Ilaria Cagnacci
Attivista e collaboratrice di Frontierenews
Ilaria Cagnacci
Attivista e collaboratrice di Frontierenews
L'ex presidente Hamid Karzai, a sinistra, e il cofondatore talebano Mullah Abdul Ghani Baradar, secondo a destra, partecipano a una conferenza internazionale di pace a Mosca, Russia, 18 marzo 2021. © 2021 AP Photo/Alexander Zemlianichenko, Pool
Ciò che complica ulteriormente la questione è anche l'aumento delle minacce e degli attacchi mirati contro le donne costruttrici di pace. Secondo l’ultimo rapporto della Missione di Assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA) il numero di vittime donne nel 2020 è stato il più alto registrato da quando l'UNAMA ha iniziato a documentarle nel 2009. Proprio di recente, a marzo del 2021, tre giornaliste sono state uccise da uomini armati a Jalalabad.
Eppure, il ruolo delle donne nei processi di peace building è ormai largamente riconosciuto come elemento essenziale per una pace lunga e duratura tantoché anche la Risoluzione 1325 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su Donne, Pace e Sicurezza, adottata e ‘implementata’ con un piano nazionale anche in Afghanistan a partire dal 2015, sottolinea l'importanza della partecipazione equa e piena delle donne come agenti attivi per stabilire e mantenere la pace e la sicurezza in tutto il mondo.
Evidentemente tutta questa è rimasta pura retorica nel Paese dove le donne hanno continuato a essere sottorappresentate nei negoziati formali di pace nonostante esistano numerose coraggiose donne attiviste e leader di organizzazioni che dal basso si sono impegnate in iniziative per la pace e la riconciliazione. Tra queste meritevole di menzione è senz’altro l’Afghan Women for Peace, un’iniziativa senza pari tutta al femminile che ha dato vita a una jirga (consiglio) sulla pace riunendo ben oltre 3.500 donne provenienti da 34 province del Paese ma le cui richieste sono rimaste totalmente inascoltate.
Aver escluso le donne dai negoziati di pace significa aver escluso circa il 50 per cento della popolazione afgana nel processo di ricostruzione del paese e averle usate come pedine in un conflitto geopolitico giustificandolo come "una lotta per i diritti e la dignità delle donne". Sappiamo benissimo che la guerra dei talebani è anche una guerra contro le donne perché il primo passo è stato trasformare una società in cui le donne svolgevano un ruolo di primo piano nelle professioni sanitarie, nel governo e nell'insegnamento sostituendola in una società in cui le donne subiscono regolarmente violenza, viene loro proibito di lavorare e di istruirsi e viene loro imposto di coprirsi dalla testa ai piedi annullandole dallo spazio pubblico, anche visivamente.
Includere la loro voce e le loro richieste sarebbe stato un primo passo fondamentale per una vera ricostruzione del paese a partire da quella base sociale che è sempre stata schiacciata ed esclusa dallo spazio pubblico. Perché la pace la si fa dal basso insieme agli oppressi e non agli oppressori, perché progresso delle donne significa progresso per la società, per il futuro del paese e per la stabilità della nazione e perché libertà delle donne ci sarà quando saranno anche loro a formare i governi e non verranno solo invitate a farne parte.