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Paolo De Martino

Redazione Resistenza Civile

Le mani della camorra sulla città

La camorra a Napoli spara in pieno giorno. Cresce l’atteggiamento camorristico per cui la città “è mia e faccio ciò che voglio”. Di solito non mi piace essere allarmista, ma il mese di giugno mi ha colpito per una serie di eventi assurdi che, quasi ogni giorno, sono avvenuti in città e in provincia. 

6 giugno, un boss della camorra, posto agli arresti domiciliari approfitta di una licenza premio per la comunione del figlio e blocca il centro di Arzano per sfilare con una Ferrari. Il fatto viene denunciato dal senatore Sandro Ruotolo che evidenzia l’atteggiamento camorristico che caratterizza la vicenda. 

6 giugno, nel centro di Napoli un uomo viene sparato. Il ferito sostiene di essere stato vittima di una rapina ma le forze dell’ordine indagano per un presunto regolamento di conti. 

11 giugno, agguato di camorra a Miano. Due sicari feriscono un uomo di 38 anni. Per gli inquirenti è un regolamento di conti. 

15 giugno, nel quartiere di Pianura vengono esplosi 13 colpi di arma da fuoco su abitazioni e negozi. 

16 giugno, due uomini vengono sparati in pieno giorno tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli. Uno di loro è in coma: i killer hanno sbagliato obiettivo. Sui social è stato fatto un appello del figlio per salvare il padre che versa in condizioni critiche all’ospedale. 

16 giugno, a San Giovanni a Teduccio degli uomini rubano un’ambulanza per trasportare un parente in ospedale.  

17 giugno, una donna, mentre si trova su un terrazzo, viene colpita alla schiena da un proiettile. 

18 giugno, un ragazzo di 17 anni viene colpito da diversi colpi di arma da fuoco a Boscoreale.  

19 giugno, un’ambulanza interviene per un’emergenza al Vomero e i sanitari vengono picchiati e minacciati con una pistola. 

20 giugno, in piena mattinata un uomo viene sparato nel suo negozio di frutta e verdura. Si pensa a un regolamento di conti. 

23 giugno a Miano un uomo viene colpito alla testa con due colpi d’arma da fuoco in pieno giorno in un quartiere di Napoli. 

23 giugno, una lite per un parcheggio a Fuorigrotta, in quartiere napoletano, finisce a sprangate in testa la vittima, rea di aver chiesto di spostare l’auto. 

23 giugno, violenta rissa nel quartiere Vasto di Napoli. Un territorio che diventa sempre più un campo minato. 

24 giugno, il sindaco di Quarto e un giornalista vengono attenzionati dalla camorra con messaggi inquietanti. 

25 giugno, un uomo con precedenti penali viene gambizzato per strada, davanti agli occhi di molti passanti. 

26 giugno, due ragazzi a Capodimonte si accoltellano, decine i giovani e le famiglie presenti ma non si comprende la dinamica, né il movente. 
 
Diverse sono state le denunce dell’associazione Nessuno tocchi Ippocrate per violenze e minacce negli ospedali napoletani ai danni dei sanitari. Questa delle aggressioni al personale medico pare sia diventata una vera e propria piaga. Certo, in molti casi non è riconducibile a esponenti di clan, ma si tratta comunque di un tipico comportamento camorristico. 

In tutto questo clima di tensione c’è una signora, con numerosi precedenti penali, divenuta famosa grazie a TikTok che effettua decine di concerti abusivi in tutta Napoli e provincia. La donna in questione girò un video che divenne virale mentre prendeva in giro i vigili urbani che avevano sanzionato il marito perché sprovvisto di assicurazione sull’auto. Questo atteggiamento in città è frequente, magari non ha nulla a che vedere con la camorra, ma si tratta di prevaricazioni e abusi che evidenziano una scarsa capacità di controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine, che consentano, a qualsiasi ora e in qualsiasi luogo, che vengano realizzati spettacoli senza una minima autorizzazione.
 
La storia che la camorra non ci appartiene non è più narrabile. Siamo tutti coinvolti quando compriamo l’erba, la droga dai pusher “amici” o quando contattiamo qualcuno per il cavallo di ritorno, cioè ricorrendo alla pratica di pagare qualcuno per avere indietro l’auto o la moto rubata. La camorra non è solo chi spara, chi chiede il pizzo o commette reati, la camorra è una mentalità. 

