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Mario Visone

Docente 

Attivista Politico

In attesa dei barbari

Ci siamo lasciati così senza un saluto e senza un preavviso ritorniamo.
Sì, probabilmente, siamo maleducati ma non è d’educazione formale che si vive. Si vive di gioia, di solidarietà, di impazienza, di riconoscibilità, di tenacia, amore e lotta. Si vive di attesa e di scelte. 
La mia è stata una di quelle. Trovarmi qui e ora lontano, lontano da dove scrivevo prima, da dove dormivo prima rende tutto diverso. 
Occhi nuovi. Gambe nuove. 
Cuore vecchio e logica impermanente. 
Una sorta di dismissione, come direbbe Ermanno Rea, dell’usuale in cui ciò che viene e ciò che va è una continua sorpresa. Che grande bellezza che può nascondersi in una sorpresa! 
O in un rogo.
In questi mesi di assenza il mondo ha mondeggiato, è stato lì ad andare avanti nella linea tracciata dallo sviluppo solito permeabile solo alle rinnovate dinamiche del mercato. Il mercato-mondo ha, infatti, continuato sulla disperazione e sulla morte. La pandemia ha accelerato le concentrazioni di ricchezza e le masse hanno visto appiattire al ribasso le aspettative, le speranze. 
Nulla di nuovo. Tutto già visto per sete e sudore. Tutto già preconizzato. 
Eppure qualcosa si è rotto o almeno si è piegato nella credenza.
Si è rotto in parte il patto sotteso dello sviluppo capitalistico auspicabile, il patto feticistico della credenza capitalistica secondo il quale il benessere si sarebbe sempre e comunque diffuso con il suo gocciolamento. Invece, è cominciato il brusio. Il brusio della miscredenza. Il brusio si è fatto vocio e poi voce stridula e poi, ancora, grido. Il grido ha percosso le piazze, le strade, le finestre. Ha sfondato dal basso. Si è diretto verso l’alto. Nuova formazione. Nuovi occhi. vecchio cuore. Non lo vedete quanto lo scontro ora non sia più orizzontale, non sia più tra pari sul possesso dei mezzi di produzione ma sia, invece, tra alto e basso? Tra le masse ormai svincolate dal loro vincolo di credenza e le élite vincolate al loro bisogno di accumulazione e dominio? 
Credere.
Non credere. Criticare.
Obbedire.
Non obbedire. Disubbidire.
Combattere.
Sì, combattere perché la lotta è sempre una forma d’amore.
Ma dalla parte del corpo, dalla parte della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità, dalla parte dei figli.
I figli, per chi li ha e per chi non li ha, i figli – loro Fratelli tutti – del presente sono sempre una preghiera sia essa cattolica di Santa Romana Chiesa, sia essa musulmana sia essa laica o di qualunque opera di Messia operaista.
È sulla loro sorte che si fa la Storia, sulla loro pelle si coniuga la verbosità del futuro e si accanisce la responsabilità enorme di dovere affrontare la nostra estinzione di specie. Sempre più vicina. Sempre più avvilente. Sempre più cinicamente avvincente per gli appestati di peste bianca, per i cechi con lo sguardo lungo sul mercato.
Io no. Noi no.
Io vi scrivo da qui, dal confine di un quartiere che fu operaio; che, con e le sue tegole rosse e i suoi camini, odora di castagno. Io vi scrivo da qui, dal confine comodo del mondo comodo.
In attesa dei barbari.
In attesa di esserlo.   

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