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Claudia Cammarata

Attivista per i diritti delle donne

Breviario minimo delle parole sbagliate. Per un 17 maggio tutti i giorni.

Con le parole si costruiscono ponti ma si possono anche innalzare muri. Le parole possono unire e possono dividere. Possono, soprattutto, essere di cura o fare del male.
Ci sono delle parole che utilizziamo, di frequente e con le migliori intenzioni, per rilanciare la speranza, per rassicurare e rassicurarci, per dimostrare la nostra benevolenza. Ma se scendiamo a fondo, se analizziamo la portata del peso di queste parole noteremo che portano alla costruzione di un senso, quindi di una realtà opposta a quella che avevamo immaginato e per la quale ci eravamo, magari, battuti.

Una parola ricorrente, quasi abusata in quest'ultimo periodo è “normalità”.

Il vocabolario associa al sostantivo “normale” il seguente significato: che è conforme a una regola o all'andamento consueto di un determinato processo. 

Io ritengo che questa parola possa essere utilizzata in pochi, pochissimi ambiti. 
Sicuramente non associandola alle dinamiche del mondo né tantomeno alla spettacolare varietà umana caratterizzata da un tale livello di complessità e sfumature impossibili da recintare entro un concetto così ristretto, banale e antico.
Quando si dice alla Checco Zalone “Gli omosessuali sono persone normali, sono come noi” le intenzioni sono certamente positive ma si dà per assodato che esistano categorie di persone, che esista un NOI e un LORO e che una categoria sia privilegiata o idonea al privilegio perché “normale”.

Normale non esiste.
Normalità non esiste.

Allo stesso modo, il termine differenza: cos’è differenza?
Diverso da chi? Da cosa?

Tutti siamo esseri umani. Tutti siamo diversi l’uno dall'altro. Ciascuno ha la sua originalità e con le proprie peculiarità. Basterebbe riascoltare i “Comizi d’amore” tra Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Ungaretti per capirlo. 
Il problema nasce quando dalla diversità scaturiscono le disuguaglianze per cui, collegandoci al concetto di normalità, si ritiene “diverso” colui o colei che esce fuori dal confine di ciò che è normale.

Un'altra parola ancora: tolleranza.
È necessario l'utilizzo del termine RISPETTO. 
Tollerare significa sopportare e quando si parla di “differenza” non si può accettare di tollerarla ma bisogna rispettarla.

Strani giochi e scherzi fa il linguaggio per cui, fare un piccolo breviario di tre parole sbagliate può essere utile, oggi, 17 maggio, nella Giornata Mondiale contro l'omofobia.
È importate ricordare che questa ricorrenza richiama al 17 maggio del 1990 quando l'OMS rimosse l'omosessualità dalla lista delle malattie mentali. 

Un passo decisivo, immenso. Ma un passo che non ha inciso definitivamente sulla coscienza collettiva perché non ha rappresentato una battuta d'arresto dei fenomeni omofobici e discriminatori.

I dati che provengono dall'Italia – per rimanere ai limiti della nostra limitata terra natia – dimostrano che il nostro Paese è ancora profondamente omofobo e procede ancora a rilento nel cammino verso l'uguaglianza formale e sostanziale. Basta leggere i dati dell’indagine condotta dal contact center antiomofobia e antitransfobia, Gay Help Line (800713713), in 80 scuole italiane (licei ed istituti tecnici). Dai questionari anonimi cui sono stati sottoposti ragazze e ragazzi è emerso che il 10% di loro pensa che l'omosessualità sia una perversione, un peccato, una malattia mentale e il 27% non vorrebbe un compagno o una compagna di classe. Per molti di essi l'omosessualità rappresenta una scelta, qualcosa verso la quale si può essere deviati da fattori esterni.

Il Paese reale. 
Eccolo: un alto tasso di disinformazione e demonizzazione pacchiana ha fatto sì che le nuove generazioni siano poco o affatto disposte a rispettare ciò che considerano altro da sé, diverso.

Intanto, è la Giornata Mondiale contro le discriminazioni sessuali!
Che possa essere di nuovo il trampolino di lancio rinnovare il nostro modo di vedere e vivere la società.


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