Layout del blog

Mario Visone

Docente e scrittore

Fabio D'Angelo

Ingengnere e "cefalo"

De Luca, Zaia e l’arte di sapersela raccontare male (bene) al tempo del Covid.

L’arte di ammesurarsi la palla

Ci sono modi di dire napoletani – slang recenti o detti secolari - che rispondono più dei tweet, delle immagini di Instagram, all’esigenza di essere smart, veloci, di semplificare il messaggio e rendere perfettamente chiaro il concetto che si vuole esprimere. “Misurare la palla” appartiene sicuramente a questa categoria. Molti legano l’origine al gioco delle bocce, altri agli artiglieri quando esortavano i serventi a valutare in modo opportuno la compatibilità del calibro dei proiettili con il cannone da usare. Qualunque sia l’origine, poco importa, perché questo modo di dire è riuscito a semplificare e racchiudere in sé tutte le infinite raccomandazioni fatte dai genitori napoletani ai figli per esortarli a ragionare e valutare sempre prima e in modo oculato tutte le possibili conseguenze che un’azione può provocare. Anche per questo, per molti di noi, quella di ammesurate 'a palla è diventata quasi un’arte, uno stile di vita che Vincenzo De Luca, salernitano e figlio del secolo scorso con formazione culturale nel secolo ancora precedente, evidentemente non ha mai imparato. Forse perché non ha mai amato Napoli. O più semplicemente perché l’uomo di Salerno è un togliattiano nei modi e nella sostanza. Così, durante le sue grevi e verbalmente violente fino al parossismo dirette Facebook del venerdì degli ultimi mesi l’abbiamo visto autoproclamatosi Migliore. Oh, non fraintendete, niente a che vedere con il più modesto e adattabile a ogni situazione politica Gennaro Migliore. Solo un tratto coerente del sentirsi la reincarnazione di Togliatti, che l’essere orfano del Partito ha finito per aggravare, rendendolo totalmente refrattario a qualunque limite o imposizione calata dall’alto, al punto da riconoscere un solo verbo e una sola regola, la sua. Ovviamente, tutta questa esaltazione dell’Io non può contemplare in nessun modo l’ammesurarsi la palla. Per questo, con i suoi modi eclatanti, una diretta Facebook dopo un’altra, posiziona a forza la Campania sul podio delle tre regioni meglio amministrate in Italia. Con una sanità resa iper-resiliente solo e soltanto grazie alle sue decisioni. Una costante esaltazione dell’IO che lo spinge ad attaccare frontalmente il governo, il sindaco di Napoli, i giornali, i giornalisti e qualunque persona metta in discussione il Verbo. E questo nonostante la situazione politica, i reali rapporti di forza consigliassero una maggiore cautela. In verità, era proprio la realtà campana a suggerire con forza a De Luca maggiore cautela e uno storytelling totalmente diverso.

Quanto il territorio ti parla, ma tu non lo ascolti

Cosa cercava di dire il territorio a De Luca? Innanzitutto raccontava di un sistema produttivo attaccato alla canna del gas e di una conseguente emigrazione giovanile che ha ricominciato a galoppare velocemente – in questo Natale da lockdown, sono previsti almeno ottantamila persone in transito tra Capodichino e la stazione di Piazza Garibaldi – , cose che da sole avrebbero consigliato più sobrietà e sì, proprio quell’ammesurarsi la palla. A queste va sommata la realtà sanitaria rappresentata da un sistema stressato e indebolito da anni di commissariamento e un problema non marginale: quello ormai atavico di non avere da decenni una stampa cittadina e regionale autorevole. E su quest’ultimo punto sfidiamo tutti a dire il contrario, cioè nella politica di oggi, godere di buona stampa non è tutto, è l’unica cosa che conta. Così, quando ad ottobre il karmacovid ha presentato il conto anche in Campania, De Luca si è trovato solo con il suo IO e vulnerabile. Nessun esponente della sua area politica a battagliare in tivvù o in parlamento, nessun editoriale in sua difesa, nessun personaggio famoso, imprenditori, medici, virologi o giornalista pronti a fare harakiri televisivi o a toccare vette di ridicolo inimmaginabili. E soprattutto, nessun esponente del sistema produttivo pronto, dietro le quinte, a fare forti pressioni sul Governo e sul Comitato scientifico per non chiudere. Niente di tutto questo. In cambio abbiamo avuto un processo politico al sistema De Luca (in gran parte meritato) che però ha impiegato giusto un nanosecondo per scadere nei soliti luoghi comuni: quel Vesuvio che erutta Covid durante una puntata monotematica di Giletti sulla Campania, alla presenza in studio del sindaco di Napoli, chiede ancora vendetta. Il resto della storia la ricordiamo tutti: sono arrivati gli ispettori e la Campania passa a furor di popolo dal giallo iniziale al rosso e poi all’arancione perenne. Eppure qualcuno poteva aiutare De Luca e il suo Io: sì, stiamo parlando proprio dei numeri, quelli pubblici, ufficiali, pubblicati quotidianamente dalla Protezione Civile. Andiamo a leggerli insieme.

