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Mari Miceli

Avvocato e autrice di pubblicazioni scientifiche

Arte, Etica e Giustizia riparativa

Quando l’arte incontra la giustizia riparativa si apre un mondo che forse non avremo mai immaginato.
Un mondo fatto di immagini, interazione e di emozioni.
Non si tratta tanto di guardare ad una realtà fatta di emozioni visive o di romanticismi sentimentali, quanto di un’integrazione sociale e di giustizia riparativa che parta anche dagli occhi. 

Giustizia riparativa e U.L.E.P.E. 

Per comprendere al meglio cosa sia la giustizia riparativa è necessario fare un approfondimento delle leggi e dei regolamenti internazionali e nazionali che la prevedono. Probabilmente, le prime leggi nascono da esperimenti pratici e innovazioni sul campo ma, per organizzare in maniera più logica il pensiero, partiamo dalla teoria per poi approfondire la pratica. 
Come avviene nel sociale, infatti, vi è un continuo circolo di prassi-teoria-prassi che permette di giungere a una regola partendo dal lavoro sul campo; regola che poi, una volta sperimentata, può nuovamente essere modificata per adeguarsi a ciò che avviene nella pratica. Così avviene anche per la giustizia riparativa che, essendo un paradigma molto recente, è in continuo rinnovamento.
Facciamo un passo indietro: le virtuose interazioni tra rieducazione e riparazione passano attraverso una giustizia riparativa grazie alla legge di riforma penitenziaria n. 354 del 1975 con la quale è stato istituito l’U.L.E.P.E. (Ufficio Locale di Esecuzione Penale Esterna).
Su richiesta dell’Autorità Giudiziaria o degli Istituti Penitenziari, l’Ufficio si interfaccia con persone autrici o imputate di reato, rispetto alle quali svolge indagini di servizio sociale per conoscere la realtà personale, familiare, lavorativa. Tali indagini sono finalizzate all’applicazione di misure alternative o ad altre misure di comunità come la messa alla prova.
Incontrando con regolarità le persone interessate da tali procedimenti sia in Ufficio, sia sul posto di lavoro, sia in famiglia, che in Istituto, gli assistenti sociali dell’U.L.E.P.E. :
• accompagnano l’esecuzione della pena (detentiva e non) e gli imputati in messa alla prova;
• realizzano interventi di monitoraggio e di sostegno in modo che il programma in corso sia sempre calibrato sulle esigenze della persona; 
• costruiscono collegamenti con altri servizi ed attori del territorio.

La Comunità territoriale, quindi, è uno dei principali interlocutori nel lavoro dell’U.L.E.P.E., fornendo le diverse opportunità/risorse da mettere in campo nella elaborazione di percorsi inclusivi, finalizzati ad offrire alle persone una possibilità di cambiamento sostanziale delle proprie scelte e stili di vita. 

All’interno di questo percorso di recupero si è inserita la Mostra – ancora in corso presso il comune di Tarcento – “TONI ZANUSSI: l’anima, la terra, il colore. Cinquant’anni di pittura”, che ha offerto la possibilità a quattro persone del territorio di partecipare ad un corso di formazione professionale e ad una iniziativa di rilevante carattere culturale e sociale con il compito di accompagnare gli ospiti alla mostra. 

I quattro giovani sono diventati parte integrante di un gruppo trasversale di riflessione, composto da amministratori e operatori di Enti pubblici e del privato sociale che, nella motivazione condivisa a non disperdere l’opportunità del progetto così come ideato dall’artista Toni Zanussi, ha costruito una nuova modalità di “visita” della mostra.
 
Questa, infatti, è stata proposta con modalità on-line ma nello stesso tempo “live”, dato che presso la sede della mostra i giovani sono presenti e gestiscono la visita non solo mostrando e descrivendo le opere, ma portando la web cam esattamente laddove i visitatori chiedono di potersi soffermare di più e meglio. Ogni visita è inoltre arricchita dalla presenza di due ospiti, uno dei quali affronta – da una delle molteplici angolature – il tema della esecuzione penale. 

Dal punto di vista dell’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, questo “laboratorio” sta dimostrando il valore di un’esperienza in cui il senso della giustizia riparativa si gioca precisamente nella linea di intersezione tra la disponibilità di una comunità ad accogliere le persone che hanno commesso un reato, nell’ambito della propria realtà sociale, e il bisogno di queste ultime di ri-sentirsi parte attiva della e nella comunità di appartenenza. Si tratta di un “incontro” che porta la comunità a considerare il valore degli individui, e non già il loro dis-valore, e la induce a riflettere anche sulle proprie responsabilità, in relazione ai comportamenti pregressi dei suoi membri ed agli effetti negativi di una ulteriore stigmatizzazione; all’altro capo, le persone condannate o imputate, che rischiano di entrare in un circolo vizioso di marginalità e devianza, avranno una grande occasione per ri-definirsi in rapporto alla società in cui vivono.


Valore e dis-valore della giustizia penale 

Nel corso del tempo si sono succeduti diversi modelli di giustizia penale, influenzati sia dalle correnti filosofiche e di ricerca, che dai cambiamenti politici. Agli albori della società, il sistema penale consisteva nella vendetta privata. Da questa concezione di una vendetta illimitata, cioè scollegata da qualsiasi rapporto di corrispondenza, si passa oggi alla giustizia riparativa. Esperienze di questo tipo sono particolarmente virtuose, perché non nascono all’interno di una cornice socio-assistenziale, in un rapporto esclusivo tra la persona che ha commesso un illecito e un servizio sociale, ma si immaginano e si realizzano a partire da un pensiero, da un desiderio della comunità che, attraverso i suoi membri (in questo caso l’artista), denotano uno spontaneo interesse a costruire processi di inclusione sociale, nella volontà di “prendersi cura” degli altri. Ecco allora che il progetto di giustizia riparativa non solo “ripara” un ferita, ma diventa a sua volta elemento di coesione e di reciproca comprensione, rinsaldando il patto sociale tra i membri della comunità.

Per visitare la mostra: https://www.tonizanussi.it/
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