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Elena Hileg Iannuzzi

Laureata in Storia

Attivista, esperta in sistemi di empowerment sociale e rigenerazione urbana.

La tassa, la successione e la secessione populista

Il banchiere prestato alla politica Draghi, in perfetto stile populista, risponde “È il momento di dare e non quello di prendere dai cittadini" a Letta, autore di una proposta di reinserimento di una maggiorazione dell'imposta di successione, abolita a suo tempo dal milionario piduista Berlusconi in perfetto conflitto di interessi.

Si apre il sipario sull'ennesimo spettacolo del "populismo all'italiana" che dilaga a destra e a manca (soprattutto quella che manca) nella polemica tra un Presidente del Consiglio capace di alta demagogia (come definire la transazione ideologica da "capitale" a "cittadinanza"?) e il segretario del PD, che declina una mite proposta fiscale (basterebbe allinearsi agli States, notoriamente patria di un capitalismo selvaggio, per fare di meglio di quanto non sia oggi in Italia) in forma anch'essa populista: togliere ai ricchi per dare...ai giovani "una dote".

Nella querelle mediaticamente consumata ben fuori da una ipotesi di "conflitto dentro il Governo" di unità nazionale, nessuno o quasi però si interroga sulla reale essenza della proposta di Letta, solo apparentemente progressista.

L’idea del segretario del PD di offrire ai giovani “svantaggiati” una “dote” da tirar fuori dalla tassa di successione dimostra, infatti, una lontananza progettuale e anche culturale rispetto ad una visione di sinistra della società, caratterizzata da due archetipi ideologici, la giustizia sociale e l'uguaglianza sociale. 

Una visione che risolve, invece di esacerbare, i conflitti di classe, di genere e anche generazionali, e che dà una risposta universalistica e generalizzata ai bisogni sociali. Insomma che non si risolve in ricette corporative di tutela di segmenti della società messi in concorrenza tra loro nella spartizione delle risorse, ma è capace di proporsi politiche di indirizzo per l'intera società, di mobilitarne lo sviluppo, e con ciò di affrontare le enormi questioni della scuola, della precarietà del lavoro (non solo giovanile), della povertà e del divario sociale nella prospettiva comune del collettivo.

E così mentre il gettito di questa imposta sulla successione (destinata a raggiungere i ricchissimi) potrebbe essere destinato a migliotare la scuola pubblica (per tutti), a investire sull'università gratuita (una proposta che non ha scandalizzato nemmeno Sanders e Grasso), o a migliorare il reddito di cittadinanza che non garantisce oggi che la sopravvivenza in povertà, o ancora a politiche abitative che favoroscano nuclei famigliari in condizione di degrado materiale e psicologico, ecco che il provvedimento invece non solo non fa i conti con il problema sociale della povertà, riducendolo demagogicamente a questione generazionale (con il risultato di blandire un consenso giovanile, senza scalfire le condizioni di riproduzione del divario socio-economico, che nell'ereditarietà della ricchezza trova la cartina di tornasole) ma si indirizza invece all'esaltazione dell'individualismo insita nell'idea di "dote" (un sistema redistributivo di marca medioevale, che le donne ben conoscono nelle sue accezioni più conservatrici della gerarchia sociale) da assegnare ai singoli, non si capisce poi con quali criteri qualitativi e quantitativi di distribuzione, se non la speranza che crepi l'avarizia.

Verrebbe da pensare in certi termini, che "l'autonomia del politico" del bel tempo che fu, si sia tradotta in una vera e propria "secessione". 
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