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Pasquale Obliato

Esperto di investimento responsabile

La patrimoniale non dev’essere uno spettro perché è un’esigenza.

Il mondo cambia continuamente; non avrebbe bisogno di guerre, pandemie, dittature, disboscamenti di interi subcontinenti eppure accadono ugualmente, come fossero il segreto indicibile e deterministico di un grande chef per dare quel sapore inconfondibile di macabro gourmet ad una salsa ormai già pronta per essere servita.

Alcuni paesi, tra cui l’Italia, vivono in uno stato di continua risalita. La parola crisi qui viene utilizzata per definire uno stato di cose ormai incancrenito, se non perenne, iniziato idealmente tra la caduta del Muro e la fine del blocco Sovietico, che avrebbe dovuto perdurare tuttalpiù fino alla fine dello scorso millennio e che invece ha stratificato uno status quo in cui la svalutazione di una moneta, che ormai non esiste più, è stato sostituita da un rendimento dei titoli di stato quantomeno anacronistico, al pari di tanti parametri in disuso che hanno trovato degni eredi nelle cronache economiche dell’ultimo decennio. Ed è ovvio, al contrario, che ci sono Stati o sistemi economici che lievitano come palloncini ad elio in una stanza e sfonderebbero volentieri il soffitto, che li tiene a vista costante della nostra invidia, in uno stato di confort nel quale, quasi per hobby, si adagiano a costituire il lato opposto dello spread di qualcun altro oppure ne comprano il debito pubblico.

Il coronavirus ed i suoi effetti si inseriscono quindi in uno scenario che era pronto a recepire qualunque novità, strictu o latu sensu, virale, uno sfondo nel quale può essere causa o pretesto per crolli economici che poi si riprenderanno oppure no… Il grosso delle attività commerciali e produttive del pianeta sono state chiuse, qualcuna un mese, qualcuna tre, in ogni caso un tempo medio bastevole per rientrare nella definizione di crisi, se non proprio di catastrofe, comunque nulla di gestibile per le teorie micro e macro-economiche degli ultimi cento anni. Dopo il lockdown, gli unici che possono metterci i soldi sono gli stati e le banche centrali; l’assistenzialismo diventa l’unica possibilità di una ripresa basata su dati reali e non valori gonfiati di borsa o letterine di un’equazione; i soldi di chi non ha guadagnato non li vedremo in circolo; qualcuno non ce la farà a riaprire, indipendentemente dalla sostenibilità economica del nuovo modo di fare impresa al tempo dei dispositivi di protezione individuali. Resta però una cosa: i soldi di chi ce li ha sempre avuti, quella ricchezza di pochi, quella che già prima costituiva un’incolmabile differenza sociale tra esseri umani e che adesso è meno sostenibile di prima.
 
La patrimoniale non dev’essere uno spettro perché è un’esigenza.
 
Certe distanze non sono più sopportabili. Un aggravamento della situazione economica non è solamente un dato statistico, significa fame per qualcuno in più. Parlarne in senso negativo significa dimenticarsi dell’importanza della redistribuzione del reddito; eliminarla dai discorsi politici significa dimenticarsi che se “a sinistra” si dovrebbe essere contro il processo di accumulazione, qualche liberale, non tantissimi secoli fa, ci ha messo in guardia dalla successione ereditaria; solo i populisti non hanno mai detto nulla di significativo ma quelli possono appropiarsi di tutto e non si può correre il pericolo di lasciar loro questo spazio. Non può pagare chi ha sempre pagato. Non può restare indietro chi già stava indietro. Non possiamo non sfruttare le risorse che esistono. Non si può pensare a un reddito universale se poi chi aveva più soldi degli altri continua ad averli ma senza contribuire ad uscire da quella parte di crisi che ancora dobbiamo vedere.

Serve una patrimoniale e serve fatta pure bene, perché il peggio lo possiamo ancora riprendere.

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