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Stefania Trotta

Art Management

Sospensioni Gravitazionali di Max Coppeta 

I luoghi della cultura sono chiusi. Tutto è di nuovo avvolto come nel più ridondante silenzio. È in questo silenzio che le voci emergono.  

"Viviamo in tempi complessi, da sempre
Su un filo, sospesi, ci esibiamo
nella danza dei passi lenti
Ma è un ricordo della nostra memoria
che svanisce ogni volta
In attesa del prossimo avanzare" 
Siamo a Nola alla galleria Amira Art Gallery dell’ avv. Raffaele Avella, dove è stata inaugurata il 5 febbraio, nonostante il periodo difficile, la personale Sospensioni Gravitazionali di Max Coppeta, a cura di Cynthia Penna art1307. Purtroppo la mostra è attualmente chiusa, ma ne ho approfittato per intervistare l'artista, che ha voluto realizzare un video con la musica di Lino Cannavacciuolo, realizzato da Rosario e Leonardo Spanò, proprio per renderla visibile a chi non è riuscito a vederla.
Qualche nota sull'artista:
Un soffio. L'arte di Max Coppeta si percepisce con gli occhi, ma si scopre entrando in contatto con le sue opere, che dalla terza dimensione sembrano invitarci oltre. 
Se le sue sculture Flow, Rainmaker, Zerogravity, Strip of Wind e curve di tensione, facenti parte della ricerca Piogge Sintetiche, sembrano cullarsi in un tempo indefinito, basta un ascolto, intimo, per sentirle accordarsi perfettamente con il nostro mondo-meccanismo interno. 
Sospese tra uno spazio immateriale e una realtà corporea, si delineano sensibilmente attraverso la loro trasparenza che scatena il flusso dell'inaspettato. 
Ed è proprio in questo "inaspettato" che questi corpi scultorei, quasi perfetti, sembrano voler diventare, se non generare la performance Zerogravity. Ora i corpi sono ingombranti, permanenti, tesi, umani. Eppure sfidano la gravità e la loro imperfezione in cerca di un nuovo accogliente equilibrio. I componenti ora morbidi, come le corde e le fasce usati dai performer si sostituiscono alle loro linee rigide generatrici e diventano dei fragili ma necessari appigli a cui il corpo si affida, creando delle nuove estensioni su cui poter definire un nuovo centro, da cui ripartire. 

Hai chiamato la tua performance Zero Gravity. È un titolo interessante perché hai scelto due parole quasi opposte, semanticamente, tra loro. Partiamo da Zero, che hai scelto di usare nella sua forma letterale e non numerica. La cifra zero, in matematica, è l’unico numero reale, né positivo né negativo, che nella teoria degli insiemi, è la cardinalità dell’insieme vuoto. Ma ha anche due funzioni completamente diverse, quella di zero mediale e quella di zero operatore. Il tuo zero quale volontà contiene? 
Zero è il numero che identifica un punto di partenza. Nella matematica il numero zero è realmente una cifra nulla, non si somma e non si addiziona, ma senza di esso la matematica non potrebbe esistere, ciò che permane di questa cifra è la sua presenza simbolica. Se invece accostiamo il significato dello zero alla gravità parliamo di uno stato di sospensione, galleggiamento. I corpi perdono una delle proprietà che le caratterizza: il peso. L’assenza, il vuoto, il nulla è un luogo per connettersi con i misteri dell’universo e questo è l’accesso per miei racconti.
L’uomo nelle mie ricerche semplicemente non esiste se non come osservatore, l’universo invece basta a sè stesso. È proprio l’universo che condiziona quotidianamente il nostro vivere, le nostre azioni e le evoluzioni che ci hanno portato fino ad oggi. L’uomo non potrebbe in alcun modo modificare le leggi fisiche che regolano l’universo. Questa consapevolezza condiziona e ispira la mia ricerca in modo incessante. 

