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Enrica Leone

Docente e scrittrice

In ricordo di Gino Strada

Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
E. Montale

C’è un momento nella vita di ognuno che segna una consapevolezza, una sorta di epifania che determina il tempo futuro. Che questo sia intenso, straordinario, autentico o insopportabile dipende dalla creatività con la quale disegniamo il nostro destino e dal carico di batoste che ogni esistenza reca con sé.
Il momento nella mia vita è stata una sera d’autunno di 23 anni fa, avevo cominciato da circa due l’università ed ero sicura che avrei lavorato nel mondo dell’arte contemporanea. Mi sentivo forte, lanciata verso la vita che volevo, mi piacevo e tenevo lo sguardo stretto sulla mia piccola esistenza. Quella sera d’ottobre la RAI, che ogni tanto si rammenta cosa voglia dire servizio pubblico, diede in seconda serata uno speciale dedicato a Gino Strada e ad Emergency. 
La guerra, la disumanità di ogni guerra, la dignità di tutti gli esseri umani, la responsabilità che troppi declinano, il senso autentico di una scelta di vita consapevole. Tutte queste enormi verità me le raccontò Gino Strada quella sera, in un’intervista appassionata senza retorica, una chiacchierata in cui seppe spiegare in modo chiaro, netto, cosa volesse dire per lui essere un medico ovvero salvare vite.
Emergency e tutto il lavoro che Gino e i suoi collaboratori e le sue collaboratrici hanno creato in questi anni vengono da questa straordinaria eppure banale evidenza, ossia che un medico è tale solo se si pone l’obiettivo di salvare vite. SEMPRE. OVUNQUE. CHIUNQUE.
Ricordo che ero sola quella sera e piangevo perché mi sentivo in colpa, troppo concentrata sui miei desideri, troppo distratta rispetto alle ingiustizie che abitavano il mondo, ieri come oggi. Certo ero schierata politicamente, partecipavo attivamente a manifestazioni, riunioni, gazebo, ma in fondo sentivo che anche queste cose non erano abbastanza, che il fulcro di tutto rimanevo ancora e sempre io, col mio narcisismo giovanile. Tutte le mie battaglie poco incidevano sulle vite di merda che troppe persone portavano avanti.
Gino Strada mi stava chiedendo di prendermi la mia parte di responsabilità. Fu così che decisi di insegnare. Come lui aveva studiato medicina per salvare vite, io avrei insegnato lettere per condividere con le mie alunne e i miei alunni le parole che servono a ordinare i pensieri, a orientarsi nel caos, a sentire la bellezza della poesia che muta prospettiva. Come Gino Strada volevo sentirmi parte del mondo e fare la mia parte nel mondo.
Oggi, a 23 anni da quella sera, mi ritrovo a piangere la sua morte, a ricordarlo senza alcuna retorica, ma col bene che si vuole a chi ti ha fatto del bene.
Nomen omen Gino, ti portavi dentro la necessità di percorrere le strade che tutti evitano, per testimoniare che nella brutalità delle guerre c’era ancora qualcuno che ricordasse la dignità dell’essere umani. Hai saputo rispondere con le parole e le azioni giuste a tutti gli abomini di cui il mondo è capace. Hai professato e vissuto verità e coerenza in una società che persegue l’apparire sopra ogni cosa. Una società, la nostra, vile, subdola, stordita, disorientata, affamata e sordida. Una società malata che oggi ha perso il medico che da sempre cercava di curarla. 
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