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Paolo De Martino

Oggi celebrare l'unità nazionale equivale ancora a dire “onorare una storia comune”? 

Io non sono uno di quelli che è andato via dall’Italia perché odia il suo paese. Anzi, io lo amo con tutte le sue contraddizioni. La mia lontananza è dettata solo da questioni di lavoro. Certo, avrei preferito restare nel mio territorio, ma bisogna cogliere le opportunità. 
Quando capita, spesso, una discussione con i colleghi di lavoro circa l’Italia e vengono fuori i soliti luoghi comuni, provo a non incazzarmi e racconto fiero la mia Italia. Quella fatta di giovani del servizio civile che in migliaia ogni giorno praticano solidarietà, delle altre migliaia di giovani che lo fanno nella più totale gratuità. Racconto anche dei docenti che in alcune zone dei quartieri di periferia, si inventano ogni giorno tra tante difficoltà, un modo nuovo per coinvolgere i giovani allo studio, soprattutto in questo periodo. Come del resto, l’abnegazione del personale medico per la lotta al COVID. 

Fiero racconto dei tanti militanti politici che dentro e fuori le istituzioni italiane cercano di scardinare un sistema vecchio e pesante. Proprio oggi, ricorrono 20 anni da una delle più grandi manifestazioni svoltesi a Napoli. Il 17 marzo non è una data qualunque per la città partenopea: nel 2001 la città ospitava, praticamente per la prima volta in Italia, il Movimento No-Global, scatenando una reazione spropositata delle Forze dell’Ordine che ben preannunciava cosa sarebbe successo nel luglio di quello stesso anno a Genova. Quel movimento era ricco di idee, di passione, si era pronti per il cambiamento, lo reclamavamo. L’esperienza a cui si faceva riferimento in quel periodo era quella del social forum di Porto Alegre che si svolse a gennaio del 2001. E l’Italia aveva risposto in maniera massiccia a questo richiamo internazionale. Ma quel movimento è morto a Genova insieme alla speranza di tanti. E penso ai ragazzi di “ammazzateci tutti”, il movimento che fu battezzato dai media “i ragazzi della locride”. L’iniziativa fu replicata in tutta Italia. Il movimento ha subito anche strumentalizzazioni, non è riuscito mai veramente ad imporsi. Ogni tempo ha avuto la sua meglio gioventù italiana, ma spesso è stata affondata. 
L’Italia che racconto all’estero è quella di un paese vivo che ogni giorno reagisce. “Si, ma il governo fa schifo!”. È la risposta che mi sento dire ogni volta che provo a raccontare un’Italia diversa dalla pizza e dal buon cibo. È già pesante essere fuori dalla propria terra e subire ancora la storia degli stereotipi diventa insopportabile. 
Nessuna risatina sarcastica e tantomeno commenti ridicoli scardinano l’amore viscerale che nutro per il mio paese. 
Spesso mio figlio che vive a Belgrado, mi chiede quando torneremo in Italia. Ogni volta la sua domanda mi mette in crisi e mi fa riflettere. 
Stamattina mi ha chiamato dicendo: “papà oggi compleanno Italia” - “Chi te lo ha detto?”- gli ho chiesto- “Mamma”- mi ha risposto. 
Da segnalare che mia moglie è straniera e anche lei è innamorata dell’Italia e ogni giorno studia per migliorare la lingua. Si, perché l’Italia è amata anche da tanti stranieri che vivono il nostro bel paese. Samoke è un ragazzo della Costa D’Avorio che è arrivato nel 2016 in Italia e lui da sempre lavora e paga le tasse. Gli piace stare in Italia, ma ha solo un problema, da 5 anni aspetta una risposta per ottenere un permesso di soggiorno. Come lui ci sono tanti non italiani che amano il nostro paese, ci vivono, vanno a scuola, lavorano ma non hanno i nostri stessi diritti. 
L’Italia è amata da tutto il mondo, è stata da sempre meta di viaggi e pellegrinaggi, anche da parte di artisti e scrittori, da Goethe a Lord Byron, passando per James Joyce e altri. 
Oggi la nostra storia di paese unito compie 160 anni, tanti ma forse pochi per essere una repubblica. Chi conosce la storia italiana troverà più senso di appartenenza prima del fatidico referendum del ‘46 che ai nostri giorni. La politica non ha mai intrapreso un vero processo di unità e da sempre le differenze regionalistiche sono una ferita soprattutto del sud. L’unità d’Italia ha sancito l’inizio di una nuova epoca, almeno a livello simbolico. Prima di quest’ultima e secondo diverse correnti storiografiche, era palese il gap strutturale e di sviluppo economico-sociale tra nord e sud Italia. Se leggiamo gli ultimi dati dell’ISTAT, il sud è sempre più vecchio e intere cittadine si spopolano. Secondo le analisi statistiche un altro gap tra nord e sud è il lavoro e il salario, ma anche le infrastrutture. 
La storia del sud Italia, dal punto di vista del processo di trasformazione sociale, politica ed economica, non sempre è andata di pari passo con il contesto nazionale. 
Oggi celebrare l'unità nazionale equivale ancora a dire “onorare una storia comune”? 
A mio figlio non ho risposto con tutti questi dubbi, l’ho esortato a fare un disegno e a colorarlo con il verde, il bianco e il rosso, i nostri colori. 
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