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Enrica Leone

Docente e scrittrice 

La Costituzione è viva… Viva la Costituzione!

Mai come in questo ultimo anno abbiamo sperimentato la necessità di saperci adattare, cambiare, capire le situazioni nella loro complessità e trarne indicazioni per sopravvivere.

La scuola è stata investita in pieno da questa urgenza di reggere agli urti della storia. DAD, DDI, PNSD, PEI, PDP, DHD, BES e acronimi di ogni natura che sintetizzano in modo assai approssimativo lo sforzo fisico e morale di tanti docenti e tantissimi alunni per continuare a sentirsi SCUOLA. E a completamento delle innovazioni possibili, in un anno già molto complicato, è arrivato l’insegnamento obbligatorio dell’educazione civica, cavallo di battaglia più volte tornato in auge negli ultimi anni. Mentre politici di ogni sorta cercavano di intestarsi un merito di cui ovviamente non comprendevano la natura, la scuola ha fatto i conti anche con questo cambiamento, costruendo curricoli, formando i docenti, tessendo relazioni diverse che rendessero tale disciplina qualcosa di concreto, autentico. Nelle linee guida si chiede agli insegnanti di rimettere la Costituzione al centro, praticando quello che Calamandrei auspicava già diversi anni fa parlando ai ragazzi, ovvero rendere la Costituzione una cosa viva. Conoscere e capire la legge fondamentale dello Stato, svelarne la forza democratica e civile, raccontare ai ragazzi e alle ragazze di oggi che quella Costituzione è stata scritta dalla meglio gioventù che aveva fatto la Resistenza, per difendere i diritti di ciascuno con i doveri di tutti. La difficoltà più grande per realizzare tutto ciò è sicuramente quella di narrare la grandezza e l’importanza di questa Carta, scontrandosi con una società che nella realtà disattende continuamente i suoi precetti. 

Come si fa a chiedere di insegnare l’amore per l’Italia a una platea di bambine e bambini che da questo paese si sentono rifiutati? Perché è questo che accade in tantissime scuole dove la gran parte dell’utenza è costituita da italiani di seconda generazione, meglio noti come figli di immigrati regolari, in attesa di quel diritto di cittadinanza che permetta loro di dire: sono italiano!.

E questa è solo una delle incongruenze in cui si incappa quando si vuole autenticamente insegnare l’educazione civica, quando si crede che formare cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri sia il mandato primo della scuola di ogni ordine e grado.
Qualche anno fa, in un mondo che ci sembra preistorico per quante cose sono accadute, Benedetta Tobagi dava alle stampe un libro inchiesta dal titolo icastico La scuola salvata dai bambini. In una sorta di viaggio- racconto nelle scuole del nostro paese, da nord a sud, passando per le aree interne del centro, la Tobagi testimoniava di una realtà che forse il Legislatore dovrebbe tenere in maggiore considerazione. Scuole che si aprono al territorio, che si fanno luogo di scambio e di confronto per i piccoli e per le loro famiglie, con idee illuminate affinché ognuno possa sperimentare quel senso di appartenenza a una comunità civile che si costruisce un pezzo alla volta e che dovrebbe essere l’unico vero obiettivo del fare educazione civica. E questo è stato anche il principio ispiratore della Costituente, ovvero una società inclusiva che non lasciasse indietro nessuno. Se chi legifera ha prodotto l’ennesima trovata per mostrarsi avanti e conforme a quell’idea di stato progressista che tanto piace a parole, purché a realizzarla siano gli altri, oggi la scuola deve accogliere l’obbligatorietà dell’insegnamento dell’educazione civica come quella possibilità da troppo disattesa di costruire tra i banchi un mondo più equo.

Diceva Clamandrei: La nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà; in parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere!
Accogliamo il suo invito e diamoci da fare.

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