Passiamo alla parola Gravity. In fisica si parla di interazione gravitazionale per indicare la tendenza dei corpi materiali a cadere verticalmente al suolo, dovuta all’attrazione che la Terra esercita su di essi. Etimologicamente deriva dalla parola che contiene in sè svariati significati che ruotano attorno all’idea di peso, di faticoso, fino ad arrivare ai cosiddetti suoni in musica. Cos’è la gravità per te? 
La gravità non è obiettiva ma è una regola perenne e permanente, senza di essa sarebbe impossibile vivere e fare anche le cose più semplici e scontate come camminare. 
Io ho voluto piegare questa legge immutabile per farla rispondere ad improbabili soluzioni estetiche ma che aprono domande e riflessioni sulla nostra fragilità e sottomissione alla natura.
Le due parole Zero Gravity, perciò potremmo dire che contengono un principio di partenza, simile allo yin e allo yang, perfettamente sospeso in un tempo imprecisato. Potrebbe essere quello che stiamo vivendo, che abbiamo vissuto e che rivivremo. Quanto l'influenza del tempo influisce sulle tue opere e in particolare su Zerogravity? 
Il tempo regola le azioni e le suddivide in passato, presente e futuro. Ho voluto immaginare un tempo dove tutto è fermo ma le azioni possono scorrere in una dimensione sospesa, bloccata in un tempo indefinito dove non esiste il passato, il presente e il futuro. È il tempo della perenne eternità. Il tempo non esiste: esso è legato alle attività sulla Terra, con l’introduzione del concetto di spazio- tempo e la conseguente teoria della relatività, Albert Einstein dimostra il legame indissolubile tra l’aspetto cronologico e quello spaziale e il condizionamento di questi due fattori in relazione ai campi gravitazionali. Nelle mie ricerche visive cerco la possibilità di far visualizzare questo fenomeno e di farci avvicinare ad uno spazio espanso, ultraterreno e terreno nello stesso tempo, nello stesso luogo. La visione corre più veloce dell’immaginazione in modo da porci di fronte ad una realtà inedita, almeno sulla Terra.

La performance ZeroGravity nasce dall’osservazione delle due sculture Zero Gravity (2013) e Rainmaker (2016). L’azione si è svolta nel 2018, al Teatro Círculo di València, in forma di laboratorio performativo collettivo. La sospensione, il contatto, il distacco sono i temi che affronti nel video che è stato proiettato alla V Edizione del ConFusión Festival. Alla luce degli eventi che stiamo vivendo, come pensi che è cambiato il concetto di sospensione? 
Immagino la sospensione come una pausa temporale che ci consente allo stesso tempo di esplorare quello che ci circonda. Il tempo di sospensione ci aiuta a comprendere vedendo in tutte le angolazioni il mondo che ci circonda, per natura noi possiamo cogliere un singolo punto di vista e questo limita le nostre conoscenze e deforma il nostro giudizio, approssimativo e superficiale.

“Un organismo sano cerca di sopravvivere a tutti i costi, modificandosi. Il virus attacca le cellule sane, ma che sono insensibili ai cambiamenti. La mutazione è al centro di questa nostra nuova condizione sociale. Il mantenimento dello status quo è condizione di immobilismo. Mutiamo, evolviamo, progrediamo. L’arte non guarda mai al materialismo come meta da raggiungere, ma lo usa per comunicare visioni più alte e nobili. Superiamo la forza delle braccia e coltiviamo l’azione del pensiero come strumento di condivisione collettiva. Il distanziamento fisico amplificherà e svilupperà nuovi stati emotivi, coltiviamoli. Non guardiamo indietro perché quel tempo non ritornerà. Immaginiamo, oltre il presente: abbiamo strumenti per andare veloci, controlliamoli e padroneggiamoli.” 
* Tratto dal libro Time at the Time of isolation / Tempo al Tempo dell’isolamento a cura di Renato e Cynthia Penna / ART1307 | Editore: Blurb

C’è stata un’opera prima (letteraria, musicale, etc) che ha scatenato/influenzato questa tua ricerca artistica ma anche filosofica? 
Quel momento in cui l’idea prende forma e si concretizza in altro, in qualcosa di tangibile, di materiale, quasi mai questo accade per induzione. È difficile dire da dove arrivano le idee, spesso penso che ci sono connessioni lontane che ci spingono a creare un alfabeto altro per comunicare con altri stati sensibili. Un libro, una musica, un quadro, un film sono elaborazioni che non consentono influenze perché ne sono il risultato. Io devo andare all’origine, esattamente allo zero, senza condizionamenti pur attingendo al bagaglio che plasma e caratterizza la visione. 

Hai esposto in diverse parti del mondo, e grazie alla curatela di Cynthia Penna, anima dell’Istituzione Culturale ART1307, in più occasioni a Los Angeles. Com’è il rapporto con l’arte americana? 
L’arte Americana non ha condizionato la mia estetica e il mio pensiero, queste cose appartengono all’individuo, piuttosto ho compreso profondamente lo stato di assoluta libertà in cui operano gli artisti americani. Loro portano all’esasperazione qualsiasi cosa e forse solo così diventano evidenti, non temono il giudizio, osano. Aggrediscono la materia come a volerla conquistare: questa è stata la lezione che mi ha reso ancora più consapevole del mio linguaggio. Il fallimento fa parte del gioco e bisogna considerarlo ed esorcizzarlo. Se l’arte non ha un senso è un fallimento averla prodotta. Di fronte ad un linguaggio inedito ci chiederemo sempre il significato. La comprensione profonda è sempre legata ad una connessione sensibile, ma questo è impossibile da spiegare con la limitatezza delle parole.
Foto: Photo © Rosario Spanò | proDUCKtion.it | All rights reserved 

Video di Leonardo Spanò, musica di Lino Cannavacciuolo

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