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Paolo De Martino

Redazione Resistenza Civile

L'Afghanistan e la storia ferma a venti anni fa

Un bambino afgano conosce solo la guerra. Una giovane donna afghana non ha mai visto un paese libero, sicuro e progressista. Nonostante l'Afghanistan sia stato teatro di innumerevoli guerre, ha conosciuto un periodo di riforme sociali come l’emancipazione femminile, scolarizzazione di massa, confisca delle terre del clero a favore dei contadini. 

A cavallo degli anni ‘70 l'Afghanistan era un Paese libero. Nella capitale afghana era donna il 40% dei medici, il 70% degli insegnanti e il 15% dei deputati. Il paese era una meta turistica molto frequentata. Si scrivevano libri e cataloghi sui tesori d’arte di Kabul. “C’erano alberghi, ostelli, guest house e i viaggiatori raccontavano della straordinaria ospitalità ricevuta” – come si legge in una nota guida turistica.  
Nel periodo del boom dei viaggi in auto si attraversava l’ex Jugoslavia senza pericoli per arrivare in Afghanistan. Adesso la rotta balcanica è sinonimo di morte. Già da molti anni sul sito della Farnesina nella sezione - viaggiare sicuri nel mondo - alla voce Afghanistan si legge: “Si sconsigliano vivamente viaggi a qualsiasi titolo in Afghanistan in considerazione della gravità della sicurezza interna al Paese, dell’elevato rischio di sequestri e attentati a danno di stranieri in tutto il territorio nazionale” 

La posizione strategica nel cuore dell’Asia ha condannato l’attuale Afghanistan ad essere terreno di conquista delle potenze di ogni epoca storica. Nel 1919, dopo aver ottenuto l’indipendenza dall’Inghilterra, il Paese vive in pace sotto il regno di Zahir Shah. Dal 1970 è diventato uno scenario di guerra. Prima con l’URSS che, rovesciando con forza il governo Amin di cui era alleato, rimase impigliata in una guerra sanguinaria che durò oltre un decennio. 

Negli stessi anni la CIA iniziava a fornire armi e denaro ai ribelli islamici afgani (operazione Ciclone) suscitando l’immediata reazione militare di Mosca, che cadde nella trappola americana. Infatti, il presidente Reagan aumentò esponenzialmente il supporto economico e militare ai mujaheddin afgani, ignorando gli avvertimenti di chi considerava pericoloso alimentare un’armata di jihadisti fanatici. Jalaluddin Haqqani era un mujaheddin conosciuto che divenne famoso per il vasto sostegno ricevuto proprio dalla CIA e per essere stato definito “la bontà fatta persona” dal deputato statunitense Charlie Wilson. Chissà cosa sarebbe successo se un politico americano avesse detto queste cose all’indomani dell’11 settembre. 

Forse per capire a pieno la storia di questo Paese martoriato bisognerebbe leggere “Il grande gioco” di Peter Hopkirk, uno dei più celebri libri sull’Afghanistan, che racconta la lunga rivalità tra impero britannico e Russia zarista per il dominio di quel territorio. Se diamo un’occhiata alla carta geografica possiamo riscontrare che le grandi regioni contese o discusse sono sempre le stesse, gli attori hanno cambiato volto. 

Tutti abbiamo visto le foto e i video strazianti di questi giorni che vedono la capitale in subbuglio e migliaia di persone che provano a trovare rifugio altrove, perché sanno cosa significa un governo fondamentalista. Ma la situazione non è precipitata all’improvviso. Per vent’anni le forze militari N.A.T.O. sono state presenti nei territori afghani. Qualche mese fa c’è stato un attentato in una scuola nei pressi di Kabul. A perdere la vita sono state 55 studentesse. Le vittime erano tutte donne. Un segnale chiaro. Inoltre, già da qualche anno era prevista la fine della missione con il ritiro delle truppe. Era già tutto concordato. Può essere che l’intelligence degli eserciti presenti in Afghanistan non abbiano previsto un ritorno veloce dei Taliban? 

Durante il vertice tra Biden e il presidente russo Vladimir Putin a Ginevra a giugno, la Russia si è opposta all'idea di ridispiegare le truppe statunitensi dall'Afghanistan nei vicini stati dell'Asia centrale, che si trovano nel suo cortile. "Abbiamo detto agli americani in modo diretto che sarebbero cambiate molte cose non solo nella nostra percezione di ciò che sta accadendo in quell'importante regione, ma anche nelle nostre relazioni con gli Stati Uniti", ha detto il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov, come ci racconta Annabelle Timsit, geopolitics reporter. 
Se da una parte la Russia invitava gli Americani a lasciare l’area afgana, dall’altra parte il presidente cinese riceveva qualche settimana fa una delegazione dei talebani che adesso hanno conquistato Kabul. 

Gli esponenti della fazione talebana che in queste ore stanno prendendo il potere hanno profili social, si mostrano in Tv e si lasciano intervistare da donne. Hanno imparato che hanno bisogno del riconoscimento internazionale per restare al potere. Hanno già ricevuto il sostegno tacito degli americani e di tutti i governi occidentali che hanno deciso di non intervenire sul ritorno dei Taliban nella regione.

La presa di Kabul ci conferma che l’imperialismo americano è fallito e l’esportazione della democrazia con le guerre è stato solo un business a discapito delle popolazioni. Immaginate se i finanziamenti militari erogati in questi vent’anni fossero andati alla vera ricostruzione del Paese. Ad oggi il tasso di scolarizzazione è ancora molto basso. L’Afghanistan non ha infrastrutture moderne e la produzione di oppio è aumentata in questi lunghi anni di occupazione militare. 

Mentre noi siamo impegnati a discutere di vaccini e green pass, gli scenari geopolitici mutano in fretta e a discapito delle popolazioni, mettendo a rischio la libertà di uomini, donne e bambini. L’arrivo del governo talebano creerà nuove migrazioni in piena crisi sanitaria. I responsabili sono i governi occidentali e le industrie belliche. 

È stato un ferragosto strano quello appena passato: Gino Strada ci ha reso orfani e ci siamo svegliati da un sonno troppo lungo. È venuto a mancare proprio chi da vent’anni è stato al fianco degli afgani, denunciando, fino a poche ore prima di morire, l’assurdità della guerra. 

La politica italiana tace sulle questioni estere e non solo. La sinistra, che è sempre stata sensibile a temi come il ripudio della guerra e l’accoglienza dei profughi, non riesce più ad elaborare una politica estera chiara. La morte di Gino Strada e il ventennio di attacchi militari fallimentari ai Paesi arabi come la Siria, l’Iraq e la Libia ci devono far riflettere. Ci dividiamo su molte cose ma dovremmo iniziare a metterci insieme su questioni importanti che trovino terreno comune. 

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