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Domenico Carrara

Scrittore

Il mestiere di vivere: Cesare Pavese e il senso del raccontare. 

Riguardo Il mestiere di vivere di Cesare Pavese si è scritto molto, soffermandosi in special modo sui dettagli biografici, sulle ragioni del suicidio avvenuto ormai settant'anni fa. È stato messo in rilievo soprattutto il legame tra amore e morte nell'esperienza dell'autore, il rapporto ambiguo con le donne, una misoginia derivata dall'impossibilità di trovare chi potesse corrispondere ai suoi sentimenti. Un altro grande tema trattato nel diario è quello della letteratura, vissuta dal piemontese con pienezza e passione a partire dalle prime riflessioni riguardo la poesia che non può essere soltanto ragionamento: "sia detto con cautela contro Baudelaire, in poesia non è tutto prevedibile", annota Pavese, "e componendo si scelgono talvolta forme non per ragione veduta ma ad istinto; e si crea, senza sapere con definita chiarezza come". La sua ricerca si rivolgeva al raggiungimento di una metrica personale, perché - come dichiarato in una nota su Lavorare stanca - non voleva rifarsi a quella classica e neppure apprezzava senza riserve il verso libero. In fondo non si può aver totale controllo neppure del risultato che i componimenti sortiranno ("far poesie è come far l'amore: non si saprà mai se la propria gioia è condivisa"). Resta dunque una parte istintiva, qualcosa che non è possibile spiegare soltanto con il ragionamento, perché a far approdare all'espressione artistica è il più delle volte un'urgenza: "Gli uomini che hanno una tempestosa vita interiore e non cercano sfogo o nei discorsi o nella scrittura, sono semplicemente uomini che non hanno una tempestosa vita interiore". E la poesia permette alle persone di affrontare i propri demoni, in sostanza "Poesia è, ora, lo sforzo di afferrare la superstizione - il selvaggio - il nefando - e dargli un nome, cioè conoscerlo, farlo innocuo". Mentre più in generale la letteratura è "una difesa contro le offese della vita", quindi una sorta di risarcimento o almeno il tentativo d'ottenere in restituzione o per la prima volta qualcosa che altrimenti sarebbe perduto senza rimedio, di trattenere quanto sfugge nello scorrere del tempo e nel puro accadere. Una strada, insomma, che possa rendere razionale quel che altrimenti sarebbe soltanto flusso incontrollato, un succedersi d'eventi che non hanno alcun collegamento tra di loro: "Non è che accadano a ciascuno cose secondo un destino, ma le cose accadute ciascuno le interpreta, se ne ha la forza, disponendole secondo un senso - vale a dire, un destino". E ancora, come annota più avanti: "Noi siamo al mondo per trasformare il destino in libertà (e la natura in causalità)". Qui forse sta il senso più profondo del raccontare secondo Pavese, quello di trovare un collegamento, provare a dare una direzione - e quindi ribellarsi all'insensatezza di un'esistenza senza scopo. Ciò non vuol dire, però, che lo scrittore sia una sorta di privilegiato, qualcuno che ha inteso più degli altri il senso profondo dello stare sulla terra. Anzi: "Sono più le cose di cui non scriviamo che quelle di cui scriviamo. Come la massa degli uomini si muove nel circolo delle sue preoccupazioni e vive sanamente i più diversi problemi, così tu, sia pure malato di letteratura, non tratti altro per scritto che questioni letterarie e per tutto il resto ti muovi fra le tue preoccupazioni vivendole sanamente e coscienziosamente. Ecco come si può smetterla con la stupida polemica contro i letterati e sostenere che anch'essi sono uomini. Per lo meno quanto gli analfabeti e quelli che non scrivono". Ecco quindi che il silenzio ha un suo valore particolare, speculare a quanto viene detto, e tra il taciuto e il detto c'è sempre un rapporto di scambio, d'interdipendenza. Così il poeta non è in alcun modo una guida, è un uomo irrisolto fra tanti, la sua come tutte è un'esistenza in sospeso. Un'altra illusione di cui liberarsi è quella dell'antichità come garanzia di qualità: "La cultura deve cominciare dal contemporaneo e documentario, dal reale, per salire - se è il caso - ai classici. Errore umanistico: cominciare dai classici. Ciò abitua all'irreale, alla retorica, e in definitiva al disprezzo cinico della cult. classica - tanto non ci è costata niente e non ne abbiamo visto il valore (la contemporaneità al loro tempo)". Infatti un grande rischio nel trattare una materia così distante dalla vita degli studenti, o di chiunque s'appassioni al mondo delle lettere, è di considerarla come una dimensione a sé, quasi solo immaginaria, sotto certi aspetti arcaica e polverosa. Lo scrittore aggiunge, al fine di evitare nostalgie per ipotetiche età d'oro: "Ciò che più ti è nemico è credere all'epoca felice preistorica, all'Eden, e credere che l'essenziale fosse già detto fin dai primi pensatori". Ecco che, come il futuro non è per forza di cose una terra promessa a cui approdare, neppure il passato è qualcosa a cui aggrapparsi con una fiducia cieca. E qui arriva, infine, lo scacco - artistico e umano - dell'autore. Perché non è certo con l'arte della parola che la realtà può essere modificata, tutt'altro: "Io comincio a far poesie quando la partita è perduta. Non si è mai visto che una poesia abbia cambiato le cose". Combattere una battaglia già persa, quella dell'ideale, ecco cosa diviene la scrittura. Testimoniare per lasciare una traccia, vivere il proprio presente come se fosse, sotto molti aspetti, già trascorso. E forse neppure questo sarà sufficiente: "In fondo, tu scrivi per essere come morto, per parlare da fuori del tempo, per farti a tutti ricordo. Questo per gli altri, ma per te? Essere per te ricordo, molti ricordi, ti basta? Essere Paesi tuoi, Lav. stanca, il Compagno, i Dialoghi, il Gallo?". L'assenza d'una risposta a questo interrogativo che Pavese pone a sé stesso potrebbe essere una conclusione valida, prima ancora di quella definitiva che ha tracciato con l'ultimo gesto, rimarcando tramite questo e le righe finali del diario la distanza tra la vita interiore e la vita reale, tra idea e mondo. Eppure, nel momento di forti interrogativi che stiamo affrontando, una simile vicenda potrebbe essere ancora attuale e far rispecchiare nella fragilità di un uomo quella di ognuno: riconoscendo la fallibilità potremmo trovare altre strade, dato che, citando ancora una volta gli appunti raccolti ne Il mestiere di vivere, "Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola". 
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