impatto ambientale era stata a dir poco superficiale, non valutando di fatto le enormi difficoltà dell'incastrare nel fazzoletto di terra tra Peretola e Sesto un progetto dagli impatti enormi. Alcuni mesi dopo il Consiglio di Stato avrebbe ribadito in modo se possibile ancora più forte tali concetti.

Oggi leggiamo molti articoli sul "mangificio" Firenze e sulla connessa fragilità della città e in particolare del suo centro. Quando scrivevamo di un rischio di "sindrome olandese per Firenze" intendevamo proprio questo: se un settore economico cresce in modo anomalo spiazzando tutti gli altri, come avvenuto in Olanda a seguito della scoperta dei giacimenti di gas naturale 60 anni fa, si rende fragile tutta l'economia locale, la si espone a un collasso e a una desertificazione economica quando le condizioni cambiano.
Ma ancora: nei mesi scorsi, l'analisi ministeriale dei costi e benefici sul progetto Foster ha confermato ciò che sottolineavamo, ovvero l'imprescindibile necessità delle stazioni di superficie e di un servizio ferroviario metropolitano, stazioni previste nel progetto iniziale e sparite dai radar nel 2011, durante la consiliatura Renzi.
A ciò aggiungo la necessità che nella stazione AV fermino tutti i treni AV e non solo una piccola frazione, per evitare rischi di stazioni sovradimensionate come tiburtina a Roma. E' questo il motivo per il quale alla domanda su quale sarebbe stato il mio primo atto in caso di vittoria, risposi sempre che intendevo mettere a un tavolo FS, NTV, Trenitalia, per verificare se ci fossero tali condizioni, sulle quali vari attori in gioco sembrano restii.
Si potrebbe aggiungere tanto altro: dalle zone 30 su cui insistevamo e su cui sempre più spesso si sente parlare, ultimamente ad esempio dal professor De Luca, all'idea di una città dei 15 minuti, uno dei contributi preziosi apportati da Giannozzo Pucci alla nostra visione di città e alla nostra lista, idea che oggi ritroviamo nei piani della sindaca di Parigi Hidalgo.
Per non parlare di una diversa e più partecipata gestione del verde pubblico, tema divenuto assai caldo in diversi momenti dell'ultimo anno.

Sottolineare queste convergenze non è fine a sé stesso, non è solo un modo di rallegrarci dell'ottimo lavoro fatto da quel gruppo, credo invece spinga a un'ulteriore riflessione.
La politica ha spesso più a che fare con l'avere consenso che con l'avere ragione, e questo può diventare il suo limite, perché può spingere a logiche identitarie e sterili piuttosto che alla ricerca delle idee, a privilegiare lo slogan rispetto all'approfondimento, a privilegiare il tatticismo anziché la ricerca dell'unanimità su alcune proposte. La storia di questi ultimi mesi e in particolare le fragilità svelate dalla pandemia ci mostrano l'importanza di una politica diversa, in cui la ricerca di ciò che è giusto prevale sulla ricerca di ciò che attrae, in cui le parole tornano ad avere un valore e ad essere soppesate, in cui l'attenzione alla competenza prevale sull'attenzione alla visibilità.

Sicuramente il risultato sotto le attese ci dice che degli errori nostri ci furono, ma forse non è presunzione pensare che l'esperienza di quel piccolo gruppo di persone che due anni fa scelse di fare politica e che per alcuni mesi ha camminato insieme, possa aver qualcosa da dire alla politica attuale, in un momento particolarmente difficile e incerto per la nostra comunità locale, nazionale e planetaria.
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