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La redazione

La lotta di potere che nasconde la corsa ai vaccini

La campagna vaccinale in Italia procede molto lentamente. Non si tratta di un giudizio ma di un dato di fatto supportato dai numeri. Per comprenderlo, basta confrontare i dati del programma strategico ministeriale e quelli delle vaccinazioni seguendo I dati aggiornati giorno dopo giorno. Il Sole 24 ore ha aperto una sezione ad hoc per seguire quotidianamente il numero di dosi somministrate così come comunicate delle regioni anche se il dato reale si può seguire anche dal sito del ministero della salute. 

Siamo indietro. 

Ma soprattutto c’è confusione. 

Ci sono continui tagli alle forniture da parte delle case farmaceutiche e i ritardi vengono giustificati dichiarando la complessità di produzione e processo biologico del vaccino a causa di “una moltitudine di fattori produttivi e di test di qualità che vengono minuziosamente fatti su ogni lotto possono avere un impatto sulla data, frequenza e numero di dosi di ogni consegna". 
Così si legge in una nota di Astrazeneca. 
I ritardi delle consegne hanno “costretto” il governo a sondare la possibilità di produrre il vaccino in Italia tanto che qualche giorno fa il neo-ministro Giorgetti ha ricevuto alcune aziende che si sono rese disponibili alla produzione del vaccino Made in Italy. 
Anche Thierry Breton, commissario europeo al Mercato interno, ha dichiarato ad Avvenire che in Italia ci sono un paio di realtà solide che potrebbero avviare la produzione del vaccino. Ma non è così semplice. Le aziende devono essere riconvertite e devono superare i test scientifici nonché l’iter burocratico italiano ed europeo. 
A questa situazione di incertezza europea e italiana, va aggiunto che la procura di Roma si è vista costretta ad aprire un fascicolo sul traffico di vaccini. La denuncia è stata presentata da Arcuri, il manager della gestione della pandemia mentre veniva interdetto un certo Benotti, ex giornalista Rai e già uomo di apparato, che ha avuto contatti con il super commissario ad interim per le forniture di mascherine. 

Incertezze e beghe italiche – bisogna ricordare la fallimentare idea delle primule e la volgare crisi di governo che ha incoronato Draghi? – creano nei cittadini angoscia e diffidenza. 

Intanto, da altri paesi arrivano informazioni contrastanti.
Ci sono quelle positive che raccontano di campagne vaccinali spedite e organizzate come in Gran Bretagna.
Qui, infatti, dopo la sottovalutazione, i fallimenti e le tristi vicende che lo hanno coinvolto, il governo di Boris Johnson sembra aver imboccato la giusta strada dando il via libera a inoculazioni a tappeto negli ospedali, nelle farmacie e presso gli studi medici. 

Quelle negative arrivano in gran parte dai paesi EU e riguardano soprattutto le difficoltà di reperire le fiale vaccinali. Come scrive The Guardian, al vecchio continente sono state tagliate circa il 60% delle consegne. 
In tutto questo marasma informativo, una notizia importante è passata in secondo piano: Soberana 02, il vaccino cubano è pronto. Verrà prodotto nell’isola caraibica, potrà soddisfare le esigenze di tutta la popolazione e sarà disponibile anche per altri paesi. La notizia di per sé meravigliosa però fa riflettere soprattutto in Italia perché uno dei protagonisti che ha lavorato al progetto, interamente pubblico, è Fabrizio Chiodo, un ricercatore italiano che vive a Pozzuoli, collabora con il CNR e ha inziato la collaborazione con l’Avana attraverso progetti di studio internazionali durante la sua esperienza di formazione in Olanda. 
La vicenda di Chiodo la dice lunga sul fatto che ad oggi risulta sempre più importante investire sulla formazione e la valorizzazione della ricerca di base e dei nostri “cervelli”. Non è più una scelta politica ma una necessità di sopravvivenza in un mondo che – nonostante continui la corsa agli armamenti – inizia anche quella al sapere sanitario. 

La “concorrenza” mondiale tesa alla ricerca del vaccino – preponderante per la politica estera di ogni paese – infittisce nelle popolazioni la consapevolezza di una radicale riconversione del paradigma economico, "mentre l’Unione europea, ossessionata dal culto del pareggio di bilancio e della sicurezza finanziaria", rischia di rimanere ancora una volta indietro.
Il tal senso, il disastrato capitalismo italiano è da retroguardia. Il gap nazionale è dovuto alle scelte politiche sbagliate degli ultimi 20 anni che non hanno creato un sistema virtuoso nella sanità e nella ricerca scientifica. E così ci ritroviamo quitidianamente a rincorrere l’emergenza piuttosto che a gestirla. Sempre in ritardo sempre in affanno.

La recente abdicazione della politica fintamente tecnica alla tecnocrazia fintamente apolitica di Draghi è l’emblema del fallimento di un’intera classe dirigente. E pare proprio che la narrazione del “siamo i migliori” dell’era Conte sia un aspetto della comunicazione che non funziona più. Gli italiani lo hanno capito e questa consapevolezza ha lacerato la società. Di recente, sono stati realizzati sondaggi circa la volontà degli Italiani a vaccinarsi. Anche se la maggioranza è decisa ad immunizzarsi, una buona parte – che rappresenta più del 30% della popolazione – non è convinta. Sarebbe sbagliato bollare queste persone come dei negazionisti o dei novax. Si tratta di persone preoccupate, sottovalutare le preoccupazioni delle persone non è saggio perché sortirebbe l’effetto contrario. È la confusione comunicativa e organizzativa che rende le persone vulnerabili. Intanto, i contagi e I decessi aumentano; la conferenza delle regioni chiede un cambio di passo sul sistema a zone; il settore della cultura è allo stremo; i ristoratori sono alle prese con la schizofrenia istituzionale; la scuola attende una linea chiara e provvedimenti seri. 

Il ministro Speranza, nella sua ultima informativa al Senato del 25 Febbraio scorso, ha ribadito che in altri paesi perdurano lockdown severi. È innegabilmente vero ma è altrettanto vero che in quei paesi è stata messa in piedi una campagna vaccinale che funziona ed è stato attivato un sistema di ristori soddisfacente. 

La maggioranza arcobaleno è divisa tra allentare le misure o renderle più restrittive. Sta di fatto che ad oggi non c’è chiarezza. E il silenzio di Draghi comincia a pesare. 
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