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Paolo De Martino

Attiovista - Redazione Resistenza Civile

La Storia non ci assolverà – Riflessioni a vent’anni da Genova 2001

Avevamo ragione noi? 
Sull’ambiente, sulle disuguaglianze, sul potere delle multinazionali, sulla democrazia partecipata, su tutta la linea avevamo ragione noi. Quanto ci aveva visto lungo quel movimento, fatto di associazioni, collettivi, singoli e anche di militanti di partito. Ma da quella piazza fummo cacciati, brutalmente, prima a Napoli e poi a Genova. Non erano solo manifestazioni.

Nei mesi precedenti c'eravamo incontrati nelle sedi di partito, nei centri sociali, nelle parrocchie. Avevamo discusso, elaborato proposte, ci sentivamo parte di qualcosa che stava accadendo e che stavolta poteva succedere. Comunisti, socialisti, democratici, ambientalisti e cattolici insieme per una stagione di rinnovamento. 

Tutti avevamo messo da parte le ideologie sostituendole con i temi, le idee e la solidarietà sociale. Avevamo previsto i rischi del sistema economico, eravamo quelli delle speranze di chi costruisce l’alternativa e ci fu scagliato addosso la violenza di di manganellate cieche e sorde. 

Se ne parla in questi giorni sui social, con incontri, convegni e dibattiti su quanto è successo in quei giorni e su quanto è rimasto del sogno di “un altro mondo possibile”, ideale del popolo no-global. Non sarà un selfie o un post che metterà a posto i pezzi. Manco questo pezzo che sto scrivendo. Abbiamo fallito. Abbiamo sbagliato a non reagire quando una generazione è stata stuprata. Ci siamo divisi. 

C’è chi ha fatto carriera politica rinnegando quei valori e spianando la propria strada, diventando parlamentare, sindaco, assessore, esperto di comunicazione o uomo e donna di potere; 
Chi, invece, combatte ancora militando in movimenti e partiti che non compaiono nemmeno nei sondaggi; 
Chi si è rintanato nel suo mondo alla ricerca di altri valori; 
Chi ha messo su realtà associative o imprese nel settore del sociale, rispettando valori ed etica ma in maniera autoreferenziale; 
Chi ha dovuto fare la sua lotta personale per emanciparsi in una società sempre più capitalista e vive ancora da precario. 
Siamo divisi. 

Da movimento globale collettivo ci siamo frazionati in tanti piccoli satelliti che fanno battaglie senza fidarsi del compagno. Siamo diventati individualisti. 
La società in questi vent’anni è cambiata e noi insieme ad essa. Siamo stati travolti dalla tecnologia e abbiamo sostituito le nostre parole d’ordine. Nel ventennio che ha decretato la fine delle grandi narrazioni, sancito l’affermarsi dell’era dei social network e avviato il cambio epocale verso la società 4.0, sono cambiati i valori, gli atteggiamenti, le pulsioni, i sogni e le paure della generazione-Genova. 

Quel movimento, oggi, nel ventennale si risveglia affaticato, rabbioso, rallentato, ma anche desideroso di cambiamenti, alla ricerca di un’ipotesi di futuro, di una nuova narrazione di se stesso. Siamo nel bel mezzo di un interregno tra ieri e domani, tra non più e non ancora. È nel cuore di un meticciato di valori e opinioni, in cui convivono pulsioni differenti e antitetiche. Un amalgama scivoloso in cui agli elementi del passato si sovrappongono, senza affermarsi nettamente, ma mescolandosi o meglio impastandosi, con le nuove spinte trasformative della contemporaneità. Nuovo e vecchio non si colorano, la zona grigia è sempre predominante. Ci hanno imposto un ordine nuovo e noi lo abbiamo accettato. Siamo vittime e carnefici. Qualcuno ha scritto che abbiamo perso la verginità quella notte a Bolzaneto. È vero. Poi ci siamo accorti che siamo morti tutti, insieme a Carlo, che invece di rendere sacrificale la sua morte per il cambiamento, l’abbiamo sacrificata e ci siamo rassegnati. Carlo non rivivrà se prima non rinasciamo noi. Non abbiamo saputo reagire ad uno Stato che non solo ci ha massacrato di botte ma che per decenni ha nascosto la verità. Non ne siamo ancora capaci. 
Nel nostro paese ci sono tante cose ancora in sospeso come gli anni ‘70, le stragi di Mafia e Tangentopoli. Ma con Genova è diverso. Noi eravamo lì, facevamo parte di quell’onda, eravamo protagonisti. La verità la conosciamo. 

Ma questa volta la storia non ci assolverà. A meno che la nostra generazione non si metta a disposizione di quelli che a Genova non c’erano perché avevano poco meno di dieci anni. Se continueremo ad isolarci nelle nostre singole battaglie, non ci sarà un rinnovamento e noi saremo solo dei vecchi che hanno accarezzato un sogno. Ma non basta per farci sentire migliori. 

A vedere oggi il mondo, l’Italia e le nostre città nulla è cambiato, anzi siamo peggiorati. Tante questioni aperte, dal clima alle migrazioni, dai profitti delle multinazionali alla fame di milioni di persone. La giustizia che reclamavamo in quei giorni non c’è ancora. Lo testimonia anche il periodo che viviamo. La salute non è per tutti i Paesi. 

Però, in questi anni, abbiamo visto la crescita e l’imporsi del valore dell’ambiente, accompagnato all’affermarsi sempre più netto del valore della scienza; l’evolversi della spinta sui diritti civili e il lento allontanarsi dai dettami della Chiesa cattolica. Si tratta di avviamenti verso nuovi percorsi, che lasciano le vecchie formule politiche di comunicazione. 
Dall’altro lato, siamo testimoni di segnali di indisponibilità, di chiusure di una classe dirigente obsoleta, che in parte sta ancora al comando ed è la stessa che ha permesso o è stata in silenzio quando in Italia la democrazia è stata soppressa nell’estate del 2001. 

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