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Francesco Fusco

Attivista

Così parlò Il Presidente

Come sarà ricordato questo 25 ottobre 2022?


Come il giorno del down globale di WhatsApp oppure come il giorno del discorso programmatico del primo presidente donna della storia d’Italia, Giorgia Meloni? Non amo il gioco d’azzardo, ma personalmente punterei tutto sul blackout del sistema di messaggistica.

Se è vero che del doman non v’è certezza, il presente al contrario, nonostante le innumerevoli ombre e le poche e flebili luci, si presenta in una dimensione relativamente intellegibile.

Cominciamo dalla fine dunque, dall’effetto primo del discorso di Giorgia Meloni: la rassicurazione. Totale, incondizionata e a tratti servile nei confronti dei mercati in primis, dell’Europa naturalmente e degli Alleati Atlantici tutti. Rassicurazione che nulla ha a che fare con l’eventuale pericolo che avrebbe rappresentato un governo di destra-centro sulla tenuta democratica del paese, pericolo tra l’altro mai paventato se non da qualche disperato politico del bel paese o da qualche testata giornalistica d’oltralpe, bensì con l’assunto che, nonostante tutto cambi nella forma, nulla cambi nella sostanza.

Definite quindi le coordinate metodologiche moderate entro le quali muoversi tornano in auge i soliti temi tanto cari ai governi dell’ultimo ventennio: pareggio di bilancio, debito pubblico, necessità di riforme strutturali, mercato libero, investimenti esteri, fedeltà ai patti atlantici, cooperazione tra i paesi UE.

Indubbiamente i toni particolarmente retorici utilizzati dal nuovo governo farebbero sorridere se il contesto storico non fosse tragico.

In primis la questione Russo-Ucraina, impietosamente strumentalizzata per elemosinare aiuti e/o fondi vari ed eventuali, e la conseguente posizione dell’Italia soltanto un’Italia che rispetta gli impegni può avere l’autorevolezza per chiedere a livello europeo ed occidentale, ad esempio, che gli oneri della crisi internazionale siano suddivisi in modo più equilibrato.
In materia economica il lessico utilizzato è chiaramente quello liberista, quello lontano dalla realtà “lacrime e sangue” in cui enormi sacche della società civile versano da anni, tanto per intenderci, ma tanto caro a quella classe sociale brillante e spregiudicata, illusa dal sogno del successo ad ogni costo che inesorabilmente si tramuterà in incubo, refuso delle peggiori pellicole d’oltreoceano anni ‘80, per cui dal dramma della crisi…possa emergere, per paradosso, anche un’occasione. Per chi e a discapito di chi, naturalmente, non è dato sapere.
Allo stesso modo la ricetta per la “crescita economica, duratura e strutturale” deve inesorabilmente essere rappresentata dagli investimenti stranieri, naturalmente contrastando le “logiche predatorie”, ma giammai da politiche sociali quali piena occupazione, aggiornamento dei salari, abolizione della flessibilità contrattuale o salari minimi garantiti.
Chiaramente gli investimenti stranieri “mal sopportano la mutevolezza dei governi”, per cui la riforma costituzionale in senso presidenziale è assolutamente necessaria per garantire una certa continuità, non politica, ma economica, in una dolce alternanza centro-destra/centro-sinistra intramezzata da governi tecnici che difficilmente mancheranno nella scena politica del nostro paese.

Definiti i rapporti di forza della nuova compagine governativa italiana con Europa e Occidente, rapporti che ci vedono in una posizione di colonizzati piuttosto che di partenariato, si può finalmente dare libero sfogo ai deliri di politica interna.

Naturalmente i classici non devono mai mancare: famiglia, natalità, sicurezza, legalità, patto fiscale, evasione, lotta alla criminalità organizzata, questione meridionale. Temi triti e ritriti, utili a convogliare consenso nelle piazze prima ed applausi nelle stanze del potere poi, il tutto condito abbondantemente con slogan ad effetto e citazioni varie ed eventuali: non disturbare chi vuole fare, l’incomprensibile non c’è un ecologista più convinto di un conservatore, l’immancabile siate folli, siate affamati…e liberi, che danno profondità, solo formale e mai sostanziale, alla pochezza argomentativa che in fondo ci si aspettava.

Una menzione speciale la “meritano” giovani e scuola, che rappresentano la reale cartina tornasole della visione presente e ancor peggio futura della destra globalista imperante. Anche in questo caso la forma e i termini utilizzati rimandano ad un modello che di “umano” non ha nulla, ma che al contrario si struttura sull’esigenza di investire in una formazione scolastica e universitaria più attinente alle dinamiche del mercato del lavoro, con l’istruzione ridotta a mero strumento per aumentare la ricchezza di una nazione e capitale umano, naturalmente. Mancano altresì i termini essenziali di uno sviluppo argomentativo in senso umanitario, “uomo”, “donna”, “educazione”, “comunità”, “evoluzione” perché essenzialmente manca una visione umanitaria della società, slegata dalle logiche dell’individualismo e dell’utilitarismo. Il futuro dei giovani (sarebbe interessante tra l’altro sapere quanto duri la giovinezza) non è chiaramente nelle loro mani, preclusa è ogni possibilità di essere artefici del proprio destino, con buona pace della autodeterminazione degli individui, figurarsi dei popoli. Per dovere di cronaca, la linea tracciata dalla Meloni non è naturalmente una novità né tantomeno una prerogativa dei governi di centro destra, anzi. Ma il messaggio inviato alle nuove generazioni è chiaro, non lascia spazio ad equivoci di sorta, e se non dovessero bastare le parole dolci, familiari, direi quasi materne rivolte ai nostri cari giovani per cui difficilmente riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza contro le politiche del nostro governo, allora ci penseranno i manganelli, evidentemente. In questo caso la realtà, spietata ed ironica al tempo stesso, supera di gran lunga l’immaginazione visto che quasi contemporaneamente alla dichiarazione di “simpatia” gli studenti della Sapienza cominciavano inesorabilmente a prenderle dalle forze dell’ordine. Il diavolo fa le pentole e non i coperchi.

Unica nota positiva di questa giornata, sinceramente l’unica degna di essere menzionata nei futuri libri di storia, se la Storia dovesse essere ancora materia di studio tra i banchi della scuola che consegneremo alle generazioni che verrano, l’intervento di Aboubakar Soumahoro, che tra le altre cose risponde in merito alla questione immigrazione, riguardo la proposta di creazione sui territori africani di hotspot, gestiti da organizzazioni internazionali, dove poter vagliare le richieste di asilo e distinguere chi ha diritto ad essere accolto in Europa da chi quel diritto non ce l’ha (evidentemente la questione merito è particolarmente sentita da questo governo), ricordando che l’Africa un piano l’ha già avuto nel 1884 quando fu divisa, fu separata, fu distrutta attraverso la conferenza di Berlino con la colonizzazione. Una lezione questa che evidentemente una grossa fetta della rappresentanza politica e della società civile proprio non riesce a metabolizzare. Una lezione al tempo stesso semplice e potente, una potenza sicuramente incomprensibile ai più, da destra a sinistra in maniera trasversale, perché assunta in una dimensione storica che ha radici profonde nel continente Africano. No retorica. No deliri.

E’ sicuramente a questo modo di fare politica, dei contenuti e non dei contenitori, della logica e non della retorica, dell’umano e non del numero, che rivolgiamo fiduciosi il nostro sguardo, certi che impegno, partecipazione e attivismo siano l’unica strada per quell’inversione di tendenza radicale oggi più che mai necessaria.


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