La maestra Enrica Ena e la scuola che cambia.
Si può dire di conoscere una persona che non abbiamo mai incontrato? Si può sentire un’affinità profonda con qualcuno che da vicino non abbiamo mai visto? In questo tempo di realtà virtuale capita sempre più spesso di stabilire legami importanti e autentici con chi è lontano fisicamente, questo è ciò che è accaduto tra me ed Enrica Ena, maestra elementare di Iglesias, un piccolo centro in provincia di Cagliari.
Attratta dai racconti della sua quotidianità scolastica, presenti sul
blog, l’ho cercata ed è cominciata una corrispondenza proficua e intensa, fondata soprattutto sul comune sentire la responsabilità di insegnare, di fare scuola e dunque dare un contributo reale a un’idea più civile di società. Perché dovrebbe essere chiaro a tutti, docenti, dirigenti, genitori e ministri che qualsiasi idea di futuro si costruisce tra i banchi.
Nell’anno in cui ricorre il centenario della nascita del maestro Lodi (per approfondimenti sulla figura di Mario Lodi
www.casadelleartiedelgioco.it),
che per una strana e bella coincidenza viene immediatamente dopo l’anno rodariano, mi piace dare voce a una persona di scuola come la maestra Enrica, che molto sa di pedagogia e didattica digitale, ma soprattutto di bambine e di bambini.
Enrica è una di quei pochi docenti che non ha atteso l’emergenza per fare delle nuove tecnologie uno strumento di supporto quotidiano alla didattica, questo senza mai perdere di vista l’elemento umano e relazionale. Si legge nel suo blog: “La mia è una didattica a bassa direttività, basata sul protagonismo degli alunni e sulla responsabilità” e ancora “Il più grande limite della scuola è l’incapacità di liberare e di liberarsi”. Si tratta di parole che pesano come lapidi se si considera la scuola come la fucina delle menti future, il luogo dove ci si dovrebbe allenare a esercitare gli strumenti della democrazia attraverso l’evoluzione del pensiero. Ma perché si ha paura? E chi ha veramente paura di educare individui liberi? A guardarsi intorno la lista rischia di diventare lunga e triste e invece quello che vorrei fare è un esercizio di speranza che parta da una concreta esperienza di società civile, quella che la maestra Enrica è riuscita a costruire giorno dopo giorno con i suoi alunni. Attività come la biblioteca di classe, l’incontro con i testimoni della Storia, la conoscenza dei Giusti tra le nazioni, la partecipazione attiva alla vita di comunità, includendo spesso in queste esperienze anche i genitori, rendendoli consapevoli dei processi educativi dei figli, fanno della scuola il centro della vita di un territorio. Quando da adulti questi bambini si ricorderanno della visita al Memoriale della Shoah e della voce di Liliana Segre che faceva loro da guida, sapranno scegliere da che parte stare. Ciò che veramente muove Enrica e tanti insegnanti di cui purtroppo non abbiamo contezza quando lanciamo i nostri anatemi contro la classe docente, è un’idea di scuola capace di restituire centralità alla persona, che non si pieghi alla società ma che sia capace di sognarne una.
In un momento così delicato per tutti e per la scuola in particolare, è bello sapere che c’è chi resiste e getta semi per un futuro davvero più giusto, dove tutti possano sentirsi liberi.