Anche nei mesi precedenti, a Napoli ci sono stati segnali con cui la camorra è tornata a farsi sentire in maniere predominante. A maggio scoppiò una bomba in un negozio nel quartiere dei Colli Aminei. Il presidente della municipalità, Ivo Poggiani, in quell’occasione parlò “di un possibile attentato di camorra”. Infatti i proprietari del negozio qualche giorno prima dell’esplosione avevano denunciato l'incendio doloso della loro automobile. Dopo qualche giorno, ci fu una manifestazione di cittadini e associazioni per rivendicare sicurezza in cui oltre a Poggiani erano presenti altri rappresentanti delle istituzioni. Ma non bastano le manifestazioni. 

Nell’ultima relazione semestrale della Dia sulla geografia criminale a Napoli e provincia emerge che il fenomeno camorristico è in continua trasformazione e “che si sviluppa principalmente su due livelli: uno superiore, all’interno del quale trovano posto le famiglie storiche, che hanno grande incidenza sulla vita politica, sociale ed economica dell’intera regione, e uno inferiore, dove si collocano i gruppi minori meno strutturati, ma che restano fondamentali per il controllo delle attività illecite sui territori”. È un dato nuovo rispetto alle precedenti relazioni. Evidenzia che prima le famiglie storiche di camorra avevano in qualche modo il controllo della città, invece pare che questo sia stato abdicato a favore di singoli gruppi in ogni quartiere, per lo più gestiti da giovani in cerca di soldi e prestigio; quindi senza scrupoli e senza una vera organizzazione, facendo aumentare atti di violenza e richieste di estorsioni. Queste vicende però già erano evidenti in città circa sei anni fa con l'escalation della cosiddetta paranza dei bambini che aveva anche un leader divenuto un simbolo per la nuova generazione di camorristi: ES17, al secolo Emanuele Sibillo.

Il baby boss, quando venne ucciso, aveva 20 anni e aveva all’attivo già numerosi precedenti penali, il caso più eclatante, quando fu trovato in possesso di diverse armi a soli 15 anni. 

Emanuele Sibillo non aveva avuto una vita facile, da minorenne, prima di finire a Nisida presso il carcere minorile, fu destinato a diverse case famiglia, un percorso che sembrava potesse avviarlo a una conclusione positiva, invece qualcosa di più grande di lui stava avvenendo: stava diventando il boss poi giovane del quartiere.

Ho conosciuto gli operatori che lavoravano nella casa famiglia dove Emanuele fu assegnato e lo hanno sempre descritto come un ragazzo in gamba ma condizionato pesantemente dall’ambiente di origine a cui era ancora legato. La sua morte, la scelta di essere un boss nonostante la sua giovane età, è un fallimento della società, di Napoli che non ha saputo, tramite tutte le sue istituzioni, recuperare un bravo guaglione. Emanuele è ancora un mito per i tanti giovani sodali della camorra ma la narrazione deve cambiare, le azioni devono cambiare. Questi ragazzi devono essere recuperati non condannati al loro destino liquidandoli con un “hanno scelto la loro strada”. Si può e si deve provare a mettere in piedi una vera e propria task force sociale che vada dalla scuola, ai centri giovanili e alle tante realtà territoriali positive che conosco bene i quartieri e i loro giovani. 

La criminalità, la violenza, l’arroganza camorristica, sono questioni che riguardano tutti e non ha colori politici. Ma sembra che questo argomento non venga preso in considerazione nella campagna elettorale napoletana. 

I leader nazionali che stanno intervenendo a sostegno dei candidati a sindaco preferiscono il cliché della pizza e delle passeggiate nei vicoli della città con tanto di foto ricordo con i presepi, anziché portare all’attenzione le vere problematiche.

Intanto, la camorra spara, minaccia e cresce. Sembra che a questo dobbiamo abituarci e conviverci come disse un politico forzista, per l’esattezza l’allora ministro Lunardi. Pare che lo stato abbia allentato la presa sul tema camorra a Napoli e di tanto in tanto faccia operazioni di facciata come quella di inviare i militari per strada che non hanno funzionato né come deterrente né in prospettiva. 

Il fenomeno malavitoso va aggredito tramite la magistratura sicuramente, ma anche dal punto di vista culturale. È vero che i sindaci non hanno potere su questioni legate alla pubblica sicurezza ma il comune può intervenire in diversi modi: diventa essenziale investire risorse e progetti nelle scuole; sostenere le associazioni di quartiere; rigenerare l’urbanistica e ridare gli spazi ai cittadini; aiutare i commercianti vessati dalle estorsioni dove denunciare, molto spesso, diventa più pericoloso che pagare il pizzo, perché poi si resta soli. 

Sconfiggere la camorra passa soprattutto attraverso il recupero dei giovani, i vecchi hanno già le mani sulla città. 


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