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Pee Gee Daniel

Racconti Resistenti

Il pane

Un tempo si diceva che prima di buttare il pane lo si dovesse baciare. 
Si diceva pure che chi spreca il pane va all’inferno, condannato a raccogliere pezzi di pane dentro un cesto senza fondo per l’eternità. 
Il pane è vita. È il nutrimento basilare. È la prima sopravvivenza. È il minimo, che a tutti si ha da concedere. Anche al galeotto, accompagnato all’acqua. Manco all’infame si nega. 
Buscarsi il pane vuol dire trovare di che sostentare sé e i propri cari. Se il bambino gioca con la pagnotta che ha davanti, si guadagna uno scapaccione. Dissipare il pane vuol dire schifare la miseria, insultare chi quel pane non ha, meritarsi giorni senza un tozzo di pane da mordere.
Rifiutarlo a chi ha fame, chiunque sia, è peccato mortale. Questi il pane lo straziano, lo calpestano, ci sputano sopra, lo mischiano al lerciume di strada purché nessuno lo possa più assaggiare, manco il più disperato. Ci ballano sopra, lo immerdano per renderlo immangiabile. Per negarlo a quegli esseri miserevoli che hanno portato sin lì, nel loro crostoso sobborgo, coi pulmini blindati. 
Glieli appioppano, come tante mignatte pronte a succhiargli quel poco sangue che è rimasto. Li portano nel quartiere quegli zingari schifosi, ladri fottuti, pezzi di merda. Ah, ma loro mica ci stanno. Non è che gli arriva un regalo così dal cielo e si inchinano a dire grazie. 
Ora glielo fanno capire che significa avere a che fare con gente della loro specie, gente che la spezzi ma non la pieghi. Quegli zingaracci merdosi non li vogliono, punto. 
Il quartiere dormitorio in cui vivono deve rimanere sano. Senza un negozio, senza servizi pubblici, senza assistenza e ora pure quei pulciosi ladruncoli impestati, loro e le loro mogli sformate, e quei loro figli già ladri e sporchi come gli adulti. Portano malattie quelli, come i piccioni, come i sorci di fogna. Andrebbero schiacciati, come i topi quando tentano di venir su dai tombini. Bisognerebbe fracassargliele quelle teste di cazzo.

Ladri nati che sono! Esseri inutili. Bestie indolenti e furbe, che mandano i mocciosi a chiedere l’elemosina, che rubano i bambini, che le donne col figlio in braccio, per impietosire i passanti, lo pungono con uno spillone nascosto sotto le fasce. E poi i razzisti siamo noi? 
Che appena vengono a vivere qui subito ti trovi la casa svaligiata. 
Vivono baraccati nei loro campi, dormono dentro canadesi bucate raccattate chissà dove, col culo in terra, mangiano frutta marcia, si lavano alla fontanella. Sì, ma tengono i soldi nascosti nelle roulotte. Hanno un parco macchine tutto di Mercedes e poi ce li mandano qua, in una struttura del comune, ad abitarci come fossero cristiani beneducati, che mia moglie si leva alle quattro del mattino per andare a lavorare in ufficio, che la zona qua non è servita dai mezzi pubblici. 
Sono un centinaio di teste. Sono quasi tutti donne e pischelli. Qualche donna è pure incinta, perché si sa come fanno questi, si ingroppano come animali, fanno le nidiate, altro che calo demografico, tra un po’ ci riempiono la città, come nelle invasioni dei ratti. 
Prima le donne e i bambini, si diceva una volta. Ora sficchia più a nessuno. Prima gli italiani! Non importa chi è il più debole, chi va protetto per primo. Qua quel che conta è che sono diversi da loro, punto. Non sono bambini, quelli. Sono cuccioli, lattonzoli, piccoli già col cimurro addosso, che appena cresciuti saranno dei cazzo di delinquenti e parassiti, punto. 
Anche se poi, magari, quelli che stanno trasportando lì dentro, italiani lo sono a tutti gli effetti, carta canta, magari ancora da prima delle famiglie loro, da quando cioè i primi nomadi loro antenati si stabilirono da quelle parti, provenienti da lontano. Magari parlano nel dialetto di quei posti. Sono legati alle tradizioni di quei luoghi peggio di loro. Ma questo non importa. Sono sporchi. Sono brutti. Sono ladri. Anche se non hanno ancora rubato niente, anche se per la maggior parte sono bambini che si guardano poco in giro, a testa bassa, con gli occhi lucidi e gonfi, pieni di paura per il baccano intorno, per quella gente che ostruisce il passaggio del pulmino, che con la bava alla bocca grida contro loro e le loro madri: «Schifosi! Bestie! Scimmie! Via di qua! Dovete morire!». 
Glielo gridano madri di famiglia, col sangue agli occhi. Lo gridano in faccia a coetanei dei loro figli, che le guardano attraverso i finestrini, vinti dalla paura. 
«Ladri fetenti!» urla uno in prima fila, col megafono alla bocca, che capeggia la rivolta, che da lì a un paio di giorni verrà arrestato per un vecchio capo di imputazione: rapina a mano armata in un alimentari della zona. 
«Ti stupriamo!» ha urlato con la voce arrochita dalla rabbia un ragazzo dalla testa rasata a pelle, rivolto a una donna con la maschera della paura nera in volto, mentre entrava, scortata dagli agenti, con la figlia di quattro anni in braccio, che fissava quel ragazzo con grandi occhi lucidi, ammutolita, confusa, terrorizzata. 
È nel tardo pomeriggio che arrivano i pacchi viveri. Roba misera. Poco più di una merendina al sacco. Qualche panino con cotto e sottilette da discount, preparato in fretta da un addetto del comune per non fare morire di stenti quella enorme rottura di coglioni che chiamano rom. 
Li porta un messo comunale, o qualcosa del genere. La gente con la bava alla bocca e gli occhi iniettati di sangue lo intercetta, gli strappa di mano la borsa termica, spacca la cerniera, la svuota di tutti quei poveri panini che sbatte in terra. Li calpestano. Ci saltano sopra. Ci passano sopra con la macchina. «Schiattate di fame, bastardi!» urlano le madri di famiglia, i tipi tozzi impalati nel saluto romano. Tutti rivolti a quel brutto edificio scolastico in disuso in cui sono stati rinchiusi donne e bambini, che ancora guardano fuori con sguardo smarrito, anche se è tutta la vita, per corta che sia stata, che ci fanno il callo a essere trattati così. A scuola, già i compagni li chiamano “sporchi zingari” e li allontanano dai loro giochi. 
Il giorno dopo no, non lo sprecheranno il pane casereccio che qualcuno porterà, arrivando sin lì dai paesi vicini, impietosito dalle immagini del telegiornale. Glielo strapperanno di mano. Se lo sbraneranno i residenti del quartiere, alla facciaccia loro, spintonando quella manica di stronzi che è arrivata nel loro quartiere-dormitorio per dare da mangiare a quegli straccioni, come si fa con le bestie in gabbia, allo zoo. 
E non ce n’è, pane, per i ladri. Né offerto, né guadagnato. Chi può volere un vicino ladro? Chi può pensare di dare un lavoro onesto a uno che si sa già che è ladro, per natura? 
I ladri come loro, se vogliono pane, saranno sempre obbligati a rubarlo. 

