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Anna Maria Montesano

Laureata in lettere classiche, scrittirce. 

Racconti Resistenti

Gandhi si è fermato a Napoli.

Il fracasso di pugni sulle porte e le spaventose urla delle camicie nere rompono il silenzio del condominio.
Gli inquilini si svegliano di soprassalto al terremoto improvviso, i bambini piangono dallo spavento. Ma si deve aprire: le intimazioni non lasciano dubbi. 
E quelli entrano, con furia, spostando con forza e cattiveria chiunque gli si pari davanti, frugano nei mobili gettando sul pavimento vestiti, piatti, soprammobili; aprono le porte di tutte le stanze, guardano sotto i letti, rivoltano coperte e materassi chiedendo: «Dove sta? Dove l’avete nascosto?» mentre le famiglie in camicie da notte, ancora stordite, guardano allibite tutto quello sconquasso domandandosi quali siano la ragione e lo scopo. 
Il più meticoloso dei miliziani rovescia perfino la pattumiera di Bernardo dove ritrova, tra foglie di insalata e scorze di mandarino, il famoso foglietto anonimo; lo guarda per un po’ non capendoci niente, poi grida ai commilitoni di aver trovato un documento sospetto che deve essere consegnato nelle mani del centurione per essere decifrato dai servizi segreti.
Angelica ha appena il tempo di infilarsi pudicamente una vecchia vestaglia prima che le venga in mente il pericolo più grande: la presenza dei gitani in casa di Alberto che, prima di partire, le ha affidato le chiavi. 
Mentre frugano in casa sua, dalla porta aperta guarda quella dell’appartamento di fronte e l’uomo che sta cercando di sfondarla perché, dall’interno, nessuno risponde.
«È inutile: l’appartamento è vuoto» sussurra con un filo di voce «L’inquilino è partito».
«E chi sarebbe questo inquilino?» domanda minacciosamente la camicia nera.
«Un povero studente di Lettere che non ha mai fatto nulla di male» risponde la ragazza che ha trovato qualche parola in più per l’affetto speciale che ha per Alberto; quelle parole le ha pronunciate ad alta voce, con la speranza di far giungere agli occupanti della casa di fronte l’avviso del pericolo.
«E come si chiama questo bravo studente?» chiede ironicamente il milite, accarezzandole il mento. 
«Alberto» risponde Angelica con la morte nel cuore.
«Cognome?»
«Non lo ricordo».
«Indirizzo?»
«Non so».
L’uomo la guarda con sospetto ma poi, annotato solo il nome dell’assente, comunica ai commilitoni, che ancora si ostinano a dare dei pugni alla porta dello studente, di lasciar perdere e comincia a fare il cascamorto, prendendosi anche delle libertà che la ragazza non ha mai permesso a nessuno.
Per fortuna, o sfortuna, il fastidioso approccio viene interrotto dal centurione che scende per le scale, ordinando ai sottoposti di portare tutti i condomini in caserma dove saranno interrogati. 
«E i bambini?» chiede uno di loro.
«Chiudeteli tutti insieme in un appartamento. Ora è tardi, domani mattina li porteremo dal prete».
Sono inutili le proteste e i pianti delle madri che, mentre vengono sospinte per le scale, affidano i più piccoli ad Antonio e Nunzia che sta tutta storta perché è stata inclusa nel gruppo dei bambini.

In quella notte di prodigi, uomini e donne, con cappotto e camicie da notte o mutandoni di lana, sfilano, fra pianti e domande senza risposta fino alla caserma dei carabinieri, la mente rivolta ai figli e al buon Bapu: in quel pasticcio, per qualche ragione, deve entrarci anche lui. 
Una volta giunti, seduti su due panche una di fronte all’altra, attendono con ansia il loro turno di essere introdotti alla presenza del centurione. Gli interrogatori durano tutta la notte: al Delli Colli la maggior parte degli inquilini appare sincera nel dichiarare che della scomparsa di Gandhi non sa niente, benché il foglietto trovato nella spazzatura lo preoccupi non poco. Non altrettanto chiara gli appare la posizione di Gustavo: non è possibile che, dormendo nella stessa casa del santone, non si sia accorto di niente!
In una pausa dell’estenuante seduta, poi, fra una sigaretta e un caffè, il graduato ha chiesto ai sottoposti se siano stati accuratamente perquisiti tutti gli appartamenti e, quando viene a sapere che proprio quello di Alberto è stato trascurato a causa delle dichiarazioni di Angelica, va su tutte le furie. 
«Proprio quello di Alberto Gizzi, l’autore del libretto sovversivo? E chi vi dice che Gizzi, lo studente, non fosse nascosto all’interno? E tu Sperandeo, specialmente tu, la pagherai cara!»
Così decide di trattenere, insieme a Gustavo, anche la ragazza, in modo da torchiarla a fondo e magari metterla agli arresti per reticenza e intralcio alle indagini. 