I numeri non mentono, quasi mai

La Campania negli ultimi 50 giorni (riferimento di partenza al 7 novembre) passa da 82.318 a 185.821 contagiati. Il numero dei tamponi a sua volta passa da 1.097.897 a 1.989.495. Nello stesso periodo di riferimento il numero dei morti passa dagli 811 del 7 novembre ai 2.678 del 26 dicembre, mentre quello dei guariti passa da 16.001 a 102.580. Sono numeri enormi se confrontati con quelli della prima ondata. Sono numeri smisurati rispetto alla propaganda di De Luca che ha dimostrato nell’illogicità dei proclami che non esisteva nessuna particolare capacità nella gestione della sanità campana. Semplicemente, in Campania il virus non si era ancora affermato nella sua grandezza di propagazione e infettività. Ma la propaganda di De Luca ha alcuni dati a suo favore soprattutto quando parla di “miracolo”. Sì. Miracolo. Il miracolo probabilmente è l’unità di misura giusta per la sanità in Campania. Bistrattata, commissariata, avversata, la sanità campana ha dimostrato una capacità di resistenza ben più ampia delle sue reali possibilità, ben più ampia di quello che dovrebbe. Basta guardare il fondo di trasferimento statale, basato su un algoritmo che è un vero e proprio imbroglio targato Lega e formulato ai danni delle regioni meridionali, per capire che la sanità in Campania ha retto solamente grazie alla solerzia e all’affidabilità del settore medico.

Per capire basta seguire i ragionamenti fatti dalla EU:

https://ec.europa.eu/health/sites/health/files/state/docs/2019_chp_it_italy.pdf

Quindi, tornando al ragionamento di base: la Campania ha pochi soldi rispetto al suo reale fabbisogno perché nella costruzione dell’ammontare assegnato non si tiene conto del concetto di deprivazione sociale che tanto invece incide sui fattori di prevenzione e rischio delle malattie. Infatti, il sistema di riparto economico contenuto nel d.lgs. n. 68/2011 "Disposizioni in materia di'autonomia di entrata delle Regioni a statuto ordinario e della Province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario" ad oggi prevede l’individuazione di tre regioni benchmark da parte della Conferenza Stato-Regioni tra quelle indicate dal Ministro della salute.


L’individuazione avviene scegliendo tra le regioni che sono riuscite a garantire i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) in condizioni di equilibrio economico. Facendo leva su questo modello, costruito sulla base del comportamento delle regioni benchmark, si va a determinare il costo standard per ciascun livello di assistenza come “media pro capite pesata del costo registrato dalle Regioni di riferimento”, dove per “pesata” si intende aggiustata per la composizione anagrafica. In definitiva, pur soprassedendo su tutti i passaggi che vengono effettuati, la quota finale di assegnazione dei fondi dipende unicamente dall’anzianità della popolazione residente nella regione rapportata a quella delle altre regioni italiane. In sostanza vengono favorite le regioni con una popolazione più anziana. Detto ciò, nonostante le difficoltà, nonostante il trucco dei numeri che dovrebbe aprire una feroce questione sulla suddivisione dei fondi per la sanità in chiave meridionalista, la sanità campana ha sostanzialmente retto. Non ci interessa capire qui in che percentuale abbia retto anche grazie a De Luca (non tanto il De Luca con il lanciafiamme incapace di misurarsi la palla quanto il De Luca che ha portato la regione fuori dal commissariamento), ci interessa capire perché ci si sia accaniti nella colorazione rosso sangue della Campania e nella sconsiderata gestione del contagio altrove. Ricordate la grande menzogna lombarda? Il sistema affaristico clientelare lombardo che affidava al privato tutta la gestione delle attività più onerose al sistema sanitario nazionale e le più redditizie ai privati? Ricordate lo scandalo delle RSA e la famosa delibera della Giunta regionale della Lombardia che appunto affidava a quest’ultime la permanenza dei malati Covid con conseguente strage? Ecco, in quei giorni a fare da contraltare si parlava di modello Veneto. Ma era davvero un modello? Partiamo ancora una volta dai dati. Il Veneto negli ultimi cinquanta giorni (a far data sempre dal 7 novembre scorso) è passato da 75.907 a 237.315 contagiati. Nello stesso periodo i morti sono purtroppo aumentati da 2.568 a 5.986. Basta guardare il grafico per comprendere come l’indice Rt del Veneto sia semplicemente spaventoso a causa di punte del rapporto positivi/tamponi fatti che superano il 35%.

