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Tonino Scala

Scrittore e attivista politico

Un nuovo furto ai danni del Mezzogiorno.

Da un lato sottraggono fondi al sud – vedi alla voce governo nazionale –, dall’altro utilizzano i fondi destinati allo sviluppo – vedi alla voce Regione Campania – come mancia elettorale.
 
Cominciando ad analizzare questo secondo punto, si resta letteralmente sconcertati a leggere il cosiddetto piano economico-sociale della Regione Campania. Anziché dare sostegno alle attività economiche, che sono state fortemente colpite dalla crisi Covid, la gran parte delle risorse sono state rimodulate per erogare a pioggia bonus una tantum. Non può essere contrabbandato per aumento delle pensioni l’erogazione per due mesi dell’importo a concorrenza dei 1000 euro mensili, che certamente non sarà una misura strutturale per i pensionati né avrà effetti rinvigorenti sulla economia regionale. 
Aumentare gli importi delle pensioni al minimo sarebbe cosa buona e giusta se fatto con un provvedimento organico e definitivo dello Stato e con risorse specifiche che non siano state sottratte ad altre voci importanti. Tantomeno possono essere condivisi i provvedimenti che, sempre attingendo alle stesse risorse, ripropongono in chiave regionale misure di sostegno ai professionisti ed alle partite iva. Si va determinando, così, un effetto cumulo che stride con l’assenza di interventi verso altre categorie di cittadini assolutamente privi di ogni sostegno. Come dire: a chi il dovuto e a chi assolutamente niente! 
Queste risorse avevano in Campania una specifica destinazione d’uso per progetti e programmi di sviluppo. Che fine faranno ora, dopo che è stato cambiato l’impiego delle risorse previste, quei progetti e quei programmi? Quali soggetti economici e sociali ne rimarranno danneggiati? Si tratta a ben vedere di ben 600 milioni di euro, che vengono sottratti agli impieghi produttivi a cui erano destinati per essere distribuiti a pioggia senza alcuna griglia di requisiti patrimoniali e di reddito familiare.
 
Siamo di fronte alla più gigantesca campagna di elargizione clientelare nella storia repubblicana.

In merito al governo, desta profonda preoccupazione il rischio che si consumi l’ennesima sottrazione di risorse ai danni del Sud. Nonostante le rassicurazioni in senso contrario, gli elementi che indicano che si sta andando in questa direzione sono molti e senza possibilità di equivoco.
Va preliminarmente chiarito che tra le iniziative dell’Unione Europea per fronteggiare l’emergenza sanitaria è prevista la flessibilità nell’utilizzo dei fondi strutturali. Sussiste, dunque, la possibilità di trasferire risorse tra i tre fondi della politica di coesione e tra le diverse categorie di Regioni.  
Le diverse “categorie di Regioni”, sono tre: 1) sviluppate; 2) in transizione; 3) in ritardo di sviluppo. – L’ attuale normativa, in linea con il principio della concentrazione geografica, che regola a livello europeo i fondi strutturali, prevede che l’ 80% delle risorse vada al Mezzogiorno dove, com’è noto, sono ubicate le Regioni in ritardo di sviluppo. Autorizzare la “flessibilità” nell’uso dei fondi strutturali significa offrire la possibilità di trasferire risorse da quelle in ritardo di sviluppo a quelle sviluppate. Questo rischio è confermato dal fatto che il Def 2020 è stato messo in cantiere dopo che si sono conosciuti i contenuti di un documento della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica – dove, tra le proposte per uscire dalla crisi, si formula l’ipotesi di modificare l’attuale ripartizione delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione. 
Il def 2020 è una prima applicazione di quel documento.
Va specificato che il Def, infatti, è a contenuto vincolato per cui nella sua seconda sezione vanno indicate, tra l’altro, “le risorse destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate con evidenziazione dei fondi nazionali addizionali”. 
Tuttavia, scorrendo la sezione II del Def 2020 è possibile verificare che la norma viene rispettata soltanto sotto un profilo meramente formale perché vi è, sì, il capitolo dedicato alle “risorse destinate alla coesione territoriale e i fondi nazionali addizionali”, ma in questo capitolo manca l’indicazione dei programmi di spesa su cui applicare la riserva del 34% degli investimenti al Sud (che corrisponde alla percentuale del peso demografico della popolazione meridionale) come prevede la legge n. 18/2017.
Si deve aggiungere, inoltre, che dal 1° febbraio 2020 e per gli anni 2020 e 2021, le risorse Fondo Sviluppo e coesione rinvenienti dai cicli programmatori 2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020 possono essere in via eccezionale destinate ad ogni tipologia di intervento a carattere nazionale, regionale o locale connessa a fronteggiare l’emergenza sanitaria, economica e sociale conseguente alla pandemia da Covid-19 in coerenza con la riprogrammazione che, per le stesse finalità, le amministrazioni nazionali, regionali o locali operano nell'ambito dei Programmi operativi dei Fondi SIE. A ciò bisogna aggiungere che non sarà necessario il cofinanziamento del Governo italiano sui fondi europei (Fsc), allo scopo di consentire una rapida spesa senza gravare sul patto di stabilità. Come è evidente questo comporterà il mancato impegno dei fondi di competenza del governo centrale che avrebbero dovuto integrare quelli UE. 
Non ci vuole molto a capire che si tratta di altre risorse sottratte al Sud, fatto già esplicitato nel def approvato ad aprile.

