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Maurizio Petroni

Storico spreaker podcaster naufrago nella politica

Mattarella e la sorte della politica italiana

La rielezione di Sergio Mattarella al Quirinale non è una buona notizia. Non del tutto, almeno.

Dire una cosa del genere dopo queste giornate in cui sono stati fatti dei nomi impresentabili per la massima carica dello Stato (da Berlusconi a Casellati passando per Moratti e Pera) potrebbe essere interpretata facilmente come l'ennesimo sfogo della "sinistra mai contenta che sa dire solo dei No".

Ma attenzione, qui non si discute la persona Sergio Mattarella, tanto meno la sua competenza e nemmeno il suo (primo) settennato su cui ognuno può avere i suoi giudizi, ma è innegabile che sia una delle figure politiche più amate e popolari del Paese, forse il più gradito in assoluto.

 

Qua il concetto è estremamente semplice. Per la seconda volta viene rieletto il Capo dello Stato uscente, seppure in circostanze diverse rispetto al Napolitano-bis del 2013. Le ragioni per cui questa scelta sia una forzatura costituzionale non sono opinione di chi scrive, ma parole ripetute in varie forme e a più riprese dallo stesso Sergio Mattarella che ha ricordato reiterate volte quanto non volesse considerare un suo ritorno al Colle.

Nella crisi politica che investe l'Italia da quasi vent'anni abbiamo visto quanto il ruolo del Presidente della Repubblica sia diventato sempre più centrale e abbia assunto sempre più peso nella la direzione politica del Paese.

Facciamo tre esempi abbastanza vicini? Nel 2011 le dimissioni di Berlusconi giunsero al termine di una pressione costante delle autorità europee, compresa la BCE del tandem Trichet-Draghi. Ma fu determinante il ruolo del presidente Giorgio Napolitano per giungere alla sciagurata formazione del Governo Monti.

Dieci anni dopo Mattarella al culmine della crisi del Conte2 fece uno dei suoi moniti più rigidi e duri alla politica di fatto imponendo la nascita dell'attuale Governo Draghi invece di sciogliere le camere.

Ma c'è anche la scelta dei ministri che deve passare il vaglio del Capo dello Stato. Ricordate quando nel 2018 fummo vicini alla guerra civile perché Mattarella non diede il "via libera" a un Governo con Paolo Savona ministro dell'economia? A prescindere dai giudizi che si possono avere su Savona, quella fu una scelta che ebbe un peso sulla politica economica del nostro Paese.

 

Tutto questo è legittimo, fa parte dei poteri costituzionali di cui dispone il Presidente della Repubblica. Nessun golpe, nessuna dittatura.

Ma sono poteri importanti e tenerli nelle stesse mani per quattordici anni è potenzialmente pericoloso e con la rielezione di Mattarella si è fatta "regola" quella che nove anni fa doveva essere un'eccezione.

 

Tutte queste cose Sergio Mattarella le sa meglio di tutti noi, le ha dette e ripetute.

Ho sognato per pochi minuti che dicesse ai partiti qualcosa tipo: "Io vi avevo avvertito. E vi ripeto che non sono disponibile". Non è successo, ha accettato e, per quanto ormai me lo aspettassi, sono rimasto un po' deluso, anche se è facile capire i motivi del suo Sì al bis.

Evidentemente ha avuto l'impressione che fossimo nel caos più totale e che se si fosse negato saremmo ancora in alto mare.

Ma come è successo che tra milioni di italiani l'unico che si potesse eleggere era l'unico che a parole chiare aveva detto di non voler essere eletto?

 

La risposta più evidente è che abbiamo avuto la dimostrazione plastica del fallimento totale dell'intero sistema dei partiti politici e delle loro leadership. Si è visto nitidamente quanto era chiaro da tempo: assenza di cultura politica, faide interne di correnti legate più a personalismi che a idee, commistione di faccende distinte: la prosecuzione della legislatura con Draghi e l'elezione del Capo dello Stato. A più riprese si è ripetuto "Stabilità, stabilità, stabilità". Qualunque cosa voglia dire è stato un imprinting illegittimo sulla scelta del Presidente.

Si è, inoltre, attestato come anche i "grandi vecchi" della politica (quelli di una certa statura, fuori dai giri del potere e che riemergono in tempo di elezioni al Quirinale) siano scomparsi. L'unica figura politica che ha avuto concrete possibilità di salire al Colle con largo assenso è stato Pierferdinando Casini, in mezzo a un mare di tecnici, spinti da un vento qualunquista per cui i tecnici competenti sono sempre e comunque migliori dei politici.

C'è, infine, una questione legata all'informazione e ai media che non sottovaluterei. Ormai la politica è un Grande Fratello, in cui si monitorano i singoli passi dei leader, tutto è seguito, studiato, discusso e dibattuto. La pressione si è fatta altissima alimentando un malcontento nel Paese, per cui bisognava "chiudere in fretta". Ben venga, ma siamo giunti a otto votazioni; per Pertini ce ne vollero il doppio (e non andò poi così male). Anche questo bombardamento di informazioni ha generato un'atmosfera tale da influenzare l'esito? A voi il giudizio.

 

Ora è il tempo della conta di morti e feriti tra le forze politiche che sabato hanno accolto con giubilo la rielezione di un Capo dello Stato per la seconda volta. Un fallimento della politica, un pessimo segnale, a prescindere dal nome dell'inquilino del Quirinale. Tra le varie fazioni probabilmente la scelta di Mattarella era la prima per pochissimi (tra cui quelli che volevano il suo impeachment quattro anni fa, come si cambia per non morire). Ma, assieme a Draghi, era il convitato di pietra dall'inizio, una scelta che nessuno ha voluto evitare. Una sorta di Titanic in cui l’equipaggio si è detto: «Noi andiamo dritti. Se poi spunta un iceberg pazienza». Se poi l'unica a salire sulla scialuppa di salvataggio sia stata Giorgia Meloni non è dato saperlo, ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che questo rischio c'è.

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