Nello stesso periodo di riferimento il Veneto risulta avere effettuato i 3.219.624 tamponi. Ma una domanda sorge spontanea: a quanti cittadini corrispondono realmente questi 3.219.624 di tamponi considerando che il Veneto ha 4.894.077 abitanti? Davvero in Veneto hanno fatto tamponi al 65,78% della popolazione residente? Sembra un po' irreale come dato e infatti, a scavare e scavare, si scopre che realisticamente gli oltre tre milioni di tamponi effettuati in Veneto corrispondono a circa 1.125.000 persone testate, cioè 21 ogni 100 abitanti. Un dato che pone il Veneto al sedicesimo posto tra le regioni italiane! Quale sarebbe il modello quindi? Quello che fa tanti tamponi sempre alle stesse persone? Quello che grazie ai test veloci (a grande variabilità di affidabilità) tiene aperte ancora una volta aziende, fabbriche e così facendo mette l’economia della regione davanti alla salute dei suoi cittadini? E non si venga a dire che tutti questi tamponi effettuati servano a garantire il tracciamento perché con i dati dei positivi degli ultimi cinquanta giorni il Veneto dimostra pienamente cosa vuol dire perdere il controllo del territorio. E neppure saperlo ascoltare. Non ascoltare che a Montebelluna e a Treviso gli obitori sono pieni e si utilizzano per le salme le cappelle delle chiese è grave, come è grave chiudere il pronto soccorso di Castellammare di Stabia. Non ascoltare che a Padova si è allo stato di emergenza assoluta è grave quanto assistere alla sospensione delle cure non-covid in alcuni ospedali della Campania per mancanza di personale. Zaia sostanzialmente ha fallito. Come ha fallito Fontana in Lombardia. Come ha fallito il Piemonte. Come ha fallito tutto il sistema delle regioni, Campania compresa. La sconfitta non è di uno, ma dell’intero sistema che vuole privilegiare sempre e comunque la parte settentrionale del paese secondo un’ottica presunta di “questione settentrionale” che non ha alcuna aderenza nella realtà.


Esasperare i privilegi regionali con il regionalismo differenziato


Una presunzione di grandezza si poggia sulla constatazione (questa sì reale) che nelle regioni settentrionali si concentri il motore produttivo del Paese e che, pertanto, quel motore debba essere alimentato con l’implementazione di competenze esclusive che, tradotto, significa con un rafforzamento del federalismo fiscale. Dopo la firma delle Intese preliminari tra il Governo e le Regioni Emilia Romagna, Lombardia e Veneto del 28 febbraio 2018 il dibattito sembrava essersi interrotto, almeno pubblicamente, con l’insediamento del Conte bis. Invece, la bozza di legge quadro per l’autonomia differenziata, proposta dal ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia (non prevista dall’art. 116 della Costituzione), è stata approvata dalla Conferenza delle Regioni e contiene i principi per l’attribuzione di forme particolari di autonomia e le modalità di definizione delle stesse. A sorpresa, il comma c) dell’art. 1 presenta il ritorno della perequazione infrastrutturale, introdotta dall’art. 22 della legge 5 maggio n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale e riguarda «le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali». Nelle Intese preliminari non si faceva riferimento alla legge n. 42 del 2009 (e al Dlgs n. 68 del 2011) anche se l’articolo 116 stabilisce che le forme e condizioni particolari di autonomia devono attenersi alle norme specificate nell’articolo 119 della Costituzione, quindi alla legge e al decreto sopra citato. Dunque, la bozza di legge quadro presenta il ritorno alle questioni irrisolte del federalismo fiscale. Inoltre, prevede una valutazione degli esiti delle nuove politiche regionali, ma non presenta riferimenti alla giustificazione della maggiore efficienza delle Regioni (capacità amministrativa, solidità finanziaria, investimenti) rispetto allo Stato circa l’esercizio delle nuove funzioni richieste. In definitiva, più poteri di spesa a chi più potere già esercita. Più potere contrattuale a chi più potere già istruisce. E tutto fregandosene dell’unità nazionale e del crescente dislivello di ricchezza che la crisi sta acuendo nel Paese. Se non è miopia politica questa, cos’è la miopia? Se non è reiterazione della truffa ai danni del Sud questa, cos’è una truffa?


