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Paolo De Martino

Attivista politico

Diego: anche il sole risorge. 

Forse non è chiaro che con la morte di Maradona è venuto a mancare un pezzo di storia del mondo, dell’Argentina e di Napoli. Le immagini di questi giorni che vengono dalla città partenopea e da Buenos Aires non hanno nulla a che vedere con il calcio, sono epica. I moralizzatori da tastiera dal proprio rifugio anticovid subito a tirare in ballo assembramenti, norme e buonsenso. 
Per spiegare Maradona dovremmo ricordare a tutti cos’era Napoli negli anni ‘80, una città al collasso. Ancora devastata dal terremoto. Disoccupazione con percentuali bulgare. La politica non riusciva a segnare il futuro, a dare speranze ad un popolo ormai demotivato. Anzi la politica cittadina era corrotta e collusa con la camorra. In quegli anni assistevamo anche a una delle guerre più sanguinose di criminalità tra Cutolo e le vecchie famiglie del centro storico di Napoli. La lotta tra le fazioni fu alquanto sanguinosa: le vittime furono 295 nel 1981, 273 nel 1982, 290 nel 1983. 
Il 27 aprile 1981 alle 21:45 nel proprio garage di casa di via Cimaglia a Torre del Greco, veniva rapito l’assessore regionale Ciro Cirillo. Il rapimento del politico napoletano diventò una questione nazionale perché a differenza di Aldo Moro, lo stato dialogò con i terroristi. 
Il 23 settembre del 1985 veniva ucciso un giornalista de "Il Mattino"  Giancarlo Siani. Napoli era fuori controllo. 
Il resto d’Italia ci vedeva come i colerosi, terremotati e camorristi. E questi erano i temi dei cori che si cantavano in tutti gli stadi contro di noi, contro i napoletani. 
Il 5 luglio del 1984 iniziava una storia nuova per la città che passava attraverso il calcio. Ci dicevano che non potevamo avere speranza, ci raccontavano che eravamo destinati a essere sempre gli ultimi. Con Maradona siamo diventati primi, internazionali, il pibe de oro ci dava coraggio e orgoglio. Quello che ci mancava per rinascere. Di lì a poco gli anni ‘90 furono la rinascita culturale e politica di Napoli. Non so se sia stato Maradona il precursore della rinascita napoletana, ma sicuramente è stato al nostro fianco al di là del suo grandioso talento calcistico. Indiscusso.  
“Ci ricevettero con uno striscione che mi aiutò a capire di colpo che la battaglia del Napoli non era solo calcistica: ‘Benvenuti in Italia’ diceva. Era il Nord contro il Sud, i razzisti contro i poveri”.
Queste parole pronunciate da Diego Armando Maradona ci fecero capire che non era solo un calciatore, ma un leader che colmava un vuoto culturale che ci attanagliava da decenni. Erano gli anni dei successi dei film di Massimo Troisi e delle canzoni di Pino Daniele. 
Questi tre personaggi ridavano a Napoli una dignità rubata. Non ci sentivamo più soli, non ci sentivamo più umiliati, non ci sentivamo più vittime. Avevamo alzato la testa. 
Era impossibile che i napoletani non rendessero omaggio a quest’uomo. Nonostante il coprifuoco. 
Diego è morto più volte. Lo hanno ammazzato più volte. Ma lui è sempre rimasto se stesso, è sempre stato dalla parte degli ultimi: "Voglio diventare l'idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires". Lo è diventato. Al rione Traiano, il quartiere dove sono nato, giocavamo a pallone in mezzo alla strada e le porte le facevamo con i sacchetti dell’immondizia, ognuno di noi si appropriava del nome di un calciatore del primo scudetto, io ero Bruscolotti, pal’e’fierr, perché ero il più scarso ma il più robusto. Ma nessuno si prendeva il nome di Maradona, era proibito. Non tutti i bambini avevano la fortuna di andare allo stadio a vederlo, ma la domenica era un rituale: ci ritrovavamo tutti nel rione dopo pranzo, quando si giocava solo la domenica pomeriggio, mettevamo la radiolina e ci sentivamo le partite. Avevamo poco, eravamo figli di quartiere, ma il calcio era la nostra finestra sul mondo. Maradona e i suoi goal erano la bellezza che ci faceva dimenticare, anche solo per qualche ora, il brutto che era attorno a noi. 
Mio padre era un ambulante, la sua bancarella si trovava a via Orazio, vendeva cravatte e cinture di pelle ai turisti che si fermavano a fotografare il pino di Posillipo. Io ero già grandicello e andavo con lui. Era il periodo di rifioritura di Napoli, migliaia di turisti venivano ogni giorno a Napoli. Noi partivamo dal rione Traiano e percorrevamo la strada dei ricchi dove c’era anche la villa di Maradona. Erano i primi anni ‘90, il declino della Mano de dios, e fuori alla sua villa c’era una scritta sul muro: “Diego anche il sole risorge”. I napoletani non lo hanno mai giudicato per i suoi eccessi, ma sempre per quello che ha fatto di buono, come aiutare i bambini palestinesi, quelli del suo barrio e quelli napoletani. Maradona è stato un personaggio oltre ogni stereotipo. È stato un punto di riferimento per tante generazioni anche per quelli che non lo hanno visto giocare. Questa è stata la sua potenza. 
Nel giorno della sua morte i tifosi rivali da sempre del Boca Juniors e del River Plate si sono abbracciati in nome di Maradona.  Il suo messaggio resta. 
Napoli, da qualche anno, vive di nuovo un vuoto. Già prima del Covid. Migliaia di giovani lasciano la città perché non offre opportunità. Non ci sono più riferimenti. Il futuro pare non essere all’orizzonte. Napoli non ha bisogno solo di uno stadio intitolato a Maradona, ha bisogno di prospettiva, coraggio e orgoglio. Facciamolo contento, non ritorniamo indietro, andiamo avanti. Diego è un personaggio epico. L’epica non ha a nulla che fare con il buon senso, con la disciplina e sovvertendo disciplina e buon senso si fanno le rivoluzioni.
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