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Ilaria Cagnacci

Attivista e collaboratrice di Frontierenews

Afghanistan: la pace impossibile senza le donne

Dalle immagini e dalle notizie terribili dall’Afghanistan di questi giorni risulta sempre più difficile immaginare un futuro delle donne nel neocostituito emirato islamico. Dopo che gli Stati Uniti e gli alleati hanno invaso l'Afghanistan nel 2001 in nome della pace, della democrazia e della liberazione delle donne afghane dalle catene sanguinanti del fondamentalismo la verità è che la voce delle donne è stata esclusa da ogni negoziato per la pace giungendo ad un trattato di pace con i talebani in cui non viene menzionata neanche una volta la parola ‘donne’ e cercando di far passare come credibile l’idea di una loro possibile “moderazione”. Le domande che sorgono sono molte: come sono stati spesi i miliardi di dollari di aiuti in nome della “ricostruzione della pace”? se tutte queste risorse fossero state spese per il soccorso delle persone, per migliorare le condizioni di vita del popolo afgano, in particolare delle donne, la situazione oggi sarebbe così tragica? Le donne hanno avuto voce in capitolo durante questi anni di trattative, le loro richieste sono state accolte?
Si sente molto parlare del cambiamento positivo della condizione delle donne in Afghanistan che sarebbe avvenuto durante questi due decenni, a volte citando la vita di poche donne in posizioni di governo, quando in realtà la loro vita ha continuato ad essere segnata da una guerra sui loro corpi segnati da violenze, omicidi e stupri raramente trapelati nei media. Nonostante i grandi progressi largamente riconosciuti, tra cui l’accesso all’istruzione delle bambine, l’Afghanistan in tutti questi anni non è mai stato un paese per donne ma un posto dove troviamo uno dei peggiori tassi di alfabetizzazione del mondo, dove l'80% di suicidi sono commessi da donne, rendendo l'Afghanistan uno dei pochi posti al mondo in cui i tassi sono più alti tra le donne e dove si ritiene che circa l'87% delle donne afghane abbia subito abusi domestici almeno una volta nella vita, per citare soltanto alcuni esempi.
Malgrado le donne siano stati i soggetti più colpiti sia durante che dopo il conflitto e nonostante il loro notevole attivismo dal basso per dare un contributo agli sforzi per una pace duratura sia a livello locale che nazionale, la loro presenza è sempre stata limitata a ruoli simbolici. Basti pensare all’incontro tenutosi a Mosca che ha ospitato rappresentanti sia del governo che dei talebani dove era presente una sola donna in una delegazione di 12 membri, la dottoressa Habiba Sarabi, o alla delegazione di Doha dove la rappresentanza delle donne non è stata molto migliore: quattro donne delegate in un team di negoziazione di 21 persone del governo afghano e nessuna donna delegata da parte talebana. Questa assenza indica chiaramente che né il governo né la comunità internazionale abbiano preso sul serio la questione dell'inclusione e dei diritti delle donne.

L'ex presidente Hamid Karzai, a sinistra, e il cofondatore talebano Mullah Abdul Ghani Baradar, secondo a destra, partecipano a una conferenza internazionale di pace a Mosca, Russia, 18 marzo 2021. © 2021 AP Photo/Alexander Zemlianichenko, Pool



Ciò che complica ulteriormente la questione è anche l'aumento delle minacce e degli attacchi mirati contro le donne costruttrici di pace. Secondo l’ultimo rapporto della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) il numero di vittime donne nel 2020 è stato il più alto registrato da quando l'UNAMA ha iniziato a documentarle nel 2009. Proprio di recente, a marzo del 2021, tre giornaliste sono state uccise da uomini armati a Jalalabad.

Eppure, il ruolo delle donne nei processi di peace building è ormai largamente riconosciuto come elemento essenziale per una pace lunga e duratura tantoché anche la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Donne, Pace e Sicurezza, adottata e ‘implementata’ con un piano nazionale anche in Afghanistan a partire dal 2015, sottolinea l'importanza della partecipazione equa e piena delle donne come agenti attivi per stabilire e mantenere la pace e la sicurezza in tutto il mondo.

Evidentemente tutta questa è rimasta pura retorica nel Paese dove le donne hanno continuato a essere sottorappresentate nei negoziati formali di pace nonostante esistano numerose coraggiose donne attiviste e leader di organizzazioni che dal basso si sono impegnate in iniziative per la pace e la riconciliazione. Tra queste meritevole di menzione è senz’altro l’Afghan Women for Peace, un’iniziativa senza pari tutta al femminile che ha dato vita a una jirga (consiglio) sulla pace riunendo ben oltre 3.500 donne provenienti da 34 province del Paese ma le cui richieste sono rimaste totalmente inascoltate.

Aver escluso le donne dai negoziati di pace significa aver escluso circa il 50 per cento della popolazione afgana nel processo di ricostruzione del paese e averle usate come pedine in un conflitto geopolitico giustificandolo come "una lotta per i diritti e la dignità delle donne". Sappiamo benissimo che la guerra dei talebani è anche una guerra contro le donne perché il primo passo è stato trasformare una società in cui le donne svolgevano un ruolo di primo piano nelle professioni sanitarie, nel governo e nell'insegnamento sostituendola in una società in cui le donne subiscono regolarmente violenza, viene loro proibito di lavorare e di istruirsi e viene loro imposto di coprirsi dalla testa ai piedi annullandole dallo spazio pubblico, anche visivamente.

Includere la loro voce e le loro richieste sarebbe stato un primo passo fondamentale per una vera ricostruzione del paese a partire da quella base sociale che è sempre stata schiacciata ed esclusa dallo spazio pubblico. Perché la pace la si fa dal basso insieme agli oppressi e non agli oppressori, perché progresso delle donne significa progresso per la società, per il futuro del paese e per la stabilità della nazione e perché libertà delle donne ci sarà quando saranno anche loro a formare i governi e non verranno solo invitate a farne parte.

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