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Mario Visone

Scrittore e docente

Turchia e Libia: gendarmi d’Europa

Riavvolgiamo il nastro di questi giorni. Facciamolo bene e cerchiamo di non lasciare spazi in cui si possa annidare il dubbio. La domanda è semplice: esiste un collegamento tra quello che è accaduto in Turchia, ovvero lo sfrontato atteggiamento di Erdogan che ha sfidato in maniera sprezzante l’Europa, e quanto accaduto in Libia, ovvero le dichiarazioni inumane del Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi in merito ai salvataggi fatti dalla marina libica? Sì, un legame c’è se siamo attenti e riusciamo a concentrarci sui fatti.

Il legame tra Turchia ed Europa

Tornando indietro ma non troppo, arriviamo al 18 marzo del 2016 data in cui l'Unione europea e la Turchia hanno deciso con uno strumento del tutto discutibile dal punto di vista legale quale è una semplice “dichiarazione congiunta” di fermare la migrazione irregolare dalla Turchia verso l'UE. Questa decisione (si legge sul portale ufficiale della EU https://ec.europa.eu/italy/node/1184_it ) “fa seguito al piano d’azione comune UE-Turchia avviato il 29 novembre 2015 e alla dichiarazione UE-Turchia del 7 marzo. L'accordo mira a colpire il modello di business dei trafficanti di esseri umani ed elimina gli incentivi a percorrere rotte irregolari per raggiungere l'UE, nel pieno rispetto della legislazione dell'UE e internazionale. In seguito all'accordo raggiunto tra l'Unione europea e la Turchia, dal 20 marzo 2016 tutti i nuovi migranti irregolari in viaggio dalla Turchia verso le isole greche dovranno tornare in Turchia. Gli Stati membri dell'UE hanno anche deciso di fornire tempestivamente alla Grecia i mezzi necessari, tra cui guardie di frontiera, esperti in materia di asilo e interpreti.” L’intesa del 2016, prevedeva un contributo immediato di 3 miliardi di euro finalizzati al blocco del flusso dei profughi verso la Grecia e verso la rotta balcanica. A questi si sono aggiunti nel tempo fondi versati o da versare con varie motivazioni. Si tratta di circa 10,6 miliardi che l’Unione Europea ha stanziato per la Turchia nel periodo che è passato dal 2002 al 2020, quando è terminato il programma Ipa II.

Cos’è il programma Ipa? Questo acronimo (Ipa, appunto) sta per Instrumentum per Pre-Accession, e sta ad indicare uno strumento di finanziamento teso a favorire l’avvicinamento della Turchia ai requisiti economici necessari per l’accesso all’Unione. Lo spostamento di danaro era cominciato nel 2002 con il Turkey Pre-Accession Instrument che tra il 2002 e il 2006 ha garantito 1,3 miliardi, poi diventati 4,8 tra il 2007 e il 2013 e 4,5 tra il 2014 e il 2020. Se ciò non bastasse nel giugno scorso la Commissione Europea ha predisposto una variazione al progetto di bilancio rettificato n. 5/20203 nel quale si legge che “Nell’ambito della dichiarazione UE-Turchia, la Commissione e gli Stati membri hanno impegnato in due tranche 6 miliardi di euro per l’assistenza dell’UE ai rifugiati in Turchia per il periodo 2016-2019, erogata attraverso lo strumento per i rifugiati in Turchia. La dotazione operativa di questo finanziamento è stata impegnata per intero e il contratto sarà finalizzato nel corso del 2020. Gli esborsi hanno raggiunto i 3,2 miliardi di euro a fine aprile 2020” (https://www.europarl.europa.eu/RegData/docs_autres_institutions/commission_europeenne/com/2020/0422/COM_COM(2020)0422_EN.pdf ).

Una valanga di danaro per garantire sostanzialmente un accordo tra Europa e Turchia in cui un contraente (l’Europa) si è impegnato a pagare ingenti somme all’altro contraente (la Turchia) affinché quest’ultimo gli facesse da gendarme bloccando all’interno dei propri confini tutti i profughi provenienti dalla Siria, dall’Afghanistan e dall’Iraq. Un tentativo per l’Europa di spostare in territorio turco il proprio confine. Un tentativo disperato e controproducente in realtà.

