Layout del blog

Fabio D'Angelo

Ingengnere e "cefalo"

Sanità lombarda. Cronaca di un disastro annunciato

#MILANONONSIFERMA

Le foto migliori, memorabili, sono quelle scattate giusto un attimo prima del disastro.
Le avrete sicuramente cliccate almeno una volta, dato che la gran parte dei siti di comunicazione ce le propina periodicamente con la stessa frequenza di Dirty Dancing sulle reti Mediaset. Si tratta di una carrellata di scatti giusti fatti al momento giusto, quelli che fermano l’istante un attimo prima di un epic fail colossale. E poco importa che sia una secchiata d’acqua, una caduta clamorosa, un parcheggio maldestro, una folata di vento o l’uccello che passa di lì e lascia il segno sulla fronte stempiata di un malcapitato, perché a rendere speciale l’immagine è il tempismo perfetto. 
Proprio come la foto che immortalò Zingaretti con un bicchiere in mano, mentre partecipava a Milano a un aperitivo contro la paura. 

Era il 27 febbraio, era passata una settimana dalla scoperta del paziente zero (meglio dire uno) di Codogno, e nello stesso giorno Matteo Salvini aveva invitato ad aprire e spalancare tutto. 
Lo stesso avevano fatto Giorgia Meloni e Matteo Renzi, mentre Beppe Sala, Sindaco di Milano, rilanciava il video e la campagna social “Milano non si ferma”, promossa dall’Unione dei Brand della Ristorazione Italiana, un’associazione temporanea formata da decine di locali e catene di ristorazione di Milano. 
Lo spot, quasi un’apologia del milanese imbruttito, si concludeva con la scritta finale "l'Italia non si ferma, #Milanononsiferma". 

Una settimana dopo ci siamo fermati tutti.

C’ERA UNA VOLTA IL CELESTE

Da quel momento, l’unica cosa che non si è arrestata è stata l’avanzata della pandemia: c’è da dire che, con buonissima probabilità, il Covid 19 girava in Lombardia e nel resto del Paese da un po', almeno un mese prima del caso di Codogno. Per cui ha avuto tutto il tempo di viaggiare indisturbato attraverso Trenord e poi nei vagoni dell’efficiente metropolitana milanese, nei bar di paese, nei ristoranti, nei lunghi della movida, negli uffici e nelle fabbriche della zona più produttiva d’Italia.

Tuttavia, è nei pronto soccorsi e nei condotti di areazione degli ospedali che il Covid 19 ha fatto tabula rasa, demolendo certezze e mettendo a nudo difetti che erano già evidenti per chi aveva occhi per vedere, perché da anni un virus altrettanto potente aveva minato il sistema sanitario lombardo, al punto da rendere il mito dell’eccellenza e dell’efficienza meneghina un mero bluff, una leggenda.

Il sistema si poggiava su pali fragilissimi. Era stato tirato su durante la gestione di Roberto Formigoni, il Celeste, Presidente di Regione ininterrottamente dal 1995 al 2013, condannato a 6 anni di carcere per corruzione per i crac delle fondazioni Maugeri e San Raffaele: Formigoni, in cambio di regalie stimate dai Pm in 8 milioni di euro, favorì i due enti lombardi con delibere di giunta per circa 200 milioni di rimborsi pubblici. 
Un gravissimo sistema illecito di storno di denari pubblici a fini privati – scrivono i PM – che ha spinto la magistratura a contestare ai principali protagonisti della vicenda giudiziaria un danno erariale di circa 60 milioni di euro. 

