È pensabile un’Unione europea dei diritti sociali? Quando entrò in vigore il 1 gennaio del 2009 il
Trattato di Lisbona
, il fatto che l’art. 6 richiamasse la
Carta dei diritti fondamentali
del 2000- o
Carta di Nizza- come una fonte da considerare allo stesso livello giuridico dei Trattati, sembrò poter ripartire quantomeno una discussione sui diritti sociali, da tempo scomparsi dal dibattito pubblico. In verità il dibattito successivo non ha creato particolari speranze. Cominciamo a capire il posto assegnato ai diritti sociali nella
Carta di Nizza
rispetto al dogma della concorrenza, che abbiamo visto definire il senso stesso del mercato europeo, e al principio della libertà di iniziativa economica che lo sostiene. Partiamo dal
Preambolo; la cosa che colpisce è che l’enunciazione dei valori che contraddistinguono l’Unione europea mette al primo posto «la dignità umana», prima ancora della «libertà». Terminato il preambolo troviamo un’altra novità fondamentale; per la prima volta non c’è più la distinzione tra diritti civili, politici e sociali, ma viene affermata la loro indivisibilità; c’è una gerarchia di valori a partire dalla dignità, per poi proseguire con la libertà l’uguaglianza, la solidarietà, la cittadinanza e la giustizia. Nella parte relativa alla Solidarietà si segnalano l’art. 34 per il diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale, ai servizi sociali e all’assistenza abitativa; l’art.35 garantisce un elevato livello di protezione della salute umana; molto debole, invece, soprattutto se confrontato con la Costituzione italiana, l’art.15 il quale riconosce «un diritto di lavorare» e «di esercitare una professione liberamente scelta»: una cosa ben diversa dal nostro
diritto al lavoro; colpisce negativamente, inoltre, anche l’art.51 nel momento in cui specifica che «la presente Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità e per l’Unione», potendo così, di fatto, ridimensionare la Proclamazione delle tre tipologie di diritti insieme per la prima volta. Più interessante dal nostro punto di vista il
Protocollo
12 prodotto dal
Consiglio d’Europa
nel 2000 ed entrato in vigore nei paesi che l’hanno ratificato nel 2005; ad oggi, 2019, né l’Italia né la Germania l’hanno accolto nel proprio ordinamento. L’art.1 di questo
Protocollo
è interessante perché stabilisce che «il godimento di ogni diritto previsto dalla legge deve essere assicurato, senza discriminazione alcuna, fondata in particolare sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione». Questo diritto generale di discriminazione potrebbe in effetti costituire il trampolino di lancio perché la Corte di Strasburgo riconosca anche i diritti sociali, nel senso che potrebbe rappresentare un principio di limitazione della libertà economica nel momento in cui entra in conflitto con la garanzia di alcuni diritti. La stessa
Carta sociale europea,
prodotta dal
Consiglio d’Europa
nel 1996, prevede un più deciso riconoscimento di diritti sociali- diritto al lavoro, all’assistenza sociale e medica, etc..-, ma essa non è mai stata adottata dall’Unione europea: l’art. 6 del Trattato dell’Unione europea riconosce infatti solo l’adesione alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, non anche alla
Carta sociale; in ciò confermando, evidentemente, l’impostazione originaria della Comunità economica europea, ovvero il fatto, evidente fin dal titolo, che il livello sovranazionale era relativo solo all’integrazione economica, mentre l’eventuale elaborazione di un
Welfare
spettava ai singoli Stati. Se l’art. 2 del
Trattato
di Roma del ’57 dice che la Comunità deve contribuire al miglioramento del “tenore di vita”, l’art.3 considera strumenti essenziali per lo scopo «la libera circolazione delle persone, dei servizi e dei capitali» e il «ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura necessaria al funzionamento del mercato comune»: di fronte a questo inizio è evidente, da quanto detto, che dei passi in avanti sono stati fatti in merito al potenziamento di una serie di competenze europee in materia sociale per quanto, ad oggi, in maniera chiaramente marginale rispetto alle libertà economiche. Se infatti prendiamo l’art.3 del
Trattato
dell’Unione europea si dice chiaramente che lo sviluppo «sostenibile» dell’Europa è basato «su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale»; l’ordine con cui vengono organizzate le parole esplicita quanto stiamo dicendo e cioè che compaiono delle preoccupazioni sociali, ma solo dopo l’essersi assicurati il miglior funzionamento del mercato. Alla luce di ciò non ci si può attendere che in tempi brevi i diritti sociali acquistino un ruolo centrale nell’Unione, ma si deve almeno provare a costruire un fronte di Stati accomunati da un’esplicita tradizione costituzionale di
stato sociale, affinché i principi di libertà economica, pilastro dell’Unione, non indeboliscano la tutela sociale presente nei singoli Stati, come è accaduto in Italia negli ultimi anni con l’attenuazione degli interventi pubblici nel campo del lavoro, della sanità, del diritto allo studio, etc… .
Per tutti i Trattati in vigore nell’Unione europea è stato consultato il seguente indirizzo:
Il testo allegato è un estratto del libro Autieri Mario Ideologie trainanti GoWare edizioni 2019, p.92-94.
MARIO AUTIERI
Dottore di ricerca in filosofia contemporanea e prof. di storia e filosofia al Liceo E. Majorana(Pozzuoli); autore di saggi su Deleuze, Foucault, Merleau-Ponty e Husserl e di una serie di contributi consultabili sulla pagina Academia.edu:
https://iisf.academia.edu/MarioAutieri