Sì, facciamo una sintesi


Sì, ce ne rendiamo conto e vi chiediamo scusa: abbiamo esagerato con i calcoli, ma fidatevi, era un male necessario. Perciò faremo una breve sintesi, ma prima dovete consentirci un prosaico paragone automobilistico: De Luca, l’uomo che non si misura la palla, aveva per le mani un sistema sanitario paragonabile a una modesta Panda piena di ammaccature e invece lo vendeva come fosse una Ferrari. Sulle proporzioni ci siamo andati precisi, anche perché, forse senza volerlo, il Governatore affetto da megalomania, così facendo, ha dato vita al paradosso in chiave Covid. Ebbene sì: la Panda un po’ scassata su cui viaggia il sistema sanitario Campano alla fine ha arrancato meno dei bolidi sanitari del Nord – sì, quelle pluripremiate come Regioni benchmark per la sanità nazionale ― riuscendo persino a salvare un numero maggiore di vite umane. Perché, vedetela come volete, ma alla fine esiste un unico parametro in grado di stabilire l’effettiva resilienza di un sistema Sanitario. E questo parametro non può che essere legato alla capacità di salvare il maggior numero di vite. Ed è proprio qui che si nasconde la chiave del nuovo paradosso di De Luca, perché in Campania, Regione travolta da un’ondata pandemica paragonabile nei numeri a quella delle regioni del Nord, il tasso di mortalità da Covid rapportato al totale dei positivi è stato del 1,44%, contro il 2,51 del Veneto, il 4,00% del Piemonte, il 5,27% della Lombardia, il 4,81% della Liguria e il 4,47 dell’Emilia Romagna. Per cui se non vogliamo spiegare il paradosso con le affermazioni del deputato lombardo di Italia Viva Gianfranco Librandi, qualche domanda dobbiamo pur farcela. Ne suggeriamo qualcuna:


- Possibile mai che una sanità piena di criticità e che esce da un periodo lungo di commissariamento, si dimostri nei fatti più resiliente rispetto ad altre meglio attrezzate?

- Possibile mai che una regione che annualmente ha meno risorse sanitarie si comporti meglio di quelle più ricche?

- Siamo proprio certi che la chiusura prolungata delle scuole non abbia avuto sortito nessun effetto?

- Siamo proprio sicuri che le Regioni che vantano il titolo di “virtuose”, siano anche quelle che spendano meglio i soldi pubblici?


Risposte convincenti le dobbiamo ai tanti morti da Covid, alle loro famiglie, a chi in piena Pandemia è stato costretto ad andare a lavorare mettendo a rischio la propria salute, a quelle categorie di lavoratori che con l’adozione di un lockdown differenziato e il conseguente passaggio da giallo a rosso, hanno finito col rimetterci il lavoro. E infine, ai territori depressi, che nella ripartizione dei fondi per il Recovery Fund finiranno anche questa volta per perdere il treno della vita, anche a causa di una speculazione politica di comodo e di una narrazione troppo spesso distorta.


Un Ringraziamento a Nazario Festeggiato per i grafici.

Autore: La redazione 27 lug, 2023
Politiche per il cambiamento climatico significa città sostenibili. Quelle italiane sono pronte?
Autore: Andrea Maestri 08 mar, 2023
Lettera alla donne di Cutro
Autore: Irina Di Ruocco 07 mar, 2023
Tra Super-bonus e Super-opportunità
Autore: Giancarlo Marino 04 mar, 2023
La copertina è tratta da Palestina. Una nazione occupata opera di Joe Sacco fumettista e giornalista. 
Autore: Paolo De Martino 27 feb, 2023
La vera sfida inizia adesso
Autore: La redazione 25 feb, 2023
Il sostegno a una confederazione israelo-palestinese sta guadagnando terreno
Show More
Share by: