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M.C. Totaro Alessandro

2° Nucleo Operativo 

GRUPPO GUARDIA DI FINANZA DI OLBIA


In quei giorni noi non ridevamo!

Il 6 aprile del 2009 alle ore 03:32 eravamo a L’Aquila, giovani allievi della Scuola Ispettori e Sovrintendenti della Guardia di Finanza, e quando il pavimento e le pareti delle nostre camere tremavano, noi non ridevamo!
All’alba venimmo caricati su furgoni dell’Amministrazione con pale e con picchi e scaricati in un paesino in prossimità dell’epicentro. Gli abitanti videro le nostre mimetiche e sperarono in un aiuto, mentre i loro familiari agonizzavano sotto le macerie. Attendemmo l’arrivo delle pale meccaniche alle sei di sera e, intanto, noi non ridevamo!
Nei giorni seguenti abbiamo scavato, tolto calcinacci e recuperato cadaveri, abbiamo curato l’ordine pubblico nella città fantasma, in paesi abbandonati, abbiamo partecipato alle operazioni di demolizione di ciò che rimaneva della Casa dello Studente, e anche lì non ridevamo!
In un capannone della caserma, divenuta in quei giorni centro nevralgico delle operazioni di soccorso, abbiamo allestito un deposito per le salme ritrovate sotto le macerie, corpi laceri, gonfi, stesi davanti al corteo dei parenti accorsi per il riconoscimento. Il fetore della morte è un ricordo ancora vivo in noi e anche per questo noi non ridevamo!
Nella piazza d’armi abbiamo celebrato il funerale delle vittime, deposte in bare di tutte le taglie, grandi, medie e piccolissime, color ciliegio, mogano o bianche. Abbiamo pianto come se fossero i nostri morti, insieme ai familiari assiepati davanti al palco d’onore. Abbiamo pianto e ci siamo emozionati, per questo noi non ridevamo!
L’emozione è durata una settimana, non abbiamo avuto nemmeno il tempo di vedere la polvere posarsi sulla città in rovina che è iniziata l’indegna passerella di politici e di personaggi più o meno famosi giunti con la sete della visibilità, generali impantanati nei loro assurdi rituali gerarchici. In mezzo a sciacalli e ad avventurieri noi non ridevamo!
Tutto d’un tratto ci risvegliammo dalla trance nella quale le scosse ci avevano sospeso, riaprimmo gli occhi su una realtà fatta di giochi di potere e di sfregamenti di mani. Nell’inquadratura della telecamera tutto andava ricostruendosi con palazzine nuove, mobili Ikea e prati a rotoli. Attorno persistevano le macerie, quelle fisiche e quelle sociali di comunità sradicate dalle loro sedi originarie. Anche a favore di telecamera noi non ridevamo!
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