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Daniela Scodellaro

Attivista ambientalista e pubblicista

Il tempo-covid, un senza-tempo.

Stiamo tornando alla “normalità”. Dopo aver trascorso due mesi agli “arresti domiciliari”, gli italiani tornano alla vita di tutti i giorni, senza quasi più nessuna restrizione! L’ora X era già scattata il 4 maggio: un via vai di gente ha cominciato a muoversi in modo compulsivo, non se ne poteva più di stare in casa! E’ stato forte il bisogno di riappropriarsi del quotidiano. In fondo, quello che più ci è mancato sono state le cose ordinarie: uscire per fare la spesa, andare a lavoro, andare a trovare un parente o un amico, fare una passeggiata, ecc. E di conseguenza: abbracciare, baciare, stringere, toccare. Cose importanti, vitali, ma che prima del virus davamo per scontate. 
La pandemia ha fermato il nostro tempo al mese di marzo, ad un “tempo-covid”, un senza tempo; ha limitato il nostro spazio a quello perimetrale delle nostre case e dei nostri balconi; ci ha privati dei contatti umani, ci ha messo davanti alle nostre paure, ai nostri limiti; ci ha lasciato spesso soli, in compagnia di noi stessi. 
Chi non ha avuto paura del contagio? Chi non ha mai pensato, almeno una volta, alla morte? Durante i primi giorni del lockdown, la gente esorcizzava la paura con canti e balli sui balconi. Era l’unico modo per non sentirsi soli, era l’unico modo per augurarsi e comunicare all’esterno che sarebbe andato tutto bene. Ma, poi, davanti a quelle immagini dei carri militari che trasportavano centinaia di bare, è sceso il silenzio. Quello strano silenzio, sospeso e cadenzato solo dalle sirene delle ambulanze.
In questi giorni, mentre ero in auto bloccata nel traffico, ripensavo ai giorni della quarantena. Mi venivano in mente le strade deserte, gli incontri di sguardi dietro mascherine, le file chilometriche fuori ai supermercati, il silenzio intorno. La gente non andava di fretta. Tutti, in file ordinate e composte, aspettavano il proprio turno fuori al supermercato. Appena dentro, si andava alla ricerca dei prodotti che più mancavano: la farina, il lievito, l’alcol, l’amuchina, i guanti monouso. Quanta importanza abbiamo dato a quei prodotti che, fino a qualche giorno prima, sovrabbondavano sugli scaffali. Attenti a non urtarsi nelle corsie, ci siamo scambiati qualche sorriso e timidi saluti dietro guanti e mascherine. Spesso, capitava di incontrare gli stessi volti più volte al giorno! Fare la spesa, era uno dei motivi validi per uscire! 
Abbiamo vissuto un tempo del reale, ma che sembrava non ci appartenesse. Siamo stati protagonisti di un film! Nulla pareva fosse vero! Accettare e rispettare tante restrizioni e divieti, non è stato facile. L’impossibilità di non poter vedere i propri cari, non poter spostarsi oltre i confini del proprio comune, è stato terribile. 
Ma oggi, riprendere la vita di tutti i giorni, ha un sapore diverso. Questa “prigionia” ha sacralizzato la nostra libertà, ci ha ricordato di quanto sia importante essere liberi! 
In questa libertà ritrovata, la pandemia ci ha fatto anche riflettere sul concetto di “normalità”. Ma, in fondo, come concepiamo la normalità? 
Il covid-19 prima o poi scomparirà, ma altri “virus” rimarranno: quello della disoccupazione, quello economico, quello del malaffare, quello sociale, quello ambientale, ecc. Durante questi giorni in piena emergenza sanitaria, mi sono spesso chiesta, come mai nel nostro Paese, non sia stato considerato alla stessa strega il “virus della disoccupazione”, ad esempio. Già, di coronavirus si muore, ma senza lavoro si vive? E ancora, di coronavirus si muore, ma in un ambiente inquinato e malato si vive? Di coronavirus si muore, ma in un Paese dove regnano forti l’illecito e il malaffare, si vive? 
Il 18 maggio percorrevo la ss 162 dir, la superstrada che attraversa i comuni a nord di Napoli e a sud di Caserta. La strada della Terra dei Fuochi, quella che attraverso da anni per andare a lavoro. Dalla superstrada è ben visibile questo “ritorno alla normalità”: lunghe code di auto fuori ai centri commerciali, pompe di benzina e insegne pubblicitarie in ogni dove, ruspe e gru ovunque, montagne sventrate per le inarrestabili attività estrattive, corsi di acqua contaminati e velenosi, piazzole di sosta e strade ricolme di rifiuti, aria malsana e nociva . Appena dopo qualche giorno dalla fine del lockdown, in questa terra, hanno preso fuoco discariche e fabbriche. I fiumi, i regi lagni e alcuni litorali campani che erano tornati ad essere limpidi e puliti, oggi sono di nuovo neri e inquinati. Insomma, finito il lockdown si è riaccesa la Terra dei fuochi! Devo ammettere che, quel silenzio della quarantena e l’aria pulita di quei giorni, hanno cominciato a mancarmi! 
Il silenzio del tutto fermo, il calo del traffico e di molte attività, hanno permesso a molte specie di animali di girare indisturbati per le nostre strade, ma soprattutto hanno ridotto le concentrazioni di agenti inquinanti nell’aria.
Per molti, in questo paese, tornare alla “normalità” significa lottare tutti i giorni. Chi per il lavoro, chi perché lotta contro la corruzione, chi perché vive, anzi sopravvive in una terra inquinata e malata. 
Questo “tempo-covid” ci ha ci ha tolto tanto, ma ci ha lasciato anche tanto. Oggi siamo più poveri di ieri, ma oggi siamo anche più consapevoli di ieri. 
Non dimentichiamo, ma soprattutto Resistiamo.


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