Ma c’è di più. Il cosiddetto “Decreto Rilancio” prevede che, in considerazione della situazione di crisi connessa all’emergenza Covid-19, le imprese con un volume di ricavi non superiore a 250 milioni e i lavoratori autonomi, per il corrispondente volume di compensi, non siano tenuti al versamento del saldo dell’IRAP dovuta per il 2019 né al versamento della prima rata, pari al 40 per cento, dell’acconto IRAP dovuta per il 2020. 
Il problema è che con l’IRAP si finanzia la sanità. Quindi, nonostante il governo abbia confermato di non volerlo attivare, ci sono molte probabilità di ricorrere al Mes, che consentirebbe l’accesso a 36 miliardi con la condizionalità di utilizzarli solo, direttamente o indirettamente, per l’emergenza sanitaria. In questo caso, la restituzione del nuovo debito e i relativi interessi saranno pagati da tutti i cittadini, inclusi quelli merisionali, che soffrono già di una pessima condizione della ampiamente sottofinanziata sanità pubblica.
 
Il paradosso è che si sottraggono i fondi già disponibili per la sanità e si ricorre invece a un debito, che presenta sicuramente tassi bassi ma anche un elevato rischio di “stigma” che potrà essere pagato duramente in termini di giudizio dei mercati finanziari sulla sostenibilità del debito pubblico, con tutto quello che ne consegue in termini di rialzo dello “spread” e attivazione delle procedure di intervento degli organismi europei assimilabili a quelli della famigerata troika ai danni della Grecia.

Per tutte queste ragioni bisogna denunciare con forza che, nonostante le dichiarazioni rassicuranti, si sta consumando ai danni del Mezzogiorno l’ennesimo scippo di risorse. Un ulteriore taglio che renderà impossibile assicurare un minimo di ripresa e metterà a repentaglio la coesione sociale esponendo i meridionali al rischio di un ulteriore scivolamento in condizioni di marginalità, dipendenza e vulnerabilità anche nei confronti delle mafie.
Bisogna intervenire urgentemente sul def, così come formulato, essendo ancora possibile attraverso la nota aggiuntiva, per ripristinare le risorse necessarie alle regioni meridionali. È l’unico modo, questo, per evitare che si consumi una secessione-di-fatto irreversibile ai danni di una parte fondamentale del paese.

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