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Yasmin Tailak

Studentessa italo palestinese

L'uomo che taceva.

L'uomo che tace è divenuto, senza troppe sorprese, il nuovo modello di cittadinanza coscienziosa e responsabile, un soggetto che abbassa il capo a ogni richiesta e comando, che non domanda, non mette in dubbio e non si lamenta, e se lo fa è a suo rischio e pericolo, e in questo caso il pericolo è la sanzione, lo sbeffeggiamento, l'esclusione sociale e l'insulto. Si è andato determinando, nel corso di quest'anno orribile, un paradigma politico in cui le vecchie istanze destra-sinistra sembrano essersi sovvertite.
La sinistra governativa, che si è presa - in maniera piuttosto drammatica - carico di una situazione emergenziale molto all'infuori della sua portata, ha imposto restrizioni, obblighi e punizioni nel tentativo poco funzionale - il numero dei morti ci parla chiaro- di limitare i danni della patologia, e ha messo in campo un ingente apparato poliziesco per distogliere la popolazione da un naturale bisogno di contatto, movimento e lavoro. E di lavoro e libertà - concetti cari alla Sinistra - hanno iniziato a parlare le destre, che fino a marzo dell'anno scorso erano rimaste arrovellate su temi come migrazione e rifugiati, anche qui molto all'infuori della loro portata, senza costruire una proposta e una visione valida, che facesse da contraltare a quella degli avversari. Di fronte a un Paese stravolto, che ha quasi cambiato faccia - quella sì, metaforica, visto che quella fisica ormai è difficile vederla - il problema politico più grosso è quello della rappresentazione.
Se un'analisi politica sui valori - questo è buono, quelli sono cattivi - appare del tutto inadeguata, oltre che ingenua da far compassione, è necessario chiedersi, al di là delle ideologie, chi si stia prendendo a cuore, anche solo formalmente, anche solo per un fine meno nobile, che è il potere, le sorti delle umane genti, dei lavoratori sul lastrico, delle attività votate a un fallimento certo, del diritto a uno studio che sia degno di questo nome dei ragazzi e delle ragazze italiane. 
Gli esponenti di governo, davanti a ogni domanda, a ogni puntualizzazione sulle mancanze e le inadeguatezze di questo esecutivo, prontamente rispondono con l'ormai insopportabile trita e ritrita metafora bellica, parole vuote su una guerra da combattere, su un nemico da sconfiggere, su armi da usare. E l'uomo, di fronte a una retorica così meschina eppure potente, tace.
In uno stato di guerra ogni cosa può essere sospesa, perché il fine è chiaramente quello di salvare la vita, il bene assoluto, la nuda vita, sarebbe a dire la mera esistenza biologica. Sarebbe utile ricordare che non esistono valori veramente 'assoluti', Norberto Bobbio riteneva 'inutile' un’impostazione del genere, dal momento che la nuda vita può essere il massimo valore difendibile per alcuni e non per altri, in certi momenti storici e non in altri, e che non sempre si trova ad avere la meglio su altri valori come la libertà, la giustizia o la felicità.
La biopolitica messa in campo quest'anno, questo esercizio del potere sull'esistenza umana che è andato ben oltre il suo ordinario svolgimento, ha avuto dalla sua parte una costruzione mediatica della paura, funzionale suo operato, e soprattutto ha cercato di persuadere le persone che lo Stato stava mettendo in campo delle restrizioni disastrose al solo fine di salvaguardare il bene collettivo. 'È per te, è una guerra'.
Giorgio Agamben, una delle ultime menti finissime del nostro tempo e del nostro Paese, nella sua analisi sulla biopolitica e sullo stato di eccezione, svela molto chiaramente questo inganno: ciò che il potere dice di fare per te, in realtà lo fa sempre e solo per se stesso.
E del resto come si può essere così illusi da credere davvero che tutto questo stia accadendo perché la vita del cittadino è tutto ciò che ha a cuore il potere? Siamo pur sempre nel Paese della Terra dei Fuochi e dei cancri dell'Ilva, degli sversamenti tossici, delle connivenze tra Stato e mafia, del chiudere un occhio qui perché ne traggo profitto io e chiudere un occhio lì perché ne trae profitto qualcun altro. Siamo sempre morti, di tumore, di malattie respiratorie, di smog, di inquinamento - oltre a tutta una serie di patologie chiaramente non imputabili a disastri ambientali, in cui lo Stato ha sempre chiuso uno o l'altro occhio. Laddove non sussiste uno stato di emergenza, che è poi il limbo indeterminato tra giuridico e politico, tra assolutismo e democrazia, la nuda vita è trascurabile.
Però, ecco, l'uomo tace. Dopo un anno durissimo che, oltre al tracollo sanitario, si lascerà dietro una lunga scia di patologie mentali, psicopatologie sociali, suicidi e una povertà che sta già aumentando a livelli esponenziali, l'uomo tace. l'uomo che si arrabbia, che urla, che protesta, che infrange una legge che ritiene ingiusta viene intercettato dalle forze di destra. Lo scollamento totale della sinistra di governo dalle esigenze reali e concrete di buona parte della popolazione in stato di sofferenza è ai suoi ultimi, tristissimi, sgoccioli. 
Trattare l'uomo che grida con paternalismo e condiscendenza, chiamarlo ignorante, illegale, negazionista, complottista, irresponsabile, trattare la povertà post-Covid come una scomoda e fastidiosa conseguenza della 'battaglia contro il virus' non è stata una buona idea. Questi metodi non hanno fatto altro che sottolineare l'incapacità rappresentativa della sinistra, e insieme alla retorica della guerra sembrano solo gli inutili paracadute che non salveranno dallo schianto.
Non sarà una sorpresa quando si scoprirà che il silenzio non è stato per niente l'ottimo modello di cittadinanza proposto dallo stato d'emergenza, e che a sedere sullo scranno del Presidente del Consiglio ci sarà prossimamente un esponente delle forze sovraniste, che avranno dato l'impressione di aver ascoltato e accudito la voce e la protesta dell'uomo che gridava laddove la sinistra appariva impegnata a difendere se stessa e l'uomo che taceva.
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