Vicende accertate di corruzione legate alla sanità lombarda non hanno risparmiato neanche il successore de “Il Celeste”, Roberto Maroni. 
Qui a cadere nella maglia della giustizia sono stati Mario Mantovani, vice di Maroni, e Fabio Rizzi, all’epoca presidente della commissione sanità della Regione Lombardia. 
E poi c’è quanto indicato nell’inchiesta Crimine Infinito: la storia di un processo di ’ndrangheta a Milano. Nelle carte dell’inchiesta, oltre al sogno secessionista dei boss impiantati al nord, che puntavano ad una scissione della Lombardia – intesa come locale di ‘ndrangheta – dalla Calabria, emerge anche la penetrazione dell’ndrangheta all’interno della sanità lombarda, attraverso la figura di cerniera tra criminalità e politica rappresentata da Carlo Antonio Chiriaco, ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Chiriaco gestiva un bilancio da 800 milioni di euro all’anno. Mica bruscolini. 

LA DURA LEGGE DEL GOL

E questo solo per arrivare al punto: in Lombardia stiamo di fronte ad un fallimento politico e culturale. Un disastro che ha origini lontane con tanto di intrecci importanti tra malapolitica e malaffare. Un fallimento soprattutto di tipo culturale che potremmo spiegare scomodando Max Pezzali e la dura legge del goal, che racchiude in sé una metafora universale della vita: a cosa serve avere strutture all’avanguardia per le cure ultra specializzate, scelte con il lanternino tra le terapie più remunerative al mondo, se poi trascuri i medici di base al punto da non avere un efficiente presidio medico territoriale? 
 
Il sistema sanitario lombardo, venduto per anni come modello di efficienza e razionalizzazione delle risorse, si è dimostrato perfettamente permeabile a tutti i mali italiani, e soprattutto, drammaticamente incapace di fronteggiare uno stress test. E dunque, oltre la corruzione, oltre l’infiltrazione criminale, è difficile non vedere nello sbilanciamento verso la sanità privata una delle cause principali del fallimento. 

Potremmo domandarci, ad esempio, quante di queste strutture si sono comportate in modo responsabile, segnalando per tempo alle Asl la presenza di pazienti positivi, con il rischio di chiudere reparti e mettere in quarantena il personale, e quante, invece, hanno fatto finta di niente?  

Non so a voi, ma a me qui viene in mente la drammatica mattanza avvenuta nelle RSA, trasformate in Lombardia, attraverso un’ordinanza della regione, in Covid center. 

Quante di queste RSA hanno chiuso per tempo, mettendo in sicurezza gli ospiti della struttura e il personale medico? E quante hanno invece fatto finta di niente, consentendo persino le visite di parenti che poi sono tornati a casa e, da positivi, si sono mossi liberamente fino a quando non hanno mostrato i primi sintomi della malattia?

Ecco, tante domande. Troppe. 
E per logica, la cosa più semplice sarebbe quella di prenderle tutte e girarle agli attori principali della vicenda. Se non fosse che gli interlocutori chiamati a rispondere sono tutti primi della classe. E chi ha avuto a che fare, almeno una volta nella vita, con i primi sa dell’esistenza di una sindrome che costringe chi ne è soggetto a primeggiare sempre, anche nei contesti più sfavorevoli della vita quotidiana. E questo nel tentativo, più o meno conscio, di proteggere se stesso da profonde autocritica.

COSA IMPORTA CHI VINCERÀ, PERCHÉ IN FONDO LO SQUADRONE SIAMO NOI

Perché l’autocritica è un concetto che il primo della classe non considera, come d’altronde dimostra la paginata di giornale, acquistata il 16 aprile da Confindustria Lombardia insieme con l’Associazione degli Ospedali Privati (A.I.O.P.), l’Associazione Religiosa Istituti Socio-sanitari (ARIS) e la Regione Lombardia. Una pagina-elogio dal titolo: “28.224 vite salvate in Lombardia”, in cui tutti gli attori se la cantavano e suonavano. 
Peccato che quel giorno la Lombardia contava circa 11 mila morti (ora si è superata la soglia dei 15 mila), più della metà dei morti di tutto il Paese e circa il 10% di quelle registrate in tutto il mondo. Peccato che fosse la Regione con il tasso di mortalità più alta per milione di abitanti: circa 1500 morti per milione di abitanti, contro i 305 del resto di Italia e 550 della Spagna e i 450 della Gran Bretagna, che pure se la sono vista brutta; che sia la Regione in cui ancora oggi il contagio mostra numeri significativi; quella in cui moltissime persone sono morte in casa senza nessuna assistenza e in cui sono stati commessi errori che verranno studiati negli anni successivi come casi esempio di cose da non fare durante una pandemia. 

