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Erika Picariello

segretaria generale  FLC CGIL di Avellino.

Quale scuola avremo il 7 gennaio. 

Nell’attuale condizione di incertezza dovuta alla variazione delle condizioni epidemiologiche, all’incertezza circa la disponibilità del vaccino in Italia e alla sua efficacia, siamo accompagnati da una ‘rassicurante certezza’: non ci sarà un giorno in cui nel dibattito pubblico non si parlerà della riapertura delle scuole il sette di gennaio. Eppure, ad oggi, cosa accadrà realmente il 7 gennaio lo sanno solo BranKo e Paolo Fox. 

Riavvolgiamo il nastro. Dopo l’ubriacatura di DAD del lockdown nazionale (e qui ci sarebbe da aprire un capitolo a sé) con tutta la insopportabile retorica a corredo, a fine giugno anche la Ministra Azzolina comincia a realizzare che bisognerà riaprire le scuole prima o poi. È tutto un countdown tra banchi a rotelle e banchi monoposto (che arriveranno solo in alcune scuole del nostro paese a fine ottobre) e misurazioni di metri buccali per garantire il rientro in sicurezza. Salvo l'apparentemente insignificante particolare che la Ministra si rifiuta categoricamente di stabilizzare i docenti precari con un concorso per soli titoli (sai che stranezza avere i docenti già in classe il primo giorno di scuola?), rinnova le graduatorie per le supplenze attraverso la procedura più lacunosa ed esposta al contenzioso della storia della scuola italiana e, di fatto, il primo settembre tutto è pronto perché vada in scena il disastro all’italiana: i dirigenti durante l’estate hanno misurato tutto il misurabile, rinnovato i piani di sicurezza, inviato monitoraggi in quantità industriali, adeguato piani di didattica in presenza, a distanza, di didattica mista integrata per essere pronti ad ogni evenienza, e sono ai blocchi di partenza ancora saturi di incertezze: la quantificazione delle somme che potranno investire per il cosiddetto Organico Covid arriveranno pochi giorni prima dell’apertura. 

Dunque mancano due tasselli fondamentali: i banchi ed i docenti a tempo determinato. 

La vicenda a quel punto diventa interessante perché svela che, oltre il lavoro pedissequo ed osservante delle singole scuole, tutti gli altri sistemi e sottosistemi limitrofi non rispondono al principio di non contraddizione, dai trasporti alla sanità. 

L’indice di capienza dei trasporti viene innalzato all’80%. Il sistema di screening ha una falla alle origini: non è né obbligatorio per tutti coloro che lavorano o sono studenti, né ripetuto periodicamente. È così che dal 14 settembre in poi assistiamo alle date di apertura variabili in conseguenza di una assenza di pianificazione e coordinamento ai differenti livelli interessati e tenendo conto delle debite differenze nord/sud, aree metropolitane ed aree interne. 

Dopo tre settimane di prosopopea e retorica dalla riapertura abbiamo dovuto fare i conti con la cruda realtà: sull’onda lunga delle sottovalutazioni estive che hanno incrociato scelte politiche ancora di rigore economico (non c’è stato investimento sui trasporti, né sulla sanità, in misura minore qualcosa è arrivata alle scuole) senza misure strutturali di intervento sui sistemi che necessitavano di esse già in fase ordinaria, i contagi sono risaliti. Le scuole, luoghi sicuri per l’applicazione rigida dei protocolli, sono state tirate dentro l’onda dei contagi perché i sistemi intorno sono collassati, vuoi per le condizioni di sovraffollamento dei trasporti, per la mancanza di programmazione degli screening e quindi per la loro conseguente inefficacia in termini di tracciamento, vuoi per la lentezza del contact-tracing in caso di positività, vuoi per i comportamenti individuali.