Perché? Perché il dittatore Erdogan, essendo a conoscenza della debolezza europea, non fa altro che ricattare l’Europa sul tema dei migranti aumentando la posta e alzando ogni volta l’asticella dell’estremismo politico e religioso. L’ultimo evento – il caso della sedia non predisposta per la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen – non sorprende. Non può sorprendere. È in perfetta linea col personaggio Erdogan, è in continuità con il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, è conseguenziale all’odio perpetrato contro le guerrigliere curde. Non c’è da sorprendersi né da scandalizzarsi. L’Europa ha ceduto sui diritti dei migranti, delle donne, del popolo curdo e ora si scandalizza perché la sua alta rappresentante viene messa in disparte?

Il legame tra Libia ed Europa

Al di là del rapporto evidentemente storico tra Italia e Libia, per quello che ci riguarda le relazioni tra i due Paesi sono da riannodarsi intorno alla data del 30 agosto del 2008 quando Gheddafi e Berlusconi firmarono il trattato di Amicizia e Cooperazione, nella città di Bengasi. È stato sulla base di questo accordo (e sul suo rinnovo del 2012) che l’allora Ministro degli interni Minniti poté sottoscrivere nel 2017 nuovi accordi con la Libia dichiarando: “Tenendo conto degli accordi già fatti tra Italia e Libia, uno nel 2008, l’altro più recente nel 2012, abbiamo comunemente deciso di raggiungere un accordo nei tempi più brevi possibili, che consenta a Italia e Libia di combattere insieme gli scafisti”.

Ma cosa prevedevano in realtà questi accordi precedenti? Il patto prevedeva che l’Italia versasse alla Libia cinque miliardi di dollari in cambio del pattugliamento militare della costa al fine di impedire ai migranti di partire. Nel 2012 la stessa Italia ha deciso di rinnovare l’accordo con Tripoli, sottoscrivendo con la ministra Anna Maria Cancellieri un’intesa che prevedeva anche l’addestramento delle forze di polizia di frontiera locali. Il progetto di Minniti si collocava nel solco di quelli precedenti. Il punto focale dell’accordo attuale era il sostegno italiano alle autorità libiche per chiudere il confine meridionale del paese, quello che lo separa in sostanza dal Niger, principale accesso in Libia per i migranti provenienti dall’Africa subsahariana.

Ma nella realtà, il Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana è un vero e proprio segreto dal punto di vista economico. Nessuno sa esattamente quanti soldi siano partiti dall’Italia verso Tripoli. Quello che si sa è che il 20 marzo del 2017 il premier libico al-Sarraj ha presentato all’Italia una lista della spesa dal valore complessivo di oltre 800 milioni di euro e che, nello stesso periodo, il governo italiano assicurava che entro il 2020 sarebbero stati investiti una cifra vicino ai 300 milioni di euro solo per garantire il rafforzamento delle autorità marittime.

Ecco. In questo quadro Mario Draghi è andato in Libia per ringraziare i Libici per la loro opera di “salvataggio” di vite. Salvataggio? Non c’è una sola organizzazione internazionale che non abbia parlato della Libia come di un inferno nelle cui carceri avviene di tutto dagli stupri, alle violenze fisiche e psicologiche che nessuna brama di sopraffazione potrebbe neppure concepire se annodata a una razionalità intelligente. Eppure, Draghi è andato e ha ringraziato. Perché? Perché in Libia, l’Europa e l’Italia hanno spostato il proprio confine, perché ai libici hanno delegato la giurisdizione extraterritoriale di controllo, a loro hanno pagato e continuano a pagare la sicurezza del confine meridionale europeo. La stessa strategia, la stessa ritorsione, la stessa sconfitta.

Quindi, ritornando alla domanda iniziale, ovvero se si può considerare l’esistenza di un collegamento tra quello che è accaduto in Turchia, ovvero lo sfrontato atteggiamento di Erdogan che ha sfidato in maniera sprezzante l’Europa, e quanto accaduto in Libia, ovvero le dichiarazioni inumane del Presidente del Consiglio italiano in merito ai salvataggi fatti dalla marina libica, quale potrebbe essere la risposta esatta?

In verità c’è una sola risposta: Turchia e Libia sono strettamente legate. Ciò che è accaduto alla Ursula Von der Leyen e le parole di Mario Draghi sono gli effetti della strategia errata, stessa sconfitta tattica, della stessa miopia politica che ha reso l’Europa e quindi l’Italia vittime del ricatto costante di mercanti di donne e di uomini, di assassini, di regimi e bande armate che ricorrono alla minaccia dell’arrivo dei migranti sul suolo europeo per arricchirsi (nel caso libico) e per rafforzare il proprio potere personale dispotico (nel caso turco). Si tratta di una vera e propria ritorsione giocata di volta in volta su un piano sempre più grave. Stavolta, è toccato alle istituzioni europee calare la testa pubblicamente.

La prossima volta?

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