Pee Gee Daniel è nato a Torino e vive in Alessandria. Ha due figli. È laureato in filosofia. È stato poliziotto, impiegato, camionista, bibliotecario, direttore di sale-scommesse. Ha pubblicato i romanzi Gigi il bastardo (& le sue 5 morti), Montag, Il politico, Golena, Lo scommettitore, Leucotea Project, Ingrid e Riccione, Ed. La Gru, Sulle tracce della Ci**gna Voltaica, Twins Ed. (Menzione d’onore da parte della giuria del Premio Carlo Emilio Gadda), Il lungo sentiero dai mattoni dorati, e-piGraphe, 2013! (autopubblicato), Freakshow, Kipple (vincitore del premio Kipple 2016), Un'infilata di onesti accidenti, Scepsi & Mattana (tra i 15 finalisti al Premio Zeno 2018), Il suocero e il genero, Leucotea Project (tra i 5 finalisti al Premio Zeno 2017), Il messia di Orogrande, Santi Ed., Ego e libido, Ed. Leucotea (tra i 15 finalisti al Premio Zeno 2010), Yellow Kid, pistolero, Santi Ed., le raccolte di racconti Horrorabilia, Homo Scrivens e I confini del male, Pop Edizioni, Il cazzone & il coglionazzo, Le Mezzelane, il libro interattivo Phenomenorama, Inbooki, il saggio filosofico Il riso e il comico, Montag, il saggio dal titolo Breve compendio sopra gli umani caratteri, pubblicato dalla casa ed. Catartica, Il manuale dei baffi per Battaglia Edizioni e il pamphlet politico Pop-Politics. Batracomiomachia cinobalanica, Kipple, scritto a quattro mani con Lukha B. Kremo.  
A dicembre 2018 l’editrice Dots ha pubblicato un dizionario socio-politico dal titolo Le parole sono importanti, per il quale ha curato la voce “Hotel”. 
A ottobre 2019, il suo racconto Gli ultimi esploratori è stato inserito nella raccolta weird “La prima frontiera”, edita da Kipple.
A giugno 2020, il suo racconto Fabiola è stato inserito nel numero antologico di NeXT-Stream “Lo zar non è morto”, edito dalle edizioni Kipple.
Sue poesie e racconti sono stati pubblicati in diverse antologie.
Il suo saggio Sometimes I think there's not beyond. Ovvero: le influenze del Dizionario Storico-critico di Pierre Bayle sul Moby Dick di Melville è apparso sul n. XV del 2013 della rivista Etica e politica, afferente alla Facoltà di Filosofia dell'Università di Trieste.
È librettista del musical Cogli l'attimo, con le musiche di Fabio Zuffanti. 
È autore del libretto che accompagna l'album degli Höstsonaten “Cupid & Psyche”, uscito nell'aprile del 2016 su etichetta AMS Records.
Insieme all'attore Omid Maleknia è autore di Spettacolo d'evasione, che vede alcuni detenuti del carcere Don Soria di Alessandria nella veste di cabarettisti.
Ha scritto o scrive per I caffè culturali, Maintenant, Bizzarro Bazar, Rivista! Una Specie, Reader for blind, Kippleblog, Tibereide, Signoradeifiltri, Endoxa (Ed. Mimesis), Crapulaclub e '900 Letterario, di cui è anche vignettista.  


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