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Gloria Di Miceli 

studentessa, attivista e militante

Progressisti nei valori, riformisti nel metodo, radicali nei comportamenti individuali

Con 860 voti a favore, 2 contrari e 4 astenuti Enrico Letta domenica 14 marzo è stato eletto segretario del Partito Democratico, a seguito delle dimissioni di Nicola Zingaretti, dopo due anni esatti di guida del partito. In questi ultimi mesi, soprattutto con il tramonto del Governo Conte 2 e con l’avvento del Governo Draghi, all’interno del partito si è aperta una discussione piuttosto accesa sulle sorti dei Democratici. Qualcuno ha preferito spostare l’attenzione sul tema delle poltrone, altri in maniera più lucida hanno puntato il dito contro la struttura e l’organizzazione del partito, ma soprattutto contro lo stallo e l’appiattimento del partito che negli ultimi mesi è sembrato avere un’identità piuttosto sbiadita.

In questi anni troppo spesso si è venuti meno agli impegni presi negli organismi deputati: penso all’ordine del giorno sugli accordi con la Libia, accolto in assemblea nazionale e bloccato lì, che impegnava il partito a cambiare il memorandum Italia-Libia, superando il ruolo della Guardia Costiera ed il suo finanziamento. Ma penso anche alle volte in cui si è cambiata idea molto velocemente e senza che nel partito si aprisse un momento di discussione vera, come per l’alleanza di governo con il Movimento 5 Stelle nell’estate del 2019 o il Referendum sul taglio dei parlamentari l’anno successivo. È successo poi che nella nuova squadra di governo il PD ha nominato tre ministri uomini, a rappresentare in maniera scientifica le tre aree più forti all’interno del partito, scatenando così giusti malumori e proteste soprattutto delle donne Dem. Le dimissioni di Zingaretti, annunciate su Facebook con parole non poco pesanti, hanno fatto insorgere in modi diversi la base del partito: alcuni hanno solamente invitato il segretario dimissionario a restare, altri, soprattutto i più giovani, hanno invitato il partito alla riflessione.

Il Partito Democratico in dieci anni ha governato con Forza Italia, Movimento 5 Stelle e Lega, il tutto sempre prontamente giustificato con: “Lo facciamo per non mandare la destra al governo”. In 14 anni il partito del Lingotto ha cambiato 7 segretari e mai nessuno ha completato il suo mandato. Due segretari hanno dato vita a due scissioni e sono andati via per non fare mai ritorno. Nel 2018 il partito era stato sconfitto alle urne con il 18,7%, dopo due anni è ancora lì. Ma nelle ultime settimane, soprattutto per via dell’incoronazione di Giuseppe Conte a progressista dell’ultima ora, il partito nei sondaggi ha perso pezzi.
In questi due anni, tra le tante regioni perse e i pochi comuni in cui i sindaci hanno resistito, il Partito Democratico è rimasto spesso fermo alla scissione di Renzi del 2019, una fase mai superata che ha spesso bloccato il dibattito sul Paese.

Ieri per il suo primo discorso al Nazareno, Enrico Letta, già Presidente del Consiglio e che ha lasciato per 7 anni la politica impegnandosi nell’insegnamento e ricoprendo ruoli molto prestigiosi in giro per l’Europa, non ha fatto molti sconti soprattutto ai tanti che ancora oggi discutono solo di posizionamenti interni. Ha posto l’attenzione su due problemi importanti: sul fatto che la sua presenza lì, da uomo, la dica lunga sulla questione di genere, spesso sottovalutata o ignorata all’interno del partito stesso; e poi non ha lasciato dubbi sulle sorti del PD, che deve smettere di pensarsi come partito Protezione Civile, sempre al governo e sempre terrorizzato dalla sconfitta e dalle elezioni, per diventare invece il partito dei giovani. In queste settimane di dibattito interno, spesso accompagnato da assemblee e momenti di accesa discussione, molte ragazze e ragazzi hanno cercato di portare all’attenzione la questione giovanile, che, a mio avviso, non può essere gestita unicamente all’interno dell’organismo dei Giovani Democratici.

Per troppo tempo i giovani sono stati la macchina da guerra del partito, sganciati per le vie delle città a fare volantinaggio, a fare banchetti, a essere quella che definisco “forza lavoro nei territori”, ma di rado sono stati ascoltati. Le parole di Letta infatti non sono casuali. Questi nel 2015 rinunciò al seggio in parlamento per dirigere la Scuola di Affari Internazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi. E sempre nel 2015 fondò la sua Scuola di Politiche per ragazzi di età compresa fra i 18 e i 26 anni. La sua esperienza costante e diretta, attraverso l’insegnamento, con ragazze e ragazzi, come ha lui stesso affermato, lo ha cambiato profondamente e lo ha spinto ad accettare questo mandato e a dedicarlo interamente alla costruzione di un PD che si faccia portavoce delle esigenze dei giovani nella società. Così ha lanciato alcune sfide molto ambiziose come il voto per i sedicenni, allo scopo di aumentare la platea di cittadini elettori, che, essendo sempre più formata da adulti e solo in piccola parte da giovani, tende a mettere al centro altre priorità. Parallelamente ha rilanciato l’estensione del diritto di voto al Senato per i maggiorenni, e non più per i cittadini che hanno compiuto il venticinquesimo anno.

Non sono mancati nel suo discorso riferimenti a un partito troppo avvitato al suo interno e schiavo delle correnti, incapace di connettersi con la realtà e che si autorappresenta. Ha poi lanciato tre sfide globali da affrontare immediatamente: pandemia, clima, innovazione tecnologica, facendo riferimento anche all’immagine del partito da ricostruire a partire dalla sua comunicazione. Il digitale, come dice Letta, non è una forma di comunicazione alternativa, non funziona al posto dei manifesti. È una forma nuova di partecipazione politica e di cittadinanza. Il Partito Democratico di Letta deve spingere l’Italia a risanare tre debiti: pubblico, ambientale e demografico e lo può fare puntando al lavoro delle donne e al lavoro di quanti invece dipendono ancora dalle famiglie di origine. Scuola, università, diseguaglianze, violenza di genere, lavoro, welfare inclusivo, lotta alle mafie e ai paradisi fiscali europei, progressività del fisco, riforma della giustizia, cittadinanza digitale, riequilibrio dei ruoli nelle imprese, territori, disabilità sono i temi trattati da Letta durante i suoi sessanta minuti di diretta, con picchi di visualizzazione molto alti - ventidue mila visualizzazioni su Facebook che, rispetto ai numeri bassissimi degli ultimi anni, lanciano dei segnali che vanno accolti. In conclusione ha lanciato alcuni moniti importanti per i Democratici italiani: lavorare nel mondo degli esclusi, ricostruire l’integrità delle Istituzioni, contrastando il trasformismo parlamentare e lavorando per una nuova legge elettorale, e infine dare la cittadinanza italiana ai bambini figli di stranieri che sono nati in Italia, che vivono in Italia, che non sono rappresentati nelle Istituzioni e che amano l’Italia quanto noi. Se oggi la destra italiana ha subito puntato il dito contro l'ultima proposta, evidentemente già il segretario Letta ha dato qualche segnale importante. 
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