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Serana Mottola

Dottoranda di ricerca in Linguistica all’Università “Parthenope” di Napoli.

Paese che vai, maschilismo che trovi

Il 13 gennaio di quest’anno le ministre Bonetti e Bellanova, rispettivamente all’Agricoltura e alle Pari opportunità, convocavano una conferenza stampa per annunciare le loro dimissioni dal governo Conte bis. Gli osservatori e le osservatrici più attentə ricorderanno, però, che non sono state proprio protagoniste, anzi: se al posto delle due esponenti di Italia Viva ci fossero stati dei cartonati, in stile Propaganda Live, il risultato sarebbe stato lo stesso. Sì, perché nonostante le dimissioni riguardassero le figure di Elena Bonetti e Teresa Bellanova, a parlare in quella conferenza stampa fu quasi esclusivamente Matteo Renzi. Pur mostrando un’ottima padronanza della prima persona plurale in lingua italiana, il leader di Italia Viva ha preso in ostaggio il microfono e l’ha mollato solo dopo 40 minuti (su 1 ora e 17 minuti di conferenza), per poi riprenderlo saldamente in mano subito dopo aver gentilmente concesso alle dimettenti ministre di rispondere a qualche domanda (scelta) dei e delle giornalistə.
Molte persone notarono questa prevaricazione, in perfetto stile renziano, del Senatore di Italia Viva. Fu vergognoso assistere a quel prolungato silenzio da parte di chi, invece, quella crisi di governo la stava formalmente realizzando, rinunciando al proprio incarico di ministra all’interno di quell’esecutivo.
Questo (ennesimo episodio di) maschilismo politico mi è tornato di nuovo in mente in queste settimane, in cui il Senatore Renzi è nuovamente sotto i riflettori dell’opinione pubblica per una delle sue tante manie di protagonismo; nello specifico, quella relativa al suo recente viaggio di lavoro (?) in Arabia Saudita, in cui ha conversato amabilmente con il principe Mohammed bin Salman sulle potenzialità del territorio saudita di diventare il “luogo di un nuovo Rinascimento”. Il video di quell’incontro ha fatto molto discutere, non soltanto per come il Senatore ci faccia puntualmente sfigurare quando si cimenta nella lingua di Shakespeare, ma soprattutto perché è parso davvero incredibile che pronunciasse quelle parole con quell’interlocutore e in quel Paese. Non bisogna essere espertə di Medio Oriente per sapere che l’Arabia Saudita non è esattamente quel che si dice uno Stato in cui prevalgono tolleranza e rispetto per i diritti umani, figuriamoci qualcosa di anche vagamente simile al Rinascimento.
Tra i motivi per i quali il Senatore Renzi è stato aspramente criticato da più parti per questa sua comparsata primeggia il coinvolgimento di bin Salman nell’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ucciso nel 2018 in Turchia proprio su commissione del principe, stando ad un rapporto pubblicato in questi giorni dalla CIA. Altri attacchi rivolti a Matteo Renzi riguardano il possibile conflitto di interessi di un Senatore in carica che offre consulenze o prestazioni lavorative ad un Paese estero: pur essendo questa una pratica assolutamente lecita, si tratta quantomeno di scelte di dubbia eticità, soprattutto con interlocutori del genere. Le critiche che gli vengono mosse riguardano anche le tempistiche: il leader di Italia Viva, infatti, partecipò al summit della Future Investment Iniziative – vertice organizzato ogni anno dal principe saudita – mentre qui ci si trovava nel pieno della crisi di governo provocata da lui e dalle silenziose ministre del suo partito.
Insomma, sono in moltə a ritenere, per motivi diversi, che l’Arabia Saudita non sia proprio un Paese con cui un Senatore della Repubblica Italiana dovrebbe essere orgoglioso di intrattenere rapporti personali. Tuttavia, in questa pioggia di ottime ragioni per cui non si dovrebbe fare Pasquetta con i sauditi, ne manca una, a parer mio – beata gioventù! – fondamentale: i diritti e il ruolo delle donne in Arabia. La società saudita è tra le più patriarcali e maschiliste al mondo: vige ancora il cosiddetto sistema della “custodia maschile”, in virtù della quale una donna non può sposarsi, andare via di casa e compiere molte altre scelte senza l’approvazione di un uomo della famiglia (anche un bambino, maschio, ha più potere decisionale su una donna adulta di quanto ne abbia lei per sé stessa). Fino al 2018, inoltre, l’Arabia Saudita era l’unico Paese al mondo in cui alle donne fosse proibito guidare. Nello stesso anno, per aver violato quel divieto poco prima della sua rimozione, l’attivista Loujain al Hathloul era stata arrestata e incarcerata insieme ad un’altra dozzina di donne. La sua recente scarcerazione, seppur condizionata dal divieto di uscire dal Paese, rilasciare dichiarazioni pubbliche e utilizzare i social media, ha fatto tirare un sospiro di sollievo alle molte persone preoccupate per lei e per tutte le donne che lottano contro una società che le vuole zitte, obbedienti e sottomesse alla volontà maschile.
Lungi da me creare paragoni forzati tra la società saudita e quella italiana. È chiaro che io, rispetto a una mia coetanea colpevole solo di essere nata in Arabia Saudita, godo di diritti che per lei sarebbero fantascienza, e grazie. Tuttavia, ho malignamente pensato che, se in tutte le critiche che sono state – giustamente – mosse al Senatore Renzi per questa sua performance si è mancato di tirare in ballo le condizioni di vita delle donne saudite, nonostante episodi recenti di rilevanza internazionale (oltre al caso di Loujiain al Hathlou, si è parlato molto anche di quello di Rahaf al-Qunun, scappata dalla sua famiglia nel 2019 e ora rifugiata in Canada), un motivo ci sarà. Sarà mica che tanto i sauditi quanto gli italiani preferiscono quando stiamo zitte e buone e lasciamo che altri parlino al posto nostro?
Chissà. Intanto, salvo qualche ministra compiacente, noi zitte non ci stiamo e facciamo sentire la nostra voce anche per chi non ce l’ha, per scelte non sue.
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