Per rispetto verso i parenti dei morti, ci saremmo aspettati almeno una parola di autocritica da parte della Regione per la scelta di trasferire i malati di Covid19 nelle RSA, o per la mancata attivazione di una campagna efficace di tamponi, o per il fatto di aver costretto gli operatori sanitari a combattere a mani nude contro il virus, o per il più innocuo, si fa per dire, flop rappresentato dalla costruzione dell’Ospedale Fiera, sbandierato come un vanto dell’arcinota efficienza regionale.

Niente. 

Così anche per il sistema industriale; nessun mea culpa sulle pressioni più o meno esplicite fatte verso praticamente tutti per non decretare per tempo nuove zone rosse e sospendere produttiva in alcune aree fortemente colpite dal virus. Le persone hanno continuato a lavorare e ad ammalarsi, portano di fatto i lavoratori della bergamasca e del bresciano di fronte alla stessa scelta a cui i cittadini di Taranto sono chiamati da decenni a dare una risposta quotidiana: vale più il profitto e il lavoro o la tutela della salute di lavoratori e cittadini? 


PRONTI. PARTENZA. LOMBARDIA.

E forse la risposta è dentro un spot, epperò è sbagliata. Lo spot è quello commissionato dalla Regione Lombardia e fatto girare in rete poche ore prima dell’inizio della cosiddetta fase due. Si chiama "Pronti. Partenza. Lombardia." e se non l’avete ancora visto, guardatelo perché, sulle note di una colonna sonora che manco la puntata della battaglia finale contro gli estranei di The Game of Thrones, in modo inconsapevole, vengono elencati bene buona parte delle cause del disastro. 

Una carrellata di immagini, in cui si passa dalla fase 1: la sofferenza degli anziani RSA, i medici e gli infermieri inquadrati con tanto di scritta “82 milioni per ringraziare gli operatori sanitari”, le videochiamate e una donna intenta a mettere una mascherina mentre la voce fuori campo dice “ricordando ciò che abbiamo imparato”. Poi, salto, fase due: si vedono i grattacieli della City, l’edilizia che lavora a pieno regime, l’agricoltura intensiva con tanto di trattore che spara fitofarmaci sul terreno, la manifattura. 

Non c’è spazio per la vita quotidiana e non ci sono le persone. 

Spariti, risucchiati dentro gli ingranaggi di una narrazione industriale di una regione, che dopo tutto quello che è successo, appare stantia e insopportabile. E infine, dopo questa carrellata di immagini, arriva lo slogan: “la Lombardia è pronta”. 

E Sticazzi, verrebbe da dire. 

Che se qui qualcuno si è toccato per scaramanzia, non ha fatto peccato: è stato solo un gesto innocuo di legittima difesa.

Autore: La redazione 27 lug, 2023
Politiche per il cambiamento climatico significa città sostenibili. Quelle italiane sono pronte?
Autore: Andrea Maestri 08 mar, 2023
Lettera alla donne di Cutro
Autore: Irina Di Ruocco 07 mar, 2023
Tra Super-bonus e Super-opportunità
Autore: Giancarlo Marino 04 mar, 2023
La copertina è tratta da Palestina. Una nazione occupata opera di Joe Sacco fumettista e giornalista. 
Autore: Paolo De Martino 27 feb, 2023
La vera sfida inizia adesso
Autore: La redazione 25 feb, 2023
Il sostegno a una confederazione israelo-palestinese sta guadagnando terreno
Show More
Share by: