Layout del blog

Yasmin Tailak

Studentessa italo palestinese

Femminismo senza lotta di classe. Una contraddizione di genere

È nato prima l'uovo o la gallina?
O anche, è nata prima l'oppressione sessuale o l'oppressione economica?
C'è chi ha tentato di propendere per l'una o per l'altra spiegazione. La seconda domanda, in realtà, è spinosa quanto la prima, la sua risposta può essere arbitraria o dettata da una convinzione ideologica, ma la realtà è che a questo punto non ci interessa nulla di scoprire quale sia la madre di tutte le oppressioni.
Il punto è un altro: è arrivato il momento di dirci molto chiaramente che la lotta femminista senza la lotta per l'emancipazione e la dignità economica delle lavoratrici è cibo per gli allocchi, è un velo di Maya, è semplicemente un involucro vuoto e insensato.

Se per icona intendiamo un simbolo, un manifesto auto-esplicativo, non possiamo negare che Laura Boldrini sia una figura iconica nel panorama della sinistra italiana. Anche al meno attento e informato il suo nome rievoca dei significati precisi: Boldrini è quella femminista, Boldrini è quella delle battaglie terminologiche, Boldrini è quella anti-sessista, Boldrini è quella che si batte per i diritti civili.
Chiariamoci: alcuni punti che l'operato - più intellettuale che pratico - dell'ex Presidentessa della Camera dei Deputati ha fatto emergere sono sacrosanti. L'aver riportato, ad esempio, l'attenzione sulle parole che, sopratutto sul web, si spendono con odio contro le donne, o anche la tanto criticata presa di posizione sulla parità di genere linguistica sono cose di cui legittimamente, anche in questo spazio, si è parlato. Il problema che emerge dallo scandalo degli ultimi giorni, che riguarda le accuse di alcune ex-collaboratrici della deputata, è esattamente questo: quale senso, esattamente, dovrebbero avere le parole di una politica che si dichiara femminista, e che nel concreto fa sopruso contro altre donne che lavorano per lei?
La rivista Io Donna, che dichiara di rivolgersi ad un pubblico femminile, titolava così un articolo del 2017: 'Laura Boldrini, la Signora delle battaglie scomode'.
Ma quale battaglia è più scomoda di quella che guarda finalmente in faccia l'interconnessione tra sfruttamento lavorativo, umiliazione, e sessismo? Come ci si può dichiarare 'femministe', se non ci si batte per questo, se non si squarcia il velo dell'ipocrisia, se si è, insomma, bravissime a parole, ma pessime nei fatti?

Ciò che sta venendo fuori dalle rimostranze delle collaboratrici di Laura Boldrini è una storia che parla di donne malpagate, maltrattate dal punto di vista lavorativo, sfruttate per mansione che non erano richieste nell'occupazione a cui erano preposte. E' una storia imbarazzante, a cui Boldrini sta cercando, in maniera raffazzonata, una giustificazione. Lo scalpore delle accuse ha generato una contentezza inesprimibile in chi non aspettava altro per attaccare le battaglie ideologiche della deputata, ma si è persa, invece, l'occasione di riflettere in maniera approfondita su due fattori:

• lo scollamento elitario dell'ideologia di una certa sinistra che si dichiara progressista, che concentra la sua attenzione in ambizioni giuste ma, diciamoci ancora una volta la verità, da salotto. Ad una collaboratrice moldava,ad una donna che vive in un basso, ad una lavoratrice nera interesserà molto poco della desinenza finale delle parole dei mestieri, se prima non si sarà risolta la sua condizione socio-economica di instabilità, sfruttamento e imprigionamento in dettami di vita patriarcale estremamente concreti. Se poi, la prima a portare avanti una condotta non esemplare è la stessa che si fa baluardo di quelle battaglie intellettuali, il cerchio si chiude, e il punto di chiusura è sicuramente il biasimo che si merita.
• L'impossibilità di scindere la lotta per una vera parità di genere e la lotta per la liberazione dallo sfruttamento materiale, dall'opportunismo economico e dalla svalutazione del valore del lavoratore senza apparire, irrimediabilmente, falsi e ridicoli.
Nel 2016 uno scandalo molto simile travolse un'altra icona, in un ambito totalmente diverso. Sul tabloid inglese The Sun emerse che Beyoncé, altro simbolo del femminismo di facciata, patinato e alla moda, aveva realizzato una sua collezione d'abbigliamento sfruttando il lavoro di alcune sarte sri lankesi, pagandole pochissimo per pezzi venduti a caro prezzo, e costringendole a turni assurdi. L'artista ha ovviamente rifiutato le accuse, che sono però rimaste lì, a fare capolino tra un motto glitterato e un altro. Lo sfruttamento materiale, Beyoncé, è più importante di chi 'run the world'.
E del resto un femminismo così vuoto come quello che si nutre solo di parole come empowerment, empowering, girl power, ancora non si era visto, e possiamo ritenerlo un altro grande successo del capitalismo: creare donne, sì certo, donne ricchissime che traggono profitto economico dalla stima che suscitano in altre donne, celebrando slogan e parole in cui non credono davvero fino in fondo, e sfruttando contemporaneamente il lavoro malpagato di altre donne. Geniale, un applauso.

Per chiudere questa riflessione, ci dobbiamo affidare un secondo alle parole di Aleksandra Kollontaj, rivoluzionaria russa marxista, la prima donna al mondo a ricoprire la carica di ministro del governo. Una donna che nacque nel lusso dell'alta borghesia, che si formò con un'istitutrice privata perchè la scuola pubblica era troppo plebea, ma che marciò con gli operai e le operaie russe, partecipando alla presa del Palazzo d'Inverno, e che ripensò per tutta la vita la questione dell'incompatibilità tra femminismo borghese e reale liberazione femminile.
Aleksandra Kollontaj scrisse nel suo diario che la vita comoda, la vita da ricca, le piaceva molto, ma che non poteva non sentire un dolore acuto nel cuore, al pensiero che altri potessero soffrire la fame. Aleksandra Kollontaj disse che lo scopo delle femministe borghesi, che non scendevano mai al livello del vero disagio, era quello di ottenere i vantaggi, i diritti e il potere che possedevano i loro padri, fratelli, mariti, mentre per le lavoratrici era assolutamente indifferente avere un padrone maschio o un padrone femmina. Sempre un padrone era. Sempre un padrone è.
Ma soprattutto Aleksandra Kollonaj si chiese, ci chiede, con parole che rimbombano tra le pareti vuote del femminismo pop-borghese

«Per quale motivo ... la lavoratrice dovrebbe cercare un'unione con le femministe borghesi? Chi, in realtà, avrebbe da guadagnare in caso di una simile alleanza? Certamente non la lavoratrice.»
Autore: La redazione 27 lug, 2023
Politiche per il cambiamento climatico significa città sostenibili. Quelle italiane sono pronte?
Autore: Andrea Maestri 08 mar, 2023
Lettera alla donne di Cutro
Autore: Irina Di Ruocco 07 mar, 2023
Tra Super-bonus e Super-opportunità
Autore: Giancarlo Marino 04 mar, 2023
La copertina è tratta da Palestina. Una nazione occupata opera di Joe Sacco fumettista e giornalista. 
Autore: Paolo De Martino 27 feb, 2023
La vera sfida inizia adesso
Autore: La redazione 25 feb, 2023
Il sostegno a una confederazione israelo-palestinese sta guadagnando terreno
Show More
Share by: