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Paolo Lattaro

Docente

Adesso stiamo tutti più sereni!

Polizia, vigili, DIGOS e un vicequestore fermano un pericoloso laboratorio didattico all’aperto sul tema delle discriminazioni.



Lunedi 1 marzo, giornata mondiale contro le discriminazioni, a quasi un anno dall’inizio della pandemia e con le scuole di ogni ordine e grado nuovamente in DaD, portiamo (Matematici per la città e Dedalus) una ventina di adolescenti nella grande arena di piazza Garibaldi a fare un laboratorio in tema con la giornata.

Tutti rigorosamente con mascherine, gel a portata di mano, attenti a non avvicinarci troppo, cominciamo il laboratorio. I ragazzi attraversano lo spazio a loro disposizione contenti, li sento ridere e riprendersi un po’ di quello che, da un anno a questa parte, viene loro tolto, vittime sacrificali per eccellenza di questa pandemia e della follia che ha scatenato. Arriva la polizia municipale che ci dice che per mettere a terra i materiali che stiamo usando, cioè un telo sopra il quale i ragazzi stanno dipingendo, ci vuole un’autorizzazione perché altrimenti è occupazione di suolo.

Occupazione di suolo? Un telo da colorare e tre cartelloni sui quali scrivere le parole delle discriminazioni? Mentre intorno a noi c’è gente poco distanziata e senza mascherine, il problema sono venti adolescenti e cinque insegnanti che fanno un’attività didattica all’aperto, per un progetto contro dispersione scolastica e povertà educativa, sul tema delle discriminazioni. Praticamente ci cacciano.

Intanto vedo arrivare un’altra macchina della polizia municipale, una volante della polizia statale e una jeep dell’esercito. Incredula osservo la scena, Vincenzo scatta una foto. Con fare minaccioso si avvicina un agente della DIGOS che chiede a Vincenzo i documenti. Quindi a piazza Garibaldi, non esattamente il luogo più tranquillo di Napoli, il problema siamo noi. Intorno a me, a Vincenzo e a Nunzia, vigili, poliziotti e DIGOS. Di fronte a noi, a osservare la scena, i ragazzi che stavano partecipando al laboratorio. Faccio notare agli agenti che ci circondano che forse c’è qualcosa di distorto se si decide di fermare un’attività didattica all’aperto mentre invece in città non si interviene su ben altro. Chiediamo alle forze dell’ordine che sono lì di usare il buon senso, di far concludere ai ragazzi il laboratorio in serenità. Cioè, sono adolescenti che stanno disegnando e raccontando la discriminazione, con mascherine e distanziamento... ma di che parliamo?

Faccio notare che non è un bel messaggio quello che stanno dando loro, soprattutto in un momento come quello attuale. Qualcuno degli agenti sembra quasi che cominci a rendersi conto, a vedere la sproporzione tra quello che stavamo facendo noi e la loro risposta, a capire che forse l’unica cosa sensata è farci terminare quello che avevamo cominciato. Ma ecco che arriva un vicequestore, che evidentemente non ha niente altro da fare, del resto in una città come Napoli perché dovrebbe? Ricomincia la discussione. Provo a spiegargli, di nuovo. Mi dice che la nostra è una manifestazione e deve essere autorizzata. Manifestazione? 

“Mettiamoci d’accordo allora su cos’è una manifestazione” gli dico. 
“Cos’è una manifestazione lo so io” è la sua democratica risposta. 
Poi mi dice che lui non sa cosa volevamo scrivere sui cartelloni, che messaggio potevamo dare. Certo, venti adolescenti e cinque insegnanti che decidono di scrivere le parole per provare a raccontare cos’è la discriminazione, sono effettivamente un fatto pericoloso, dei sovversivi, e chi lo sa che massaggio criminale volevamo dare.
“È una protesta?” chiede.
“No, è un laboratorio didattico” rispondo ancora una volta. 
“Non avete l’autorizzazione.”
“Non credevo ci volesse, sa quante volte abbiamo fatto cose del genere e non ci hanno mai detto niente?”
“La piazza è dei cittadini” continua.
“E infatti dei giovani cittadini la stavano pacificamente vivendo la piazza, signor vicequestore” dico io.
Intanto chiedono i documenti anche a me e a Nunzia. Si segnano i nostri dati, i nomi delle associazioni, le scuole dei ragazzi. Per farne cosa? Non si sa.
 
Provo per l’ultima volta a dire al vicequestore, visto che ora abbiamo chiarito loro di cosa si tratta, “un laboratorio didattico all’aperto per un progetto contro dispersione scolastica e povertà educativa, svolto con mascherine, distanziamento e attenzione”, visto il periodo in cui gli adolescenti sono privati di un diritto sancito dalla costituzione, visto che i ragazzi alle mie spalle, che ascoltano e osservano ciò che sta avvenendo, sanno benissimo che in altre situazioni, che realmente rappresentano un pericolo per chi le crea e per il resto della comunità, le forze dell’ordine non intervengono, di dare prova di buon senso e farci finire.
La risposta del vicequestore è: “No, ve ne dovete andare”.
Ce ne andiamo… Buon lavoro e continuate così che andate una favola! La città di questo ha bisogno.
Finiamo il laboratorio nelle stanze di Officine Gomitoli, e le parole da scrivere ai ragazzi praticamente gliele ha date il vicequestore.


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