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Mario Visone

Scrittore e blogger.

Attacco allo Stato. La democrazia senza popolo?


Ogni parola è una picconata. 
Ogni frase è uno sforamento della percezione, uno sfondamento del consono, del consentito, del corretto.
Ma non c’è nulla di improvvisato negli atteggiamenti e nella retorica della destra italiana. 
La sua è una strategia, una rinnovata strategia della tensione continua giocata sul filo nero del passato che mai ha abbandonato il corpo della Nazione e che è stato assimilato nel profondo del Paese.
 
L’Italia è sempre stata fascista. 
Lo è stata prima del fascismo, durante il fascismo e dopo il fascismo in attesa del suo ritorno. 

Lo è sempre stata nelle voglie spropositate della sua borghesia improduttiva, in quelle conservatrici della borghesia industriale, nei reazionari intendimenti delle aree interne, nella dipendenza totale dallo Stato centrale da parte delle masse meridionali, negli intenti oscurantisti degli apparati ecclesiastici che si agitano contro Papa Francesco, nelle trame di alcuni apparati dello Stato. 
Un accumulo di interessi molteplici, talvolta in contraddizione tra loro talvolta, invece, parallelamente conniventi, che Salvini ha messo in relazione intorno a tre temi cardine: 

autonomia e tasse, 
immigrazione e legalitarismo, 
nazionalismo e culto del riconoscimento.

In merito al tema dell’autonomia e delle tasse, la Destra ha riletto e rimodulato le formule del liberismo sfacciato di stampo berlusconiano fondendolo con le ricette secessioniste della prima Lega. Ha arricchito di linguaggio populista ricette scabrose come l’abbassamento delle tasse ai più ricchi o le agevolazioni fiscali per i grossi patrimoni. A ciò ha aggiunto, sotto la menzognera dicitura di pace fiscale, i continui condoni senza badare troppo se i proventi di questi capitali siano leciti o meno, provengano da contrattazioni improprie di uso commerciale, da evasione fiscale o da riciclaggio. 
Nel complesso una vera e propria politica unidirezionale che favorisce ricchi, possessori di rendite parassitarie ed evasori in luogo di una vera proposta di redistribuzione della ricchezza sul piano nazionale. 
In un paese, quale è l’Italia, in cui 5 milioni e 58mila italiani sono in povertà assoluta, in cui i poveri assoluti sono il 12,1% e in cui solo il 5% della popolazione detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% degli altri, sembra un paradosso. Come una bizzarria sembra (vista anche con gli occhi di questa crisi da COVID-19) la questione delle autonomie differenziate che metteranno a rischio l’unità nazionale nei suoi servizi essenziali quali sanità, scuola, accesso all’educazione e ai bisogni primari. Su ben 23 materie, la competenza esclusiva dovrebbe ancora oggi passare alle regioni, favorendo quelle più ricche, facendo venire meno il patto di solidarietà costituzionalmente garantito e ribaltando fattualmente la centenaria questione meridionale (anche grazie alla straordinaria rimozione messa in atto dal ceto politico meridionale bisognoso di riciclarsi e asservito alla dinamica di accodamento al più forte). 
Se tutto ciò è vero, c’è da comprendere il fine che va ben oltre il pur avvenente motivo elettorale.
La Destra ha un fine più alto e quel fine è lo scardinamento, lo sfondamento della democrazia perché aumentare il differenziale delle diseguaglianze tra persone e tra Regioni non è solo una scelta economica o politica ma è una scelta tesa a stravolgere i rapporti di forza interni allo Stato e a stravolgere la sua unitarietà. 
La Destra vuole creare instabilità e con essa vuole cavalcare il bisogno dell’uomo forte, trasformando la sua figura nel protagonista del ritorno alla Norma indiscutibile, alla Legge sempiterna, al trittico del Dio, della Patria e della Famiglia tanto caro al ventennio fascista. 

Un tentativo il suo continuo e sempre più oltre le righe. 
Un tentativo che ha bisogno costantemente di nemici da osteggiare, minacciare, dileggiare. 
Nemici seriali e nemici occasionali. 
Ogni giorno, un magistrato, un giornalista, un buonista qualsiasi, un oppositore politico, un operatore sociale, un mediatore culturale, uno sportivo, un centro sociale, un cittadino italiano emigrato all’estero diventa un nemico occasionale, un traditore della Patria. 
Ogni giorno qualcuno viene dato in pasto al tritacarne dei social o viene accusato per bocca degli esponenti di Destra che si sono spinti a minacciare di eliminare la scorta a chi ha combattuto le mafie mettendo davanti alle proprie parole e alle proprie azioni, il corpo sacro della carne viva. 
Ogni volta che un omosessuale, una lesbica, una transessuale, un qualsiasi essere umano reclami un avanzamento in chiave civile o che una donna pretenda il mantenimento dei diritti di aborto o di divorzio diventa un nemico occasionale, un immorale che attenta ai valori della Famiglia come se essa non fosse il nucleo patriarcale, para-borghese e violento di ogni ancestrale oppressione sessista.

Tuttavia, a questi nemici occasionali tutti interni, vi è da aggiungere l’odio seriale, programmatico e programmato contro ciò che viene da fuori: quello contro gli immigrati e contro le minoranze, vedi rom, caminanti e sinti.
 
Un tema questo dei migranti e delle minoranze tanto caro alla Destra che brandisce il manganello della Patria, della Nazione, dello Stato Sovrano sopra la testa di chi chiede semplicemente più umanità e meno cinismo. È evidente quanto l’atteggiamento della Destra italiana non sia dissimile da quello delle propagande di ogni nazionalismo e di ogni sovranismo. È intorno a questo tema che ruota tutto, è questo l’architrave su cui sono fissate tutte altre parole d’ordine. 
Prima gli italiani da slogan elettorale è diventato odio, si è trasformato nella rivendicazione programmatica e politica dell’odio che fa il paio con quello delle peggiori derive autoritarie in corso in Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Brasile e Stati Uniti.

Qui rientra in gioco la continua esagerazione linguistica e mediatica che la Destra sforza sulla questione migranti a furia di parole violente, di un’ipertrofia social insostenibile e, quando era al governo, anche di una decretazione d’urgenza tesa ad esautorare il parlamento, ridotto a inutile orpello di un’impellenza inesistente nei fatti ma non nella percezione alimentata da una narrazione falsa e artata.

In questo aspetto, vi è il secondo attacco allo Stato e cioè nell’accentramento feroce del potere decisionale dall’ambito legislativo a quello esecutivo e in un accerchiamento terrificante di ogni altro potere indipendente. 

Tale accerchiamento avanza e avanzerà fino alla resa, fino alla acquiescenza, fino all’assimilazione totale di qualsiasi potere in una nuova forma di totalitarismo che coinciderà col corpo del capo che si fa Nazione, col corpo del leader che si fa Popolo, che si fa Legge in divisa e Religione in un bacio dato al crocifisso.
 
Il Capitano della Destra, come il Capitano rumeno Corneliu Zelea Codreanu, fascista, cristiano-integralista e ultranazionalista, vuole arrivare alla completa identificazione della sua figura con quella dello Stato di Legge e una volta ottenuto il risultato, attaccando le istituzioni democratiche, sgretolandole, corrodendole, screditandole, chiederà e otterrà di modificare la Costituzione in chiave presidenzialista.

Vi ricorda qualcosa questo schema?
A me sì.
E preoccupa tanto perché al suo cospetto bisogna avere una consapevolezza: la democrazia non ha difensori se non il popolo.


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