Dunque il capitolo ‘seconda ondata’ si presenta con tutti i suoi prevedibili crismi e si arricchisce, però, di un ulteriore elemento: i posizionamenti politicisti di governatori, sindaci e governo nazionale mancano di orientamento comune; non solo l’autonomia differenziata ma l’intera riforma del titolo V è inattuale per le condizioni in cui versa la classe politica italiana. La dialettica tra primazia del diritto all’istruzione e diritto alla salute è declassata alla stregua di un derby generando un disorientamento enorme nel mondo della scuola e delle famiglie: il caso Puglia e il caso Campania ne sono un esempio. 

In Campania il 16 ottobre viene emanata un’ordinanza di chiusura generalizzata delle scuole in conseguenza di una risalita dei contagi. Chiusura intempestiva che ha generato non pochi malumori tanto che, qualche ora dopo la sua emanazione, viene aggiornata e modificata: il segmento 0-6 può tranquillamente operare in presenza a testimonianza di una idea consolidata nell’immaginario collettivo: la scuola dell’infanzia svolge funzioni di puro badantato.

Il Governatore assume l’impegno del monitoraggio costante dei dati epidemiologici allo scopo di riaprire in seguito alle opportune valutazioni il segmento della scuola primaria e affida alle ASL il ruolo decisionale in merito. Le scelte del Governatore incrociano la zonizzazione in area gialla, arancione e rossa ma sono caratterizzate dall’essere dissonanti: la Campania è in zona gialla quando ha collocato gli istituti di ogni ordine e grado in sospensione delle attività didattiche ed è in zona rossa (e poi arancione) quando, a seguito di uno screening-farsa (sui cui profili organizzativi e di coinvolgimento delle ASL sarebbe opportuno un serio approfondimento) privo di qualsivoglia attendibilità statistica, apre gli istituti degli ordini dell’infanzia e delle prime due classi della scuola primaria. A questo punto si raggiunge il momento topico della esplosione delle contraddizioni: i sindaci dei comuni, quasi nella maggioranza dei casi, delle province di Avellino, Caserta e Salerno confermano la sospensione. I sindaci di Napoli e Benevento (in un primo momento) riaprono gli istituti negli ordini di scuola dell’infanzia e della prima e seconda classe della scuola primaria. 

Questo stato di permanente incertezza sulla apertura/chiusura ha generato molto disorientamento nelle scuole e tra i genitori tanto da spostare il punto focale della discussione sul derby ‘paladini della scuola’ contro ‘paladini della salute’. A guardarla razionalmente l’istruzione in presenza è insostituibile ma non può essere scissa la sua erogazione dalla garanzia di salute e sicurezza. Il problema è però che, seppellite da un profluvio di ordinanze e DPCM, le questioni cruciali da affrontare sono ancora tutte lì intatte: le funzioni di coordinamento che il penultimo DPCM ha attribuito ai Prefetti, esautorando la politica e le forze sociali, allo scopo di adeguare i comportamenti e le scelte agli orientamenti governativi non sono sufficienti a garantire il binomio imprescindibile del rientro in sicurezza. Né tantomeno dalla finanziaria in discussione emergono segnali incoraggianti. 

Il 7 gennaio è già un giorno simbolico del primo bilancio del 2021; capiremo quanto saremo stati responsabili rispetto ai nostri comportamenti individuali; quali saranno le condizioni epidemiologiche in relazione anche all’ondata di influenza stagionale; quali atti saranno stati compiuti , quindi quali risorse individuate, per garantire corretto distanziamento sui mezzi pubblici ad uso degli studenti; quali risorse stanziate per garantire alle ASL di costituire presidi medici permanenti almeno per distretti scolastici allo scopo di poter effettuare in loco screening periodici e tracciamento tempestivo delle positività. Questi ultimi due aspetti, uniti ad un serio e ponderato cronoprogramma di rientro, da valutare in rapporto all’andamento epidemiologico seriamente rilevato e pubblicamente documentato, appaiono cruciali per poter pensare seriamente alla riapertura generalizzata , alla tenuta delle nostre comunità e non al solito spot.

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