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Mari Miceli

Avvocato e autrice di pubblicazioni scientifiche

La Sicilia e il caso dei dati falsati sul Covid

Pochi giorni addietro è stata data la notizia dei dati falsati sul Covid19 in Sicilia per tenere a bada, almeno dal punto di vista 'contabile', il fenomeno e i provvedimenti conseguenti, evitando le restrizioni della zona rossa. Tre gli arrestati e altri tre indagati tra cui l'assessore alla Salute, Ruggero Razza che si è dimesso pur respingendo le accuse.
Da lì a poco è partita la grancassa mediatica e giustizialista. 
La presunta falsificazione dei dati commessa da dirigenti e politici regionali sembrerebbe aver evitato l’istituzione della zona rossa. 
Come sappiamo la misura si reputa necessaria ed inderogabile, per evitare l’incontrollabile propagazione epidemica del Covid19.
La zona rossa non è stata istituita e il virus non si è diffuso in modo incontrollabile, tanto che fino a 15 giorni fa in Sicilia potenzialmente poteva essere istituita la zona bianca. Le terapie intensive si sono via via svuotate, e questo appare un fatto incontrovertibile che non dipende certamente dai dati comunicati.  
Recentemente Ilaria Capua, nota virologa internazionale ha dichiarato che:
Avverrà la transizione da emergenza pandemica a quella epidemica e impareremo a convivere con il virus anche senza vederlo, avremo dei cluster di mortalità qua e là, ma non sarà un problema. E forse non ve ne rendete conto, ma tantissimi di voi, giustificando l’inoculazione del vaccino che avrebbe causato (uso il condizionale, come sempre, io) alcune morti, avete sostenuto che: cosa sono questi pochi morti a fronte del numero elevato che il virus causa. Poi però siete pronti ad indignarvi per lo stralcio di un’intercettazione (il cui uso in questa fase dovrebbe realmente indignarvi e noto con dolore che ancora non lo fa) dove si dice “spalmiamo i morti”. Da ciò deduco che l’uso della parola morti indigna per contesto e per interlocuzione".
Cosa vuol dire tutto ciò?
Vuol dire che sicuramente se il politico di un tempo doveva «imparare a mentire», come consigliava Niccolò Machiavelli, oggi il politico (ma in generale ogni parlante pubblico) deve imparare a dire la verità, ossia a fronteggiare il fatto che è diventato più facile smascherare le sue menzogne e le sue mezze verità ideologiche, e denunciare i suoi colpevoli silenzi.
Dall'altra parte serve una comunicazione mediatica che non miri alla spettacolarizzazione, alla gogna e al giustizialismo.

Ciò che è avvenuto in Sicilia è a dir poco imbarazzante da un lato, e dimostra - ancora una volta - come non si sia risparmiato il populismo giudiziario, oltre alla abituale ignoranza del diritto di gran parte della stampa giudiziaria.

È ormai quasi consuetudine rinvenire all'interno dei giornali, stralci delle trascrizioni delle indagini preliminari, in spregio alle più basilari regole che dovrebbero tutelarne la riservatezza, e più in generale del troppo spesso invocato, ma scarsamente attuato, diritto costituzionale di difesa.
La gogna mediatica non va per il sottile e si è tutti giustizialisti con i nostri nemici e garantisti con gli amici.
Non spetta a noi fare chiarezza sui fatti ma certamente qualcosa si può dire, in nome della verità e rispetto per la stessa Sicilia.
L’inchiesta sulla - ricordiamolo - presunta alterazione dei dati della pandemia in Sicilia è in mano all’autorità giudiziaria di cui rispetto profondamente il lavoro e su cui nutro fiducia. Da un punto di vista politico è chiaro come a tutti i cittadini sia dovuta la massima chiarezza e trasparenza da parte di chi è coinvolto nelle indagini e occupa ruoli pubblici. 

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