Layout del blog

Gloria Di Miceli 

studentessa, attivista e militante.

Disumanizzare la donna. L'altra faccia dei campi di sterminio.

Alcuni anni fa visitai il campo di Auschwitz- Birkenau. Quella visita me la porto ancora dentro e la rivivo in giornate come questa. Era primavera, c’era il sole e la bella giornata pareva incorniciare quel posto tragico ancora di più. Assieme ad un turbinio di pensieri, emozioni e sensazioni, cominciai a pensare come fosse la vita delle donne in quei campi, il rapporto con il loro corpo, le mestruazioni. È un pensiero che mi accompagnò per tutta la visita, soprattutto tra i capannoni di Birkenau, e anche dopo. Come vivevano le prigioniere la loro femminilità nei campi? È un aspetto di cui i film e le ricostruzioni storiche parlano poco o niente.

Quando si parla di Olocausto non si fa immediatamente riferimento all'esperienza strettamente femminile nei campi, ma è innegabile che questa, per certi aspetti, fu molto più diversa e probabilmente più devastante.

Alcuni mesi fa mi sono ritrovata a leggere un articolo di Jo-Ann Owusu, una storica britannica che affronta proprio questo tema: le mestruazioni nei campi di sterminio. Le testimonianze che riporta la storica dimostrano come un evento del tutto naturale nella vita delle donne, lì dentro si trasformò in un momento drammatico e umiliante. Le stesse sopravvissute dai campi faticavano a parlarne una volta finito il dramma della carcerazione, altre sollevavano invece la questione.

Le mestruazioni allora venivano viste come un problema medico da risolvere, non come un evento del tutto naturale. Era una vergogna sanguinare pubblicamente, soprattutto in quel contesto in cui non esisteva l’intimità e in tutti i momenti non si era mai soli.

Per alcune perderle fu una privazione dell'identità femminile. Già all’ingresso nei campi alle prigioniere venivano rasati i capelli, tolti i vestiti e mese dopo mese, per lo stress e la fatica, le donne perdevano peso anche in quelle parti del corpo associate alla femminilità. Alcune donne, specialmente le più adulte, per lo shock persero le mestruazioni già nei primi mesi dei campi.

Alcune sopravvissute, che allora erano molto giovani, hanno raccontato che la loro prima volta pensavano di morire dissanguate o di avere qualche malattia, perché non sapevano neanche cosa stava stava succedendo ai loro corpi, visto che spesso si trovavano nei campi, a gestire la loro vita che cambiava, da sole, senza i genitori morti o chissà dove. Così alcune di loro sperimentarono forme di solidarietà tra donne all’interno dei campi, soprattutto tra le più anziane che aiutavano le ragazze più giovani a trovare panni, strisce di tessuto per tamponare le perdite.

Molte hanno temuto di diventare sterili dopo quell'esperienza, così l’idea del futuro e il desiderio di avere figli le ossessionò, ma le salvò da quell’inferno.

Anna Arent disse “i campi sono destinati non solo a sterminare le persone e degradare gli esseri umani, ma anche a servire il terribile esperimento di eliminare la spontaneità come espressione del comportamento umano”. Questo fenomeno del tutto naturale portò le donne a sperimentare un sentimento di vergogna e di colpa che le rese ancor di più vittime di quel sistema criminale. Un fatto del tutto spontaneo portò le donne a sentirsi deplorevoli.

Nei campi le mestruazioni erano difficili da nascondere e così, la natura improvvisamente pubblica di quell’evento, fece sentire le donne alienate e marchiate come fossero il livello più basso di umanità.

Trude Levi, un insegnante allora ventenne, racconta “non avevamo acqua per lavarci, né biancheria intima. Tutto era incollato a noi e per me quella era la cosa più disumanizzante”.

Interessanti testimonianze come quella di Julia Lentini, che allora aveva diciassette anni, raccontano come l’ulteriore umiliazione stava nella ricerca costante di panni puliti che una volta trovati venivano nascosti e ben custoditi, poiché tutte le prigioniere ne avevano bisogno e spesso sparivano.

Diverse testimoni riportano che la presenza delle mestruazioni salvò le donne da violenze sessuali o da esprimenti che i medici conducevano nei campi.

Elizabeth Feldman de Jong raccontò come la messinscena di avere le mestruazioni la salvò da un intervento all’utero. Lei aveva perso ormai il ciclo, ma, indossando i panni sporchi della sorella, riuscì a cavarsela.

Nei campi si invertì tutto. Ciò che era universalmente condannabile divenne normale, le cose normali divennero aberrazioni.

Dopo la liberazione, le mestruazioni ritornate furono un simbolo di libertà e di ritorno alle femminilità.

Parlare oggi di questo argomento, che per molti versi è ancora tabù nella nostra società, ci porta invece a comprendere meglio e a calare nel nostro quotidiano la sofferenza della vita degli internati e delle internate e il disegno criminale di disumanizzazione che ha segnato la tragedia che oggi ricordiamo.
Autore: La redazione 27 lug, 2023
Politiche per il cambiamento climatico significa città sostenibili. Quelle italiane sono pronte?
Autore: Andrea Maestri 08 mar, 2023
Lettera alla donne di Cutro
Autore: Irina Di Ruocco 07 mar, 2023
Tra Super-bonus e Super-opportunità
Autore: Giancarlo Marino 04 mar, 2023
La copertina è tratta da Palestina. Una nazione occupata opera di Joe Sacco fumettista e giornalista. 
Autore: Paolo De Martino 27 feb, 2023
La vera sfida inizia adesso
Autore: La redazione 25 feb, 2023
Il sostegno a una confederazione israelo-palestinese sta guadagnando terreno
Show More
Share by: