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Iacopo Di Girolamo

Filmmaker

Runaway

Maggio 2020. In un parco di Bristol non lontano da casa nostra, resto fermo a guardare un giovane albero piantato in memoria di J., che qualche anno fa decise di togliersi la vita.
Io J. la conoscevo. Grazie a una canzone.

La canzone si chiama “Runaway”. Un brano che tra l'aprile e il maggio del 1961 riesce a piazzarsi per ben quattro settimane in vetta alla Billboard americana. Poco dopo regge per ben due settimane in vetta alla classifica dei single venduti in Gran Bretagna.

Il suo autore è ai giorni d'oggi quasi sconosciuto.

Charles Weedon Westover nasce a Grand Rapids, Michigan, il 30 dicembre del 1934. Nel 1960 viene messo sotto contratto per la Bigtop Records di Detroit, insieme al suo amico e collega Max Crook. Il loro produttore Harry Balk gli suggerisce di crearsi un nome d'arte. Chuck, come lo chiamano gli amici intimi, combina il nomignolo della sua automobile preferita – la Cadillac Cuope de Ville, affettuosamente ribattezzata Del – e il cognome di un cliente fisso del club in cui suonava, il giocatore di wrestling Mark Shannon. Del Shannon. Per chi ha ancora un ricordo dell'autore di “Runaway”, quello è il suo nome ufficiale, e il suo brano più famoso sarà anche la sua rovina.

Il 9 maggio del 2010 sono in compagnia di mia madre all'aeroporto di Roma Fiumicino. Siedo in attesa di aggiornamenti sul volo che dovrebbe portarci a Chicago, ma che sta seriamente rischiando di essere compromesso a causa dell'eruzione di un vulcano islandese dal nome impronunciabile che ha lasciato una gigantesca nube di gas e detriti sui cieli del nord Europa. Con noi in fila, noto, c'è anche Paolo Sorrentino che discute animatamente con due persone che io decido essere dei produttori o dei procacciatori di location. So che Sorrentino deve girare un film negli Stati Uniti con Sean Penn come protagonista, quindi deduco che stiano andando lì per quello. Lo prendo come un buon segno.
La nostra destinazione finale è Kalamazoo, Michigan, dove mia madre dovrà parlare della ricezione dei testi narrativi occitani nell'Italia del tredicesimo secolo al Congresso Internazionale di Studi Medioevali organizzato dalla Western Michigan University. Da buon figlio parassita, appena saputo del suo viaggio, mi sono accollato a lei cogliendo al volo l'opportunità per approfondire ulteriormente i miei studi su una sceneggiatura di un film che tentavo di scrivere da qualche anno, un qualcosa sulla vita di Del Shannon. Molto vago.

Il volo parte in ritardo, ma parte. Paolo Sorrentino lo vediamo risucchiato dalla prima classe, molto ben nascosta a noi gente comune in seconda. Al decollo ripercorro la mia passione per Del Shannon, che non è proprio una passione, ma è piuttosto un interessamento per un personaggio sfortunatissimo, estremamente lontano dall'ideale standardizzato del divo del rock 'n' roll, che ha assaggiato un successo stratosferico per troppo poco tempo, fuggito via velocemente, e che ha passato il resto della sua vita cercando di riagguantarlo, annaspandoci dietro, senza mai riuscirci. 
Più che una rockstar, Del Shannon sembrava un rivenditore di tappeti degli anni Cinquanta, mestiere che ha realmente praticato prima della sua carriera musicale. Andava vestito con dei cardigan chiari su camicie a quadratini e pantaloni scuri quasi sotto-ascellari. Di statura bassa, con la testa curiosamente incastrata nelle spalle. Qualcuno in passato lo ha preso in giro per l'aspetto un po' scimmiesco, con un volto decorato da un ciuffo troppo esagerato da giovane e da un evidente parrucchino in stile mop top negli ultimi anni della sua vita.
Quello che mi ha colpito sin dall'inizio di Del Shannon è la sua voce, che quando la senti una volta poi diventa inconfondibile. Sicuramente più adatta a un country vecchio stile e con abilità da yodelista, ricorda tantissimo le voci di Roy Orbison e Hank Williams. Shannon riusciva inoltre a servire dei fenomenali falsetti, caratteristica che ha contribuito al successo di “Runaway”.

