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Mari Miceli

Avvocato e autrice di pubblicazioni scientifiche



Marco Papa: visione e segno

A Palazzo Bellini a Palermo, una mostra che lascia il Segno, è proprio il nome che l’artista Marco Papa ha voluto dare alla sua personale: “ Visione e Segno”.

La mostra si apre davanti agli occhi con le sue meta opere, da Mike Tyson con in mano un roller pigeon, alla meta gondola a Venezia.

Marco, accompagna i suoi visitatori in un viaggio dentro l’anima, in un momento assai triste per tutto il mondo, in cui la guerra ha ripreso tristemente spazio nella vita quotidiana, l’opera dell’artista si muove tra natura ed etica.

 Un’etica fatta di scultura, natura e uomo.

In cui ogni elemento prende forma, fino ad arrivare – lungo il corso della mostra – ad una poltrona ( tipica delle sue opera, leggera ma solida fibra di carbonio) in cui nell’atto finale, chi visita, la mostra, può abbracciarsi ( Sì! ABBRACCIARSI) in un lungo abbraccio distensivo in cui tutto prende forma e ci si riconcilia con la propria essenza: l’uomo, l’anima, l’etica e l’estetica.

Assistiamo ad un rapporto tra riforma e rivoluzione, nel quale si esprime un atteggiamento filosofico e atteggiamento scientifico dell’arte , che si esprime storicamente e paradigmaticamente nel rapporto tra ciò naturale, e ciò che è pragmatico.

La caratteristica della mostra è la mutevolezza (limite temporale), la particolarità (limite spaziale), è la immutabilità e la universalità. La storia della distinzione tra naturale eterno ed universale e un i bene materiali, contingenti e particolari. Basti pensare ai greci, alle discussioni tra i sofisti e Socrate, all'invocazione di Antigone, alla teoria aristotelica, a quella storica ed a quella epicurea; e poi via via a Cicerone e ai giuristi romani, a tutta la filosofia cristiana da S. Paolo sino a S. Tommaso; e poi ancora, nell’età moderna, alla corrente che dal diritto naturale appunto prende il nome di giusnaturalismo, da Grozio a Wolff, e infine al diritto razionale di Fichte.

Ricordando Rejsne, Marco Papa impone un concetto di rivoluzione che possiamo a lui assimilare,  la rivoluzione come il conflitto tra ciò che è spontaneo, o «intuitivo», della classe dominata e il diritto della classe dominante (che è ciò che è positivo).

Marco ci impone una riflessione: l’etica della comunicazione.

Ci si potrebbe chiedere il perché dell’etica della comunicazione.

A prima vista una risposta a questa domanda – alla domanda sul perché sia necessario sottoporre i processi comunicativi anche a un vaglio etico – sembra del tutto scontata. Si potrebbe infatti dire: perché tali processi, nelle differenti loro articolazioni, si mostrano di solito refrattari a indicazioni o a dettami di questo tipo. Specialmente oggi. Oggi, infatti, una tale disattenzione per regole e principii sembra per lo più dominare l’ambito comunicativo, all’interno di un contesto generale che registra, nonostante il riproporsi di vari codici di autoregolamentazione, uno scarso rispetto per

l’ascoltatore (considerato poco più che un bersaglio da colpire), un’insufficiente considerazione per le specifiche esigenze delle differenti fasce di utenti (tutti ritenuti «carne», o meglio «occhi», da pubblicità) e un vero e proprio abuso (spesso in un senso strumentalmente ideologico) dei mezzi d’informazione. Emerge dunque, come reazione, un “bisogno” di etica che si esprime, per lo più, in considerazioni di tono apocalittico o nella proposta, dettata da una lodevole buona volontà, di sempre nuovi codici di regolamentazione.

Compito dell’etica è quello di dimostrare non solo che nell’interazione comunicativa è necessario far riferimento a principî di carattere morale, ma soprattutto che bisogna regolarsi secondo principî di un certo tipo, i quali risultano validi in generale. Proprio questo è il compito dell’etica della comunicazione  e Marco, vi riesce benissimo. 


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