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Angelo Palumbo

Docente, scrittore e presidente Movimento Onda

La scuola al centro degli interessi spiccioli di tutti muore.

“Aprila la scuola”. 
“Chiudi la scuola”. 
“Viva la Dad”. 
“Abbasso la Dad”.
“Non bastavano i tre mesi di vacanza, ora ci voleva pure la didattica a distanza per non farli lavorare”, “i docenti e tutti i dipendenti pubblici sono privilegiati”.
Questi luoghi comuni potrebbero continuare all’infinito.
La scuola al centro! Sì, ma di cosa se non degli interessi spiccioli di tutti? 
Realmente dell’istituzione scuola, oggi, in Italia, a chi interessa? 
Questo mondo pieno di contraddizioni, a partire dalla normativa che lo regola, a chi sta veramente a cuore? 
Al legislatore? Ora più che mai, credo poco o nulla (è usato come una pedina di una partita a dama intrisa di tattica, ma senza strategia). 
Alle famiglie? Forse, ma in modo egoistico al limite del narcisismo (la scuola deve andare incontro alle esigenze familiari e ogni singolo ragazzetto deve essere il centro dell’universo, mentre il docente viene schiacciato dalla responsabile dell’errore, che ormai va molto oltre l’ansia da prestazione, ma diventa un’ansia generalizzata, un’ansia da perfezione). 
Allora sta a cuore agli operatori che ci lavorano, alla comunità scolastica? Probabilmente sì (non a tutti, ovviamente), ma in modo quantomeno autolesionistico al limite del masochismo puro. 
Ah, una piccola digressione: su quest’ultimo punto, cara vox populi, non venire a frantumarci con la storia della professionalità e dello spirito di servizio, perché, purtroppo, chi lavora a scuola va molto oltre tutto ciò, e per questo finisce per diventare parte del problema. 
Con l’emergenza sanitaria, le contraddizioni interne ed esterne che la traballante istituzione educativa italiana si porta dietro da lustri sono deflagrate. Ovviamente come può essere potente una gattopardesca bomba carta. 
Il Covid sta accelerando il disvelamento delle falle presenti nel sistema capitalistico per mostrare, attraverso la crisi del sistema scolastico e sanitario, i piedi fragili del gigante di argilla che abbiamo creduto l’unico Dio, a partire dagli anni ’80 del secolo scorso.
Fuori dai denti, la scuola non ha alcuna autorevolezza, è vista come servizio di baby sitting dovuto dallo Stato a coloro che producono “veramente”, e contemporaneamente è trattata e spesso gestita come una sorta di azienda di serie C che genera un poco di indotto, il che non fa mai male.
Avevamo in questi mesi l’opportunità, che ogni crisi offre, per quanto drammatica possa essere, di rimettere in piedi l’istruzione, invece l’abbiamo ridotta ancor di più a pedina da sacrificare sullo scacchiere politico. È stata ridotta ad ultima delle istituzioni pubbliche. Si poteva, e forse si può ancora, fare altro per andare oltre. 
L’Italia deve, e sottolineo deve, mettere al centro l’essere, e, di conseguenza, l’istituto in cui l’essere si forma. È impensabile, già nella quotidianità, prendersi cura degli alunni in classi spesso fatiscenti, in cui siedono tra i venti ed i trenta alunni, con scuole perennemente sotto organico e spesso senza il minimo indispensabile per assicurare una didattica (e non solo) dignitosa. Figuriamoci con una pandemia in corso!
È a questo punto che sopraggiunge la resilienza del sistema e la “vocazione” da “missionari” degli operatori scolastici, che a volte rasentano il delirio mistico. In nome della professionalità (riconosciuta da questo Stato con uno stipendio degno della considerazione di cui godono i docenti), dell’empatia, della didattica, di quella strana energia di cui dispone il popolo italico in emergenza, i lavoratori della scuola, con la loro forza e dedizione, coprono alla grande le falle del sistema. Scendono nell’arena per il bene dei loro ragazzi. In pratica un cane che si morde la coda. Nulla cambia.

Questo si è provato a fare anche in epoca di Covid, almeno sino ad ora, perché dal Cielo empireo di Viale Trastevere sono arrivate direttive che andavano dall’armiamoci ed andate, all’arrangiatevi. E gran parte dei docenti era ed è intenzionata ad arrangiarsi pure ora. 
E no, “mò basta!” cantava il grandissimo Pino, veramente basta.
La scuola non può essere più mal-trattata in questo modo, ha bisogno di una rinnovata dignità, che passa, necessariamente, da una rifondazione da attuare ora per essere pronti nel dopo Covid. Basterebbe iniziare ad equiparare l’organico di diritto con quello di fatto (assumere il personale che serve), un forte investimento nell’edilizia scolastica, assicurare aule da massimo quindici alunni, equiparare gli stipendi agli standard europei, riconoscere tutto il lavoro sommerso che si fa nelle scuole, non fosse altro per fornire all’opinione pubblica una narrazione diversa, più vicina al reale, in modo da provare a restituire un poco di dignità sottratta dal sistema attuale all’agenzia educativa per eccellenza ed ai suoi lavoratori che hanno bisogno di vedersi restituita quella autorevolezza che possa permettergli di coltivare al meglio i nostri ragazzi. I docenti, che non sono dei dipendenti statali qualunque (con tutto il rispetto per altre categorie pubbliche), dovrebbero preparare, senza retorica o demagogia, il futuro del paese : questione che non ha a che vedere con fatti amministrativi , procedurali, ma culturali e, quindi, di sostanza.
Insomma è giunto il momento di posizionare al centro la scuola, ma, questa volta, veramente.
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