Una volta arrivati a Chicago passiamo molto tempo in fila per il controllo passaporti. Rivedo Paolo Sorrentino che guarda mia madre. I due un tempo si erano conosciuti, quando lui scriveva ancora per “La squadra”. Forse la riconosce. Forse no.
Ci fermiamo a Chicago qualche giorno per abituarci al jet-lag. Con un'auto affittata partiamo per Kalamazoo. Le highways, da quelle parti, sono una strage di cervi. Ce ne sono dappertutto, a pezzi, budella sull'asfalto, tutti ordinatamente risistemati sul ciglio della strada. Ricordo le parole di un amico regista americano, che mi disse che negli Stati Uniti caricarsi una carcassa di cervo su un pick-up è illegale. Ecco forse perché le lasciano lì a marcire.
Il Michigan è un posto incredibile. Fuori dai percorsi turistici, sembra davvero quell'America di provincia che siamo tanto abituati a vedere nei film. Se devo creare degli sketch di quello che ricordo, senza guardare le foto di quel viaggio, direi: pali della luce di legno acconciati con grovigli di cavi, segnali stradali confusi, lampioni Deco, automobili enormi e strade larghe con case e negozi di massimo due piani. Dopo la crisi del 2008 l'industria delle automobili, che era il cuore pulsante di questo Stato, si è sfaldata completamente. La conseguenza è che il Michigan non riesce a nascondere le ferite inflitte dalla miseria. Non sono stato a Detroit, ma tutti mi hanno scoraggiato dall'andarci a causa della pericolosità in strada, amplificata dal suo status di metropoli in stato confusionale.
I giorni in cui mia madre segue la conferenza di medievalisti, faccio una mappa dei posti da vedere legati alla vita di Del Shannon: Coopersville (dove è cresciuto) e Battle Creek (dove si è trasferito dopo il servizio militare e ha cominciato ha suonare professionalmente).

13 maggio. La prima tappa è Battle Creek. Il cielo è grigio, ma non piove. È giovedì mattina e per qualche motivo la città è deserta. Non saprei come descriverla senza usare l'aggettivo qualificativo “orrenda”. Stradoni enormi decorati con fabbricati più o meno moderni. Battle Creek vanta due cose: la sede della Kellogg's e la Heritage Tower, il suo punto di maggiore interesse: un palazzo incolore e abbandonato, costruito nel 1930 e che in passato serviva come blocco di uffici.
Sul mio taccuino ho scritto le cose che voglio vedere a Battle Creek: il “Del Shannon/Runaway Historic Site” e l'Hi-Lo Club, dove negli anni Cinquanta Chuck Westover suonava la chitarra e cantava nei Moonlight Ramblers, frequentato dal lottatore Mark Shannon che ispirò il suo nome d'arte. L'Hi-Lo Club si trovava all'angolo di Hamblin Ave e Capital Ave. Arrivo sul posto e ci trovo un gigantesco hotel e una piccolissima targa che commemora la posizione dove un tempo sorgeva il Club, demolito negli anni Ottanta. Sconsolato, con una penna cancello la scritta dal taccuino.
Il “Del Shannon/Runaway Historic Site” invece è ancora lì, all'altezza del civico 45 di Capital Ave. Si tratta di un piedistallo rotondo in cemento, ricoperto da una decorazione di marmo fatta come un disco a 45 giri con incisi il nome dell'autore, il titolo della canzone e l'etichetta discografica, la Bigtop Records. Dal centro del disco, come un perno di centraggio, parte un palo che termina con una targa commemorativa verde che sfoggia un testo davvero troppo lungo da riportare per intero, ma che in sostanza racconta la carriera di Westover. Scatto qualche foto. Mi giro intorno. Nessuno. Mi deprimo un po', sinceramente, e decido di tornare a Kalamazoo, che al paragone con Battle Creek sembra Las Vegas.

15 maggio. Coopersville. La città ha poco più di quattromila abitanti e il suo cuore consiste di una strada principale (che, se non fosse per l'asfalto, sembrerebbe uscita da un film western di John Ford) a ridosso di un'antica stazione ferroviaria. Giro un po' per la Main Street. È sabato mattina e i negozi sono tutti chiusi, la stessa sensazione di visitare una città deserta che avevo provato a Battle Creek. Quasi ogni edificio sfoggia una bandiera americana. Mi soffermo davanti una pasticceria, Suzy's Cakes, che ha la vetrina piena di cupcakes dai colori pastello. È tutto vagamente retro. Anche le automobili parcheggiate, a parte i soliti pick-up, sono modelli vintage.
Prima di partire mi ero messo in contatto con Jim, il curatore del Coopersville Historical Museum. Passa talmente poca gente durante l'anno che il museo apre solo su richiesta. Si tratta di una casa alla fine della strada principale, di fronte l'antica torretta bianco-verde della stazione. Busso alla porta e mi apre Jim, che diventa ufficialmente la prima persona che incontro a Coopersville. Mi mostra i locali del museo. La prima stanza contiene svariati attrezzi agricoli del passato – che raccontano le origini rurali del posto – e macchinari per la produzione del latte, per finire con un'enorme teca contenente bottiglie di liquori di tutti i tipi e da tutti i tempi. La seconda stanza è arredata come un'antica aula di una scuola elementare: banchi in legno, calamai, una foto di Lincoln alla parete e addirittura un manichino di una maestra in piedi di fronte una lavagna. Jim mi parla in maniera dettagliata della storia locale, dei suoi negozi e abitanti, prima di mostrarmi il resto del museo: tre stanzoni zeppi di cimeli legati a Del Shannon.
Gli oggetti fuori e dentro le teche sono organizzati in maniera apparentemente caotica, ma poi si riesce a trovarne un senso. C'è la prima chitarra di Westover, vestiti su grucce, passaporti scaduti, fotografie a scopo commerciale e istantanee di famiglia, pagelle scolastiche, poster, giradischi, perfino la sua prima radio e il suo primo televisore. A ogni oggetto o serie di oggetti corrisponde un fogliettino che segnala chi lo ha donato al museo. Rimango colpito da una serie di dischi, principalmente edizioni di vario tipo del suo primo LP, “Runaway with Del Shannon”: sono stati donati da un tale signor N. di Bristol, UK. Chiedo immediatamente delucidazioni a Jim, che mi spiega che N. è uno dei più grandi fan e collezionisti di Del Shannon al mondo. Ogni agosto torna a Coopersville per partecipare al raduno annuale di automobili d'epoca, il “Del Shannon Car Show”, al quale partecipano sempre la prima moglie di Westover e due dei suoi tre figli. Capisco da una bacheca nel museo che la più giovane dei tre, Jody, è morta nel 2004 a causa di una malattia. Jody, rifletto, è stata battezzata con il nome della canzone sul lato B del singolo di “Runaway”. Jim aggiunge che se voglio avere più dettagli sulla carriera del musicista, è a N. che devo chiederli. Mi lascia la sua e-mail.
Prima di andare via e salutare Jim, mi faccio immortalare in foto davanti una lapide commemorativa all'esterno del museo. Si tratta di un parallelepipedo di marmo nero con un bassorilievo raffigurante il volto di Del Shannon al centro di un disco d'oro sopra un lunghissimo testo che ne spiega brevemente vita e successi.

Durante il volo di ritorno in Italia non riesco ancora a credere che il più grande esperto di Del Shannon al mondo viva a Bristol, a pochi passi dalla casa dei miei zii inglesi, nella città in cui proprio quell'anno stavo per trasferirmi.
A settembre sono a Bristol. Insieme a Manuela (all'epoca la mia fidanzata, oggi mia moglie) vado a fare visita a N. Ci apre la porta una giovane donna dall'aria stanca ma molto cordiale. Si presenta come la moglie, si chiama J. Entriamo in casa e subito troviamo un enorme jukebox anni Sessanta con molti 45 giri installati. Riesco appena a leggere una sfilza di etichette con su scritto il nome di Del Shannon, quando N. ci viene ad accogliere. Alle pareti della piccola rampa di scale in casa ci sono tre set di costumi di scena appesi a delle grucce, come nel museo. Ovviamente è inutile specificare a chi erano appartenuti quei vestiti, dei quali uno ancora macchiato sul petto da qualche tipo di salsa. Nel soggiorno spicca un mobile contenente molti vinili. Non solo la quasi totalità di quei dischi è di Del Shannon, ma la maggior parte sono edizioni originali e riedizioni del primo LP, come nel museo. Dico a N. che avevo già visto tutti quei vinili a Coopersville. Mi conferma che erano stati donati da lui e che poi, lentamente, li ha ricomprati tutti. Oltre ai vinili, c'è una lunga mensola piena di musicassette, che lui utilizza ancora, contenenti registrazioni di programmi radio nei quali si parla di Del. Solitamente su richieste telefoniche sue.
N. è un uomo in pensione, sulla sessantina, molto riflessivo, che quando parla riesce a trasmettere anche una certa calma. Non si apre molto spontaneamente sulla vita del suo eroe musicale. Non è per niente logorroico e per avere delle informazioni devo chiederle io. Evidentemente negli anni avrà imparato a non rovesciare sulla testa delle persone secchiate di aneddoti e numeri riguardanti un cantante sconosciuto ai più. Gli chiedo il perché di quella sua ossessione per Del Shannon. Mi spiega che “Runaway” è stato il suo primo 45 giri. All'epoca era quattordicenne e non aveva nemmeno un giradischi per ascoltarlo, ma doveva andare a casa di amici. L'assolo di musitron di Crook misto con il falsetto di Del lo avevano incantato. In più c'è da dire che “Runaway” parla di un amore finito malissimo e questa era una svolta rispetto alle tematiche della maggior parte delle canzoni precedenti al 1960 che al contrario parlavano di amori che stavano iniziando o quantomeno che funzionavano. Percepisco la sua felicità durante queste spiegazioni. Nei suoi occhi mi sembra di vedere quel ragazzino di quattordici anni. Una cosa c'è, però, che ferisce N.: la fine di Del Shannon.
Charles Westover era depresso. Era depresso presumibilmente perché in una carriera che inizia con l'amicizia e la stima dei Beatles, di Elvis e dei Rolling Stones ci si prospetta facilmente i fasti dell'immortalità nell'Olimpo della musica. Ma questo a Del Shannon non era capitato. La sua carriera è stata un continuo cercare di ricreare quel successo clamoroso, nato un po' per caso col suo amico Max Crook, inventore del musitron (un sintetizzatore utilizzato in “Runaway” per la prima volta). I primi tre dischi sono oggettivamente dei lavori molto belli e originali, ma conformi a tutte le altre produzioni sue contemporanee. Dal '65 iniziano i vari tentativi di reinventarsi musicalmente in qualsiasi maniera. Prima “Del Shannon sings Hank Williams” (1965), nel quale si è lanciato in una serie di cover del primo divo del country, poi un paio di esperimenti di un rock più graffiante, abbandonando i testi ricolmi di cuori infranti e vendette d'amore dei suoi primi dischi. Nel 1968 arriva la fase psichedelica con “The further adventures of Charles Westover” nel quale lancia una versione più fricchettona del suo successo originale, chiamandolo “Runaway '67”. In quel periodo quella era l'unica canzone che sembrava ancora portargli qualcosa. Nel 1969 Elvis la cantò durante un concerto a Las Vegas; nel 1973 George Lucas la inserì nella colonna sonora del suo “American Graffiti”; nel 1986 la NBC ne utilizzò una versione modernizzata come sigla per la serie TV “Crime Story”. La canzone, in totale, conta più di 120 versioni cover da tutto il mondo. Nel 1978 esce “And the music plays on”, un album abbastanza blando. All'inizio degli anni Ottanta viene preso sotto l'ala protettiva di Tom Petty, che nel 1982 produce “Drop down and get me”, album contenente il primo successo di Del Shannon dopo tanti anni, la canzone “Sea of love”.
Alla fine degli anni Ottanta, Del appare ingrassato, dicono abbia problemi di alcol e che faccia uso di psicofarmaci, il primo matrimonio finito, un secondo matrimonio più problematico iniziato nell'86 con una donna molto più giovane di lui e quella strana parrucca in testa. Sta lavorando a “Rock on!”, un nuovo album prodotto da Jeff Lynne degli Electric Light Orchestra. In quegli anni Lynne suona in uno dei primi supergruppi della storia, i Traveling Wilburys, composto da lui, Bob Dylan, George Harrison, Roy Orbison e Tom Petty (che pure incideranno una cover di “Runaway” uscita solo nel 2007). Nel 1988 Orbison muore e Lynne e Petty propongono Del Shannon come sostituto. Il successo sembra tornare ammiccante. Testimonianze di amici parlano di un Del sorridente, finalmente in pace con la sua vita. Ma la depressione è un baratro invisibile, che si nasconde dietro i sorrisi e non c'è Prozac che tenga. L'8 febbraio del 1990 Charles (o Chuck o Del) siede alla scrivania della sua casa a Santa Clarita, California. Su un mangianastri registra un suo cantato, senza accompagnamento musicale, di una canzone intitolata “Songwriter”. Dopo aver premuto stop prende il suo fucile calibro 22 e si spara un colpo in faccia.

N. è evidentemente triste quando ripercorre gli ultimi momenti della vita del suo idolo. Poi mi guarda e dice che è felice di sapere che io voglia scrivere un film su Del, ma che sarà molto difficile avere il permesso di raccontare la sua storia a causa del carattere brusco della seconda moglie. L'informazione rimane nell'aria e credo sia ancora lì a vagare da qualche parte, perché nel frattempo J. ci porta dei bicchieri di sidro e ci racconta com'è stato l'ultimo Car Show a Coopersville. Non riesco a capire cosa pensi lei di quella mania del marito, ma sembra accettarla tranquillamente. Ammette che le farebbe piacere vedere anche altri posti in America, invece di andare sempre in quella zona desolata del Michigan, ma tutto sommato non sembra lamentarsi troppo. Dopo un paio d'ore li salutiamo e N., molto gentilmente, mi regala un calendario di Bristol, un libro sulla storia calcistica dei Bristol Rovers e due grandi chiavi arrugginite, un elemento di arredo che proviene direttamente dalla prima casa di Del Shannon.

I mesi passano. La mia idea del film su Charles Westover è molto confusa, senza una vera direzione narrativa. Non so proprio da dove cominciare o cosa esattamente raccontare, e l'unica cosa che riesco a fare è fantasticare sull'avere Ben Stiller nel ruolo principale. Nel frattempo Manuela ed io abbiamo un figlio e nel 2011 ritorniamo a vivere a Napoli, dove arranco guadagnando poco o nulla lavorando per una produzione video a Roma.

