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Nicola Noviello, 

avvocato civilista 



Il filtro della fazione. Riflessioni sulla comunicazione politica. 

Fino a qualche decennio fa, un tempo che ci appare ormai remoto, non appariva strano “leggere” gli avvenimenti storici o i fenomeni sociali attraverso il filtro delle ideologie. Si era nel Novecento, il secolo breve, ed erano ancora attuali le letture politiche della realtà, letture che avevano un senso determinato dalle e nelle circostanze che avevano, nel bene e nel male, formato diverse generazioni.

Tali contesti appaiono oggi irreversibilmente superati: il crollo dei muri e delle ideologie ha portato all’attuale post-ideologismo, un termine falso e che non mi convince, ma che è ormai entrato nel lessico comune.
Eppure, mai come adesso i “fatti” tendono ad essere letti e stravolti, nel senso letterale del termine, da quegli stessi soggetti che ne garantiscono la diffusione attraverso i media tradizionali o tutto quel nuovo universo della comunicazione offerto dal web, oggettivatosi oggi principalmente nei social network: formidabile e capillare mezzo di comunicazione alle e delle masse.
Sembrerebbe esservi, però, una sostanziale differenza rispetto alle letture ideologiche di novecentesca memoria: non esisterebbe più, infatti, quella attività di filtro ideologico che veniva svolta dalle e nelle grandi formazioni partitiche del passato che,attraverso le loro strutture, svolgevano una fondamentale attività di indirizzo delle idee e determinazione del consenso tra gli elettori.

Oggi c’è il web e ognuno può cercare e divulgare la propria verità. 

La vulgata infatti vuole che adesso siano le grandi formazioni politiche nazionali a seguire e cercare sul web messaggi per la costruzione del consenso in una sorta di beffarda nemesi: sono gli elettori in pratica a determinare le politiche dei partiti liquidi moderni.
Questa innovazione (?) è contrabbandata come la panacea dai mali che affliggevano la politica italiana, certamente ormai logorata più nelle persone che nelle idee e percepita come distante dal popolo, che lamentava – in questo senza torto – l’assenza di interlocutori credibili.
 
Invero non condivido questa impostazione, sia dal punto di vista teorico che pratico.

Ritengo, infatti, puramente fallace pensare che la determinazione delle idee e degli indirizzi politici dei grandi partiti di una Nazione possa essere direttamente e incondizionatamente lasciata alla mercé del pulsante popolare. 
Paradigmatiche, in questo senso, sono a mio parere le fallimentari esperienze delle consultazioni online del Movimento 5 Stelle e delle primarie del Partito Democratico, per fare due esempi su campi contrapposti: entrambi i fenomeni li ho visti caratterizzati, infatti, solo da una formale partecipazione degli iscritti che, invero, hanno più che altro ratificato decisioni già prese o acclamato persone già scelte, donando alle stesse il crisma del consenso.
Ma non poteva essere altrimenti, essendo ontologicamente contraddittoria la coesistenza di un partito che si assume come rappresentativo e di un ulteriore strumento che serve a conferire allo stesso la rappresentatività di cui, evidentemente, sarebbe in alternativa sprovvisto.

Ma come è cambiata la comunicazione politica oggi, in conseguenza dell’estrema frammentazione offerta dai social media?

Innanzitutto vale la pena sottolineare la tendenza degli utenti dei social network a suddividersi in fazioni, non necessariamente sovrapponibili alle organizzazioni partitiche nazionali, e dalla conseguente propensione degli stessi a leggere i fenomeni e gli avvenimenti attraverso questo particolare filtro, solo apparentemente non più condizionati, ma anzi addirittura con l’illusione di essere condizionanti degli indirizzi politici dei partiti liquidi.

E quali sono i condizionamenti che inevitabilmente si riverberano sulle singole persone, su questi gruppi e sul loro sentire “politico”?

Oggi, come abbiamo detto, il cittadino medio si definisce a-ideologico (termine forse inesatto, ma che preferisco all’orribile post-ideologico) nel senso che non è attratto dalle tradizionali idee politiche novecentesche. Ciò non significa però che sia disinteressato alla cosa pubblica ed alla sua gestione. Anzi, al contrario, si assiste ad una bulimia di post a carattere politico su tutte le maggiori piattaforme online. È, quindi, chiaro che non è la politica tout court ad essere rigettata, ma soltanto le tradizionali forme cui si era abituati, attraverso cioè simboli, ideologie specifiche e personalità ritenute credibili. 

Nell’attuale brodo di internet, ciò che conta è l’emozione. 

Cavalcare l’onda emotiva, che un qualsiasi fenomeno può ingenerare, è il modus operandi degli attuali attori politici, che adeguano la propria comunicazione alle reazioni che, presumibilmente, gli utenti potrebbero provare dinnanzi alla lettura di un titolo o a una battuta particolarmente accattivante o in reazione ad un particolare evento.
La conseguenza diretta di tale strategia comunicativa è duplice: le idee sono immediate, cioè relativamente limitate nel tempo, e flessibili, cioè non vincolano l’agente politico ad una determinata coerenza ideologica.

Esempio. Oggi il partito X, magari trovandosi all’opposizione, afferma che bisogna uscire dall’UE e domani, trovandosi al Governo, asserisce che l’Europa non è mai stata in discussione. Una tale palese idiosincrasia dovrebbe comportare la perdita del consenso tra gli elettori. Ciò, invece, (nella realtà!)non è accaduto: perché? Semplicemente perché l’attenzione degli elettori si è nel frattempo già concentrata su altro: un evento di cronaca particolarmente efferato, ad esempio, può spostare l’attenzione sulla sicurezza.
La coerenza, in questa ottica, è percepita come qualcosa di statico, di vincolante e per ciò stesso inadeguato in un mondo flessibile. 
E la comunicazione? Così come l’uditorato cui è diretta, ha bisogno di adeguarsi e mutare velocemente.
Non c’è tempo per la riflessione: è l’azione che prende la scena e con l’azione al centro dell’impostazione comunicativa è naturale l’avanzamento delle Destre, che della prevalenza dell’azione sul pensiero hanno fatto il loro cavallo di battaglia.
Inseguire questa strategia, pertanto, non può che continuare a perpetuare il consenso delle Destre populiste evidentemente. 
Ma è possibile pensare una nuova forma comunicativa? 
È possibile immaginare un ritorno della prevalenza del pensiero sull’azione? 

È difficile, soprattutto in un’epoca caratterizzata dall’incertezza e dalle difficoltà economiche, ma un tentativo va necessariamente fatto, per non lasciare definitivamente il campo al vecchio, travestito da nuovismo.


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