Intanto, appena i militi hanno lasciato il condominio, Estella e i suoi familiari, che, per tutto il tempo della perquisizione, sono rimasti con il fiato sospeso, si guardano e si domandano cosa fare.
Decidono quindi di mettersi in moto: sentono le caprette belare disperatamente sul balcone dell’appartamento al piano di sotto e, dopo aver raccolto tutta la verdura che trovano in casa, la lanciano ai poveri animali abbandonati. Poi aprono, guardandosi prudentemente intorno, scendono velocemente e, finalmente, escono in strada.
Presi i bambini in braccio, protetti dalle tenebre, raggiungono l’accampamento in una zona degradata del Moiariello. 
Al loro arrivo, tutta la kumpania si sveglia, lasciando i giacigli per accogliere i compagni e riceverne notizie: il racconto di Estella e del marito Jani impressiona così tanto gli zingari che si rivolgono all’anziano, il krisnitori, per riceverne l’illuminato parere. 
Questi, dopo aver riflettuto a lungo, ritiene che, nonostante l’atavica diffidenza esistente fra loro e la società dei gagè, l’aiuto che Gandhi e alcuni condomini hanno offerto alla famiglia di Estella e Jani deve essere ripagato e che, quindi, debba essere diffusa la notizia di quanto è accaduto durante la notte, dando anche una mano a ricercare il grande uomo scomparso misteriosamente. 

È ancora notte quando Estella e Jani si recano in via Santa Teresa per liberare i bambini e portarli nella chiesa di Santa Maria della Stella dove riferiscono gli avvenimenti a un insonnolito don Franco che guarda con commozione i piccoli. Fra questi riconosce i più grandicelli, Nunzia, Gigino e Mario che, a suo tempo, avevano frequentato il corso di catechismo presso la sua parrocchia.
I ragazzi non sanno spiegargli che cosa è accaduto, continuano a ripetere che degli uomini neri li hanno svegliati e chiusi in casa; della sorte dei genitori non sanno niente e, per questo, piangono e si disperano.
Il buon prete cerca di consolarli e, con l’aiuto di Giacinto il sagrestano che, svegliato di botto, si presenta scapigliato e con il cappotto sulla stazzonata tenuta da notte, e della grassa perpetua con i bigodini e in un’insospettabile vestaglia rosa shocking con bavero di voile in tinta, li fa sedere intorno a un lungo tavolo, davanti a delle tazze di caffellatte accompagnate da grosse fette di dolce che un po’ li consolano. 
Il racconto di Estella riempie molte delle lacune che hanno lasciato i bambini e, dopo aver ringraziato la donna donandole una guantiera di mostaccioli e rococò, regalo di una parrocchiana, il prete riflette sul perché e su quanto occorra fare; ma le sue riflessioni durano poco perché, il mattino seguente, avvisati dalla zingara che ha spiato il loro rilascio, i condomini irrompono nella canonica fra lacrime e abbracci. Mancano all’appello solo Angelica e Gustavo. 
«Don Franco mio» racconta Carmela facendosi il segno della croce, dopo che i bambini si sono uniti alla baldoria generale «voi non potete sapere che nottata abbiamo passato: presi come animali, mandati avanti a furia di spintoni, separati dai nostri figli che, quando li abbiamo lasciati, piangevano tanto disperati che ci sentivamo stringere il cuore, interrogati da un fetentone che a Luigi ha pure dato uno schiaffo…»
«Pure a me» interrompe Tonino «Io gliele ho ripetute le parole del Mahatma contro la violenza ma lui si è messo a ridere».
«…e a me ha toccato le zi…» interviene Assunta.
«Assu’!» la zittisce Carmela scandalizzata.
«Uh scusate, don Fra’, ma tengo una nervatura! Il petto volevo dire. Quel porco! Che lo tenevo fra le… in petto il Bapu?» continua Assunta. «Tenuti fino a stamattina in uno stanzino come galline nel pollaio. E sempre le stesse domande: “Dove sta il vecchio? Parla! Dove l’hai nascosto?”. Gli avrei dato una di quelle risposte vajasse: me lo sono nascosto in mezzo…»
«Assunta!» la riprende il prete.
«E scusate, ma quando ci vuole ci vuole! E poi finalmente ci hanno cacciati e ci ridevano dietro quei mascalzoni! Ma Gustavo e la povera Angelica là sono rimasti».
«È inammissibile trattare così la gente innocente: ne darò notizia dal pulpito durante la messa e dei due poveretti mi occuperò nel pomeriggio: ne parlerò al vescovo e voglio vedere se quei senza Dio avranno il coraggio di maltrattare pure lui» dice don Franco mentre tutti escono raggiungendo finalmente la propria casa. 

Estratto da: "Gandhi si è fermato a Napoli”, Homo Scrivens, 2018

Anna Maria Montesano
laureata in lettere classiche, da anni fa parte della Bottega, il laboratorio di scrittura della casa editrice Homo scrivens. "Castigare ridendo mores" è il principio a cui sono ispirati la sua carriera di docente e i suoi ironici lavori letterari.

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