Una mattina primaverile del 2013 sono in tram andando allo studio al Pigneto. Ricevo un SMS da N. che mi comunica che sua moglie J. si è tolta la vita.
Sono sconvolto. Durante il mio anno a Bristol avevo visto N. e J. varie volte. Era sempre tutto tranquillo, non avrei mai pensato a uno stato depressivo, neanche lontanamente. Una volta eravamo anche andati insieme, felicemente, a vedere giocare i Bristol Rovers allo stadio. Tra il primo e il secondo tempo gli altoparlanti suonarono “Runaway” seguita dallo speaker che annunciava che la canzone era dedicata a me da parte di N. (il mio nome pronunciato in maniera incomprensibile), che durante l'annuncio lo ignorava ironicamente, facendo finta che non c'entrasse nulla.
Quella sera, al telefono da Napoli, racconto a mia moglie di J. e subito mi convince con inoppugnabili argomenti apotropaici a rimuovere dalla parete le chiavi appartenute a Del Shannon e alla sua prima moglie. Il mio approccio verso la sceneggiatura di quel film cambia totalmente. Non la voglio scrivere più. Troppa morte, troppe storie tristi. La vita di Del Shannon è diventata all'improvviso un buco nero che risucchia luce ed energia, che sono l'essenza della vita. Lascio perdere.
Quell'estate torniamo a fare visita a N. Il soggiorno è uguale a come l'avevamo lasciato, ma insieme all'enorme collezione di vinili adesso capeggiano svariate foto giganti di J. Io comincio a sentirmi a disagio, una sensazione molto simile a un attacco di panico. Manuela capisce che cerco di abbandonare la casa quanto prima - in effetti divento molto sbrigativo nei confronti di N. - e ci salutiamo fornendo qualche scusa relativa a nostro figlio che in quel momento dormiva beatamente nel passeggino.

Sono passati otto anni e con N. ci sentiamo ancora di tanto in tanto. Nel 2015 torno a vivere a Bristol con mia moglie e nostro figlio. L'idea di fare un film su Del Shannon è volata via da tempo, aggiungendo ulteriore peso alla massa dei miei progetti falliti. Questo addirittura non ha mai visto nemmeno una riga scritta, a parte un quaderno che ho riempito di eventi e aneddoti sulla sua vita, in ordine cronologico. Un po' come Stanley Kubrick raccoglieva le informazioni biografiche su Napoleone. Lo so, il paragone è ignobile, ma io a lui pensavo mentre lo facevo.

Dal 2019 il “Del Shannon Car Show” a Coopersville cambia nome e diventa semplicemente “Coopersville Car Show & Summerfest”. Alla base di questa decisione pare ci siano stati degli screzi con i familiari. Non ho mai saputo se questa sia stata una scelta dei figli o della seconda moglie. Ma di fatto è un altro passo verso l'oblio.
Nel 1999 Del Shannon viene inserito nella “Rock and Roll Hall of Fame”, ma a parte questo oggi la sua è una stella sfocata. Sono veramente pochi quelli che lo ricordano. Neanche la cover band ufficiale fondata da James Popenhagen riesce ad avere il successo che meriterebbe nei suoi tour in America e in quello più recente in giro per i club per anziani qui in Gran Bretagna (ovviamente organizzati da N.). Col tempo, inoltre, il titolo ha rimpiazzato il nome dell'uomo, risultando in una tragica sineddoche che ha sostituito Del Shannon con “Runaway”.
Ho la sensazione che la grande creazione abbia ucciso il suo creatore. Cercando di evitare il paragone-cliché con il mostro di Frankenstein, azzardo a un paragone ancora più esagerato: il destino di Marie Curie, che vinse il Nobel per le sue scoperte di radio e polonio per poi morire anni dopo come conseguenza delle radiazioni.

È vero, mi ero ripromesso di non scrivere mai più su Chuck Westover, ma recentemente ho visto una vecchia intervista televisiva a Gianni Rodari, che spiegava a un gruppetto di bambini che bisogna scrivere solo quando la mano comincia a tremare per il bisogno. Ecco, la mano ha cominciato a tremarmi e, appurato che non fosse artrite o parkinson, ho deciso di raccontare questa storia.

Torno a casa, lasciandomi alle spalle l'albero